Pronto? Parla un I.A. Che cosa succede veramente (con Ibm) in WindTre

di Renzo Zonin ♦︎ Nella società di telecomunicazioni, innovazione è anche un assistente digitale conversazionale: sfruttando il sistema di intelligenza artificiale Watson, supporta l’attività del customer care. Will, che gestisce 1,5 milioni di chiamate al mese, comprende il linguaggio naturale del cliente tramite il sistema Npl, ed è in grado di rispondere a voce. L’indicatore Nps, attestato su valori simili a quelli dei clienti che interagiscono con sistemi tradizionali. Dopo i primi due anni di servizio, un nuovo accordo quinquennale lascia presagire ulteriori sviluppi. Ne abbiamo parlato con Piera Valeria Cordaro, head of Commercial Operation Innovation di WindTre, e con Gianluca Palumbo, cognitive architect manager di Ibm Italia

Quando un provider ha milioni di clienti, il customer care è un tassello fondamentale nella sua strategia: per risolvere le richieste del cliente e mantenerne alta la soddisfazione. Fra le aziende che stanno investendo in questo comparto cruciale troviamo WindTre, guidata da Jeffrey Hedberg, con una soluzione particolarmente innovativa: un assistente digitale, battezzato Will, in grado di comprendere il linguaggio naturale del cliente e di rispondergli a voce. Questo strumento è basato su Watson, il sistema di intelligenza artificiale di Ibm, particolarmente versato nell’Npl (Natural Language Processing). WindTre ha iniziato a lavorare sull’assistente digitale Will verso la fine del 2018, e a febbraio 2019 il sistema ha iniziato a operare. Oggi gestisce circa 1,5 milioni di chiamate al mese, il 30% delle quali viene risolto senza necessità di passare la chiamata ad un operatore. Lo scorso giugno, l’accordo fra WindTre e Big Blue è stato rinnovato per altri 5 anni, e il gruppo di lavoro ha già piani di sviluppo per tutto il 2021.

Ibm eroga i servizi di AI basati su Watson sotto varie forme: i clienti possono sia contare su un team dedicato di Big Blue, che opera principalmente per la messa a punto di soluzioni estremamente personalizzate (come quella per WindTre), sia su una gamma di servizi basati su cloud, che possiamo considerare dei “semilavorati”. Grazie alla relativa semplicità d’uso, possono essere usati anche da aziende che non hanno al loro interno skill e competenze specifiche. Inoltre, il fatto di essere erogati dal cloud ne consente un utilizzo “as a service”, azzerando di fatto i costi infrastrutturali in favore di un approccio pay per use. Nel complesso, questo consente l’accesso a tecnologie di Artificial Intelligence e Machine Learning anche ad aziende medie o piccole, che normalmente non avrebbero il know-how o le risorse finanziarie per dotarsi di un sistema del genere.







Abbiamo parlato con Piera Valeria Cordaro, head of Commercial Operation Innovation di WindTre, per sapere come è nata, come si è sviluppata e come si evolverà l’idea di usare l’intelligenza artificiale in un sistema di customer care, e con Gianluca Palumbo, cognitive architect manager di Ibm Italia, per capire come funziona Watson e come può essere sfruttato dalle aziende Italiane.

 

La nascita di una soluzione innovativa

Piera Valeria Cordaro head of co innovation di WindTre

Abbiamo chiesto come nasce l’innovazione e la trasformazione digitale in WindTre a Piera Valeria Cordaro, che fra parentesi è una delle due donne italiane entrate quest’anno nella classifica mondiale delle 35 Women Leaders in AI, e nell’azienda dirige il team di specialisti dell’innovazione che si è occupato di progettare e mettere in produzione Will. «All’interno di WindTre – spiega Cordaro – c’è una direzione Commercial Operation che racchiude il customer care, la logistica, il sales support e il mio team, il quale si occupa di innovation in modo trasversale sulle tre business unit. Quindi l’innovazione è nel Dna del mio gruppo, che ha il compito di studiare, valutare e implementare nuove strategie per i clienti ma anche per le nostre unit. Per esempio, oltre che sull’AI stiamo lavorando, in collaborazione con i gruppi It e Big Data, anche su Rpa (Robotic Processing Automation) e Automation a 360°

 

Ma come si è passati dall’automazione all’AI?

