Feralpi va verso l’acciaio 4.0: ecco come

di Marco de' Francesco ♦︎ L'azienda bresciana, oltre 1,3 miliardi di fatturato, punta a rendere più intelligenti i propri impianti grazie a tecnologie come intelligenza artificiale, machine learning, digital twin. Un nuovo corso su cui ha puntato buona parte dei 200 milioni di investimenti previsti nei prossimi tre anni. Intervista con il presidente Giuseppe Pasini. Che parla anche di strategie a 360 gradi

Feralpi forno elettrico

«Il dado è tratto». Il gruppo Feralpi, nato più di mezzo secolo fa nel bresciano e cresciuto al centro della più importante siderurgia europea, tra la Germania e il Belpaese, varca il Rubicone delle tecnologie mature ed imbocca la strada dell’Acciaio 4.0. Significa guidare l’avanguardia di un settore cruciale per il Paese, un comparto che vale 60 miliardi con 33.400 occupati, e che in Italia conta altri nomi quali Ori-Martin, Duferco, Arvedi, Danieli, Acciaierie Venete, FinMar (Marcegaglia). Ma cosa vuole diventare, esattamente, Feralpi?   

Il Gruppo – 1,3 miliardi di fatturato (2019), più di 1.500 dipendenti tra Italia, Europa e Africa, con stabilimenti a forno elettrico in sei Paesi che producono 2,5 milioni di tonnellate d’acciaio con il 93% di materiale riciclato – è una realtà industriale che ha fatto della siderurgia al servizio dell’edilizia il proprio core business ed è guidato dal presidente Giuseppe Pasini, che è anche al vertice (seppure in scadenza di mandato) dell’Associazione Industriale Bresciana.  Feralpi intende rendere i propri impianti: più intelligenti, e cioè in grado di esercitare un controllo puntuale su tutte le fasi del processo, per ottimizzare la gestione delle materie prime, migliorare la qualità e l’efficienza; più resilienti, e quindi capaci di gestire le turbolenze di mercato; più “flessibili”, per venire incontro alla diversificazione di prodotto richiesta dal mercato; più sostenibili, e cioè sempre meno dipendenti dall’esterno quanto a risorse critiche. Come intende conseguire questi obiettivi? «La grande sfida del nostro mercato non è produrre, ma come farlo» – ha affermato Pasini.







Giuseppe Pasini – Presidente Feralpi Holding SpA

L’azienda ha dato vita ad un modello avanzato, che sarà presto implementato negli impianti. Grazie a sistemi di visione integrata, il Gruppo sarà in grado di controllare al dettaglio l’intero ciclo produttivo; attraverso il digital twin, si potranno simulare fenomeni critici prima inesplorabili; con l’intelligenza artificiale e il machine learning Feralpi sarà in grado di correggere la produzione automaticamente e di predire fermi e inconvenienti. Nell’ultimo periodo l’azienda ha realizzato “investimenti tecnici” per 54 milioni: in robotizzazione, AI e tecnologie dell’automazione e tracciatura sempre più completa dei prodotti.  E ha ricevuto un finanziamento da 40 milioni da Intesa Sanpaolo per installare tecnologie innovative nello stabilimento di Lonato del Garda, dove il gruppo ha sede. E poi, gran parte dell’investment plan, 200 milioni di euro per i prossimi tre anni, è focalizzata sulla digitalizzazione.

La strada per l’Acciaio 4.0 è intrapresa ma non è tutta in discesa: ostacolano il processo di trasformazione la difficoltà di reperire personale con competenze avanzate e il boom dei costi delle materie prime, che rischia di limare la marginalità