Ey e Fintech District hanno pubblicato “FinTech waves – The italian FinTech ecosystem“, un’indagine sui trend dell’ecosistema fintech italiano. Un sistema che cresce con un cagr del 60% dal 2016 al 2019, ma che rimane ancora su valori assoluti relativamente bassi: dal 2010 al 2019, sono stati raccolti 700 milioni, 216 dei quali nel solo 2019. Per quanto riguarda il 2020, nei primi 8 mesi sono stati raccolti tramite fundrising 90 milioni di euro. Per fare un paragone con l’Europa, nel 2019 l’Italia ha attirato solo il 2% degli investimenti europei, contro il 50% del Regno Unito e il 29% della Germania.
Il rapporto mette in luce la crescita del numero di fintech del Paese: se nel 2011 erano solo 11, l’ultimo censimento di Ey nel 2020 ne ha contate 345. La maggior parte opera nel settore del crowdfunding, seguito da data analytics, machine learning e intelligenza artificiale, che conta 35 startup. 34 startup offrono pagamenti smart e 30 servizi di lending. Nella maggior parte dei casi parliamo di realtà in uno stadio intermedio (Early Stage ed Early Growth), finanziate tramite risorse personali o business angel. L’investimento mediano è di 700.000 euro per startup, con le Fintech in leggero vantaggio rispetto alle Techfin: il 46% delle prime ha raccolto più di 1 milione di euro, contro il 21% delle techfin.
Il rapporto dedica spazio all’analisi delle aree di sviluppo più promettenti nel breve/medio termine. Second Fy e Fintech District, è importante puntare sulle Pmi, che ricorreranno sempre più ai servizi delle fintech, ma anche su cybersecurity e cyber insurance, che con i passi avanti nei processi di trasformazione digitale diventeranno sempre più importanti. La compliance continuerà a svolgere un ruolo primario nei servizi finanziari, pertanto le RegTech avranno un ruolo fondamentale nella digitalizzazione dei processi regolamentari e con un ruolo attivo nel generare nuove opportunità. Le WealthTech, abilitate dall’I.A. potrebbero portare a una rivoluzione nel settore del Wealth & Asset Management. L’opportunità più importante, però, quella dell’Open Banking, che aprirà la strada a opportunità di collaborazione tra fintech e servizi finanziari.
Fy e Fintech District hanno individuato quattro modelli di collaborazione fra le startup e i classici operatori.
- Accelerate: le istituzioni finanziarie forniscono alle FinTech in fase iniziale investimenti e competenze, e in cambio possono fare leva su tecnologie all’avanguardia per integrare la propria offerta.
- Partner: FinTech e incumbent attivano partnership con l’obiettivo di lanciare nuovi prodotti e servizi per soddisfare specifiche esigenze del cliente.
- Invest: gli operatori tradizionali investono in startup target con l’obiettivo di ottenere una exit finanziariamente sostenibile in futuro.
- Buy: gli operatori tradizionali integrano tecnologie e prodotti al loro interno, consentendo agli imprenditori del fintech di capitalizzare sulle proprie idee imprenditoriali.
«L’ecosistema di imprese fintech offre una grande opportunità di ripresa: il settore si è sviluppato molto negli ultimi 5 anni, ha dimostrato di essere anticiclico e, anzi, ha in parte beneficiato di na accelerazione durante il Covid-19, grazie all’intrinseco DNA digitale», ha dichiarato Alessandro Longoni, Head of Fintech District. «Oggi la città di Milano è sicuramente al centro di questa ripresa e ha davanti a sé un’opportunità unica data da tanti fattori sinergici: in primis la conoscenza del mercato grazie anche a una ricerca di rilievo internazionale come questa che abbiamo svolto insieme a Ey, un evento internazionale in programma il “Milan Fintech Summit”, un progetto istituzionale quale il Fintech Hub di Banca d’Italia e una community di riferimento per l’ecosistema come il Fintech District. In questo
positivo contesto, sarebbe auspicabile un piano di agevolazioni fiscali dedicate a investimenti in Corporate Venture Capital, importanti incentivi alle corporate per investire ulteriormente in innovazione e stimolare virtuose collaborazioni tra fintech e player tradizionali».
Secondo Longoni, la sfida più importante per le startup italiane è quella di «essere in grado di pensare con una visione globale, sfruttare economie di scala e divenire così più attrattive per grandi gruppi e fondi esteri».