Intelligenza artificiale: cambiano modelli economici e di business. Che cosa deve fare l’industria? Intervista a Luciano Floridi

di Barbara Weisz ♦︎ L’Ia pervade sempre più le strutture produttive. Manutenzione predittiva, IoT, IIoT, machine learning, robotica impattano sul lavoro e comportano scelte di sostenibilità e strategia. E forniscono i dati su cui prendere le decisioni, che coinvolgono il management. L’artificial intelligence abilita la collaborazione fra aziende e università, quindi la ricerca. Ma serve un regolamento europeo che spieghi alle imprese come guidare la tecnologia

«Le industrie devono capire come cambiare la propria produzione in modo tale che la tecnologia faccia la differenza. Si tratta di ripensare il Dna. Non basta fare tutto come prima e in più metterci la robotica». La sfida, ormai lo sanno anche i sassi, è epocale. Più difficile, è intraprendere la strategia per vincerla. Nei prossimi anni, «quelli che avranno cambiato il business model saranno i vincitori«. E’ la vision di Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford, intervistato da Industria Italiana sull’intelligenza artificiale che sempre più entra nelle strutture produttive. Un cruscotto di tecnologie (manutenzione predittiva, sensori che raccolgono e si scambiano dati connettendosi con altri dispositivi tramite IoT e Industrial Iot, machine learning, deep learning, robotica, robotica collaborativa), che impattano su produttività, lavoro, ma comportano anche scelte di etica, sostenibilità, modelli di business, strategia.

Abbiamo cercato di tracciare un percorso che aiuti i decisori aziendali nel ripensare correttamente i propri modelli di business, anche a fronte di investimenti ingenti. Facendolo con l’aiuto di uno dei massimi esperti internazionali di intelligenza artificiale, in un’occasione (la presentazione di Rta Robotics) che in qualche modo sintetizza molti elementi chiave: spin-off di un’azienda dell’automazione industriale (innovazione), che collabora con un’università (Pavia), in un’ottica di open innovation che unisce ricerca, impresa, e formazione, e che ha organizzato il lancio proponendo un evento sul rapporto fra Etica e intelligenza artificiale che ha visto Luciano Floridi duettare con Giorgio Metta, direttore scientifico dell’istituto italiano di tecnologia.







 

D. Professor Floridi, partiamo da dove tutto è cominciato, il test di Turing, di cui avete parlato anche nel corso dell’evento su Etica e Ai. Il test di Turing, che serve per capire se una macchina è intelligente, è ancora valido o no?

Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford

R. «E’ valido come tutti i test negativi. Le persone sembrano non capirlo, è un po’ come il test per la patente. Se non lo passi, non sai guidare. Ma se lo superi, non vuol dire necessariamente che sai guidare. Quante persone hanno la patente ma sarebbe meglio che non ce l’avessero? Allora, il test di Turing è una soglia, sotto la quale vuol dire che la macchina che sto analizzando è un pezzo di ferramenta. Ma se la soglia viene superata, non vuol dire niente». (Sintesi sul test di Turing per il lettore: il matematico padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, diceva (negli anni ’50) che si può parlare di intelligenza artificiale quando un umano, intervistando per iscritto un altro umano e un’intelligenza artificiale, non è in grado di capire la differenza. Il test si effettua ponendo delle domande, e ricevendo risposte da un computer e da un umano).

 

D. Quindi, non definisce l’intelligenza artificiale?

R. «Però ci dice: tutte le volte che una macchina non supera il test, non è neanche il caso di discuterne. Definisce il momento in cui possiamo cominciare a discuterne, un po’ come il guidatore con la patente che abbiamo preso come esempio. Se non ha passato l’esame, inutile chiedersi se sa guidare»

 

D. Qual è allora la sua definizione di intelligenza artificiale?

ThinkEdge SE70 Lenovo è un edge computer pensato espressamente per essere utilizzato in stabilimenti di produzione per rispondere alle esigenze di calcolo dell’Industrial IoT. È nato per riuscire a ottenere le migliori performance nell’utilizzo di applicazioni di intelligenza artificiale

R. «L’intelligenza artificiale è tutta la strumentazione (parlo di software e di macchine digitali) che consente di fare cose che a noi richiedono intelligenza. Facciamo un altro esempio: il gioco degli scacchi. Se dovessi giocare io, dovrei esercitare la mia intelligenza. La macchina, invece, gioca meglio di me a intelligenza zero».