«A spingerci su questo percorso di cambiamento è stato il nostro cto Benoit Hanssen, che ci ha proposto una collaborazione in ambito customer care con l’intelligenza artificiale, per creare un vero e proprio assistente digitale nella gestione del cliente. Tutto nasce da questa visione. Il cto ci ha guidato molto, abbiamo persone dell’It che sviluppano nel nostro gruppo, ma la cosa interessante è che ha lasciato a noi la guida dei team di lavoro, e quindi il sistema è stato disegnato in base alle nostre richieste e alle esigenze dei clienti.

 

L’accordo con Ibm per lo sviluppo della soluzione su Ibm Watson è stato annunciato a ottobre 2018, e nemmeno 5 mesi dopo, nel febbraio 2019, il sistema era già in linea. Come è stato possibile raggiungere questo risultato?

«Abbiamo fatto varie riunioni preliminari di assessment, per capire l’infrastruttura, e incontri propedeutici per studiare la fattibilità di questa partnership. Quando c’è stata l’ufficialità, si è lavorato intensamente. Abbiamo iniziato con uno use case relativo ad alcune casistiche specifiche, che è stato il nostro trampolino di lancio a febbraio. Non abbiamo sostituito l’intero Ivr, ma piuttosto abbiamo fatto in modo che esso “ospitasse” al suo interno il nuovo assistente digitale conversazionale». In quei 4 mesi i gruppi di lavoro di WindTre e Ibm hanno lavorato sodo per realizzare l’infrastruttura tecnologica, ma anche i dialoghi e la knowledge base. «C’erano più flussi di lavoro, quello infrastrutturale sul quale operava più il gruppo di ItDev (gli sviluppatori del reparto It), e quello per la costruzione dei dialoghi e della knowledge base da passare a Ibm, che vedeva coinvolto maggiormente il mio team di innovazione. A febbraio abbiamo fatto una serie di fine tuning, inizialmente con delle Sim di test per vedere il grado di confidenza. Vi erano ancora margini di miglioramento, ma avevamo bisogno di gestire clienti veri, non solo simulazioni di addetti ai lavori, così siamo partiti su alcune fasce orarie, con aperture controllate insieme a Ibm. Aprivamo e chiudevamo il sistema, acquisivamo ed analizzavamo le conversazioni, ogni giorno sempre di più fino a che abbiamo aperto h24 e con il 100% dei clienti».

 

L’addestramento del sistema è dunque avvenuto “in produzione”?

La soluzione basata sull’Intelligenza Artificiale di Ibm per WindTre. Will, in grado di comprendere il linguaggio naturale del cliente e di rispondergli a voce, oggi gestisce circa 1,5 milioni di chiamate al mese, il 30% delle quali viene risolto senza necessità di passare la chiamata ad un operatore

«Il grosso del lavoro va comunque fatto all’inizio, dietro le quinte, perché appena in linea il sistema doveva già essere in grado di capire e dialogare con il cliente. Solo circa il 6% del lavoro di fine tuning è stato fatto in corso d’opera». È interessante notare come, a differenza di quanto accadeva solo pochi anni fa, il fatto di usare la lingua italiana non sia più un problema. Watson supporta infatti molto bene la nostra lingua, non solo a livello della comprensione delle frasi, ma anche dei concetti, delle entità e delle parole chiave all’interno del dialogo, così come le relazioni semantiche e addirittura il sentiment: Ibm Watson può capire se esso è positivo o negativo, a seconda delle sfumature di tono all’interno della frase. «Quando facciamo fine tuning di Will, arriviamo a occuparci della sistemazione degli accenti e del ritmo di esposizione, per avere la massima fluidità nel parlato – conferma Cordaro – mentre sul chatbot stiamo per esempio lavorando sull’aggiunta di emoticon, o di intercalari (tipo “Oops”) che possano rendere il dialogo sempre più simile all’interazione con una persona».