 

D. Lo fa meglio grazie alle capacità computazionali?

R. «Capacità computazionali, dati, sensori. Torniamo all’automobile: guidare richiede molta intelligenza. Ma l’automobile che si guida da sola, lo fa a intelligenza zero. Si ricorda, la frase di von Clausewitz, “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”? Ecco, l’intelligenza artificiale è la continuazione dell’intelligenza umana con altri mezzi: industriali, ingegnerizzati».

 

D. Parliamo di industria. L’imprenditore, quando investe nelle nuove tecnologie, nelle macchine dotate di intelligenza artificiale, integrate con IoT e Industrial IoT, fa solo una scelta tecnologica o anche etica?

R. «Fa una scelta anche etica, perchè come dicevamo un po’ in questo incontro, l’AI con tutte le varie applicazioni (per esempio machine learning, robotica), è un arcipelago di soluzioni. A seconda delle scelte, serve a fare molte cose, che non si fermano all’abbattere i costi o innalzare la produttività. L’imprenditore, o il manager, nel momento in cui investe in intelligenza artificiale fa anche, per esempio, una scelta ambientalista, perchè si tratta di una tecnologia che permette di usare molta meno elettricità. Contemporaneamente, porta vantaggio anche all’azienda, perché consente di abbassare del 30 o del 40 per cento il consumo di elettricità. Risparmiare sui costi energetici significa avere un profitto più alto. E’ un piccolo esempio in cui la scelta non è solo economicamente intelligente, ma anche ambientalmente positiva ed efficace».

Per quanto concerne gli ostacoli all’adozione e lo sviluppo di IA, le aziende si sono mostrate concordi nell’indicare l’insufficiente qualità dei dati (o addirittura l’indisponibilità di questi) e la mancanza di skill adeguate nel mercato del lavoro, come le principali difficoltà per l’utilizzo e lo sviluppo di Intelligenza Artificiale in azienda. Al contrario il contesto regolativo non è quasi mai percepito come ostativo. Fonte Anitec-Assinform

D. Continuiamo a declinare i vantaggi dell’utilizzo in azienda di intelligenza artificiale, machine learning, IoT, Industrial IoT. Sono tecnologie che migliorano la produttività?

R. «Si, perché con la stessa forza lavorativa è possibile aumentare la produttività delle ore, ad esempio di chi sta in fabbrica. Abbiamo appena visto come possono essere inseriti questi robottini in un contesto metalmeccanico. Sottolineo che questo non vuol dire mandare a casa qualcuno, ma rendere chi lavora più produttivo. Se per esempio in un reparto ci sono cinque persone, queste continueranno a lavorare, ma grazie alle nuove tecnologie, e ai robot, produrranno di più. Quindi, introducendo l’intelligenza artificiale, a parità di costi produco di più. E, come dicevamo, faccio anche bene all’ambiente». Anche qui, aggiungiamo, l’impresa fa una scelta strategica, con un preciso risvolto etico.

 

D. L’AI aiuta a prendere decisioni?

La robotica applicata alla produzione di vetture elettriche

R. «Non a prendere decisioni, ma a fornire i dati su cui prendere le decisioni. Per esempio, il robottino potrà dire esattamente a un imprenditore quante delle scatolette che ha prodotto hanno un difetto. Non fornisce risposte su quanto o cosa o come produrre. Fornisce un dato. Ipotizziamo che il dato sia il seguente: c’è un 3 per cento della produzione industriale che ha un difetto. La decisione su cosa fare di conseguenza spetta al management, che quindi resta e diventa anche più fondamentale. Perchè ha dati sempre più precisi per prendere la decisione. Nel nostro caso, sa esattamente quante scatolette prodotte dal robottino hanno un difetto, dove ce l’hanno, quando, come e perchè».