 

I risultati dopo due anni di esercizio

Will è in produzione ormai da quasi due anni. Lo avete già valutato a confronto con l’Ivr a scelte multiple, o con un tradizionale call center con operatori? E sulla base di quali Kpi? «A febbraio 2019, l’assistente digitale interagiva con 20.000 chiamate al mese. Adesso arriviamo anche a 1,5 milioni di operazioni. Sto parlando dell’assistente digitale vocale, senza contare il chatbot web. Il tasso di “full management digitale” è del 30%, ovvero nel 30% dei casi il sistema digitale conclude la chiamata dando l’informazione o eseguendo un’azione dispositiva. Un altro Kpi che usiamo è l’Nps (Net Promoter Score), attestato su valori simili a quelli dei clienti che interagiscono con sistemi tradizionali grazie all’esperienza nuova e conversazionale offerta da Will, che può essere definita Intelligenza aumentata. Se risultati e indici di soddisfazione danno ragione a Will, il discorso sul Roi del sistema è un po’ più articolato. «In questi primi anni di forti investimenti in ambito AI, WindTre sta valutando non soltanto gli impatti economici sulla Business Unit ma anche la soddisfazione del cliente, in misura equilibrata.

L’accordo biennale siglato fra Ibm e WindTre, a Giugno 2020, è stato rinnovato per altri 5 anni. Quale sarà il programma di lavoro per il prossimo lustro?

«Abbiamo già in cantiere moltissime iniziative, tanto da saturare il 2021. I prossimi concept sui quali vogliamo lavorare sono il miglioramento della multicanalità, l’ulteriore semplificazione dell’interazione con Will e infine una maggiore personalizzazione dell’interazione con i singoli clienti, naturalmente prestando la massima attenzione alla protezione dei loro dati, da usare solo dietro consenso».

 

Dietro le quinte: come si crea un assistente virtuale

Gianluca Palumbo, cognitive architect manager di Ibm Italia

Abbiamo già detto che Will, assistente virtuale che comprende e parla l’italiano, è basato sul sistema di intelligenza artificiale di Ibm, Watson. Quest’ultimo è, in ultima analisi, un insieme di algoritmi che girano su un cluster di 90 server Ibm Power, e che fornisce un’ampia gamma di servizi attraverso una collezione di Api (Application Programming Interface). Come altri progetti di Big Blue, anche Watson era nato da una sfida: l’idea era di dimostrare che era possibile, per un computer, concorrere a Jeopardy, un popolare gioco a quiz televisivo, battendo concorrenti umani. Cosa che avvenne nel febbraio 2010. E giusto tre anni dopo, venne annunciata la prima applicazione commerciale: Ibm Watson avrebbe assistito i medici nelle decisioni diagnostiche e di trattamento dei malati oncologici al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York. Ma come si fa a prendere una macchina capace di vincere i quiz televisivi e di diagnosticare il cancro e trasformarla in un operatore di call center, in grado di interagire con i clienti in perfetto italiano? Come si crea una base di dati per questo mestiere e come si allena un programma di questo tipo? Ce lo ha spiegato Gianluca Palumbo. «È più semplice di quanto non si creda, perché tutta la preparazione avviene dietro le quinte. L’impegno di Ibm nella costruzione di questa suite è stato proprio di rendere semplice l’addestramento del sistema di AI e lasciare che tutto il lavoro di Machine Learning sia quasi mascherato all’utente. Ibm Watson è un sistema basato sull’AI, quindi di tipo statistico e non deterministico. Questo vuol dire che non si programma oggi e domani è pronto a dare le risposte. Ha bisogno di cicli di training, di apprendimento, fino a raggiungere una curva che sia sufficientemente precisa per dare risposte».

Nel caso di Will, per addestrare il sistema il team di Ibm ha lavorato con il gruppo di WindTre per tradurre le procedure degli operatori di call center in “dialoghi”. Il dialogo si “disegna” identificando quelli che vengono chiamati “intenti”, ovvero gli ambiti a cui l’assistente deve rispondere; all’interno degli intenti si definiscono le “identità”, cioè le cose che deve capire – il nome di una produzione, di un piano telefonico, di un servizio. Ma questo dialogo deve essere pronto a rispondere non alle domande di test, ma a quelle dei clienti veri, che possono porle in tantissimi modi. «In questo viene in aiuto una particolarità dell’assistente basato su Ibm Watson, e cioè che consente un addestramento molto, molto rapido. Bastano poche variazioni di intento per addestrare Ibm Watson a capirlo anche con altre espressioni che non sono state usate nell’addestramento. Con Will, abbiamo analizzato i dati emersi dalle prime conversazioni e con essi abbiamo fatto dei cicli di “supervised learning”, in quanto la base dati che abbiamo estratto da queste interazioni era validata dal gruppo interno Ibm di data scientist, e dal gruppo delle persone del team di Cordaro come esperti del dominio. Concluso questo training, si è proceduto con un nuovo ciclo di aperture, e così via fino a quando la curva di risposta corretta è arrivata a raggiungere il trade off ottimale per dare risposte ai clienti. A quel punto si è aperto il servizio a tutti, a febbraio eravamo in produzione con una linea intera sul primo use case».

 

L’ecosistema intorno a Ibm Watson

Enrico Cereda Ceo IBM Italia
Enrico Cereda amministratore delegato di Ibm Italia

Il progetto dell’assistente virtuale Will ha visto lavorare insieme il team di WindTre  e quello di Ibm Watson. Ma cosa succede quando un’azienda che non ha le dimensioni di WindTre, e in particolare non ha al suo interno le competenze per sviluppare un sistema di questo tipo, vuole utilizzare l’AI di Ibm? «Questo tipo di soluzione può essere declinata in diversi modi. Per aziende di classe enterprise, la soluzione può essere ritagliata per il cliente e quindi prevedere la disponibilità di determinati skill e professionalità. Poi ci sono soluzioni meno personalizzate, ma  “semilavorate”, che sono disponibili in cloud e quindi utilizzabili “as a service”. Hanno un prezzo accessibile e sono già pronte all’uso». Si tratta quindi di un approccio a metà strada fra fornire delle API e lasciare che il cliente faccia da solo, e dare un’applicazione customizzata e finita. Ma è possibile avere un’idea di quali costi deve sostenere un’azienda per dotarsi, per esempio, di un customer care basato su intelligenza artificiale? «In realtà l’ordine di grandezza dei costi varia molto a seconda del numero di interazioni che vengono gestite. Ci sono soluzioni, anche vocali, che possono essere configurate e attivate con un costo fisso a conversazione. E quindi il costo di gestione può anche essere basso, se non si arriva a dover gestire milioni di telefonate al mese. E con le soluzioni Ibm, soprattutto con la nuova offerta di Red Hat OpenShift, si possono anche sviluppare delle applicazioni in cloud senza sostenere i costi di infrastruttura e pagando secondo un modello “pay per use”».

Watson è il brand sotto il quale sono raccolte le soluzioni di AI di Ibm. Si tratta di software disponibili sul Public Cloud Ibm, che si basa su una rete globale di diversi data center dislocati in vari paesi nel mondo. Per l’Europa i servizi di AI sono disponibili attraverso i data center Ibm Cloud di Londra e Francoforte (dove sono basati i servizi WindTre). «I servizi Watson utilizzati in Italia vengono gestiti ed erogati dal nostro data center di Francoforte. Poi naturalmente ci sono grandi sistemi presenti anche nei data center di Dallas, Tokio, Washington, Seul e b».

 

Ma in prospettiva potrebbero essere installati le soluzioni Watson in uno dei DC anche in Italia?

«La domanda di servizi di AI nel nostro Paese sta crescendo ed è a piano la possibilità di avere questa disponibilità anche in Italia, dove disponiamo di diversi data center in grado di ospitarlo. Al momento, essi espongono i servizi di AI erogati da Francoforte. Non tutti i nostri data center forniscono la stessa gamma di servizi. Ovviamente i nostri clienti possono anche decidere di ospitare queste soluzioni chiamate Cloud Pak for Data, la piattaforma integrata per i dati e le soluzioni di AI disponibile su OpenShift, nel loro Cloud privato e quindi farli risiedere da subito in Italia.» Insomma, i servizi Watson di AI oggi girano in Germania e sono resi disponibili in modo trasparente dai data center italiani di Ibm. In un prossimo futuro potremmo averli anche qui.














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