 

D. Abilita la collaborazione?

R. «Si, per esempio fra diverse aziende. L’intelligenza artificiale ci rende molto più facile superare barriere che altrimenti sarebbero difficili da superare. Abilita il rapporto fra aziende, fra aziende e università, quindi con la ricerca. E crea anche un punto di forza nell’unione, è un caso in cui l’unione fa la forza. Ci si può anche mettere d’accordo, organizzarsi nel condividere una strumentazione. Non è detto che l’impresa debba essere proprietario del robot che utilizza, può anche essere proprietaria di risorse che mette a disposizione per uno specifico utilizzo. U po’ come Uber. Ci sono modalità e sviluppi che vanno studiati».

 

D. Stiamo parlando di cambiamento anche di modello economico quindi?

Le soluzioni di medicina robotica presso il Leonardo Robotics Lab del Polimi

R. «Anche, cambiamento di business e di modello economico, quindi di business plan e di business strategy. Quello che una realtà produttiva deve fare assolutamente è fare una valutazione approfondita. Non bisogna limitarsi a copiare pedissequamente: ho visto una cosa che funziona in Finlandia, e provo a farla anch’io. Non funziona in questo modo. Ogni azienda è una realtà specifica, peculiare, ha una sua identità, e da qui bisogna partire per decidere se e come muoversi per innovare. In modo da applicare le soluzioni migliori ai problemi giusti. E’ molto importante avere chiaro quali sono le questioni da affrontare. Quando un’impresa ha identificato come, quando, e in che modo usare la tecnologia, allora ha senso investire. Se invece l’atteggiamento è più superficiale (per cui il decisore aziendale pensa: provo a inserire un robottino e vediamo cosa succede), non si va da nessuna parte. Insisto, le imprese devono capire come cambiare la propria produzione in modo tale che la tecnologia faccia la differenza. Si tratta di ripensare il  DNA anche, per esempio, delle piccole e medie imprese. Non basta fare tutto come prima e in più inserire la robotica».

 

D. Un grande tema legato all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e anche alla sua introduzione nel mondo produttivo è quello delle regole. Lei stesso ha fatto parte del gruppo di esperti di alto livello sull’intelligenza artificiale organizzato dalla Commissione Ue (HLEGAI, high level expert group on artificial intelligence), Bruxelles ha presentato una proposta di Regolamento sull’Intelligenza artificiale, anche l’Italia ha una Strategia per l’intelligenza artificiale che affronta il tema delle regole. Le chiedo: ma perché, se parliamo sostanzialmente di macchine, è necessario pensare a nuove regole?

robotica collaborativa
Robotica collaborativa

R. «Perchè sono strumentazioni potentissime. E quando facciamo errori, questi sono macroscopici, gravi, possono essere dannosi e anche irreversibili. E’ un po’ come chiedersi per quale motivo è necessario il codice della strada. Ci sono diversi motivi: prevedere sanzioni, a fronte di errori che possono provocare guai seri, e cercare di evitarli. Ci saranno sempre gli incidenti, ma devono rappresentare l’eccezione. Il punto è che le aziende devono saper guidare la tecnologia. Non è un compito difficile, basta prepararsi, come per prendere la patente. Ma è importante insistere sul fatto che la tecnologia bisogna imparare a usarla: consente di non compiere errori evitabili, prevenire invece che curare, ridurre i rischi, che sono calcolabili e calcolati. Poi, quando qualcosa succede, ci sono le assicurazioni».

 

D. Un’ultima cosa, sulla sua vision. Come sarà secondo lei una fabbrica fra dieci anni?

R. «Avremo molto più robotica, in imprese digitalizzate. Vinceranno le aziende che si saranno trasformate per rendere il digitale produttivo, non quelle che si sono limitate a fare un sito web, o a mettere un robottino all’entrata per dire “ciao, come stai, buongiorno”. Quelli che avranno interpretato correttamente la sfida cambiando il business model saranno i vincitori».














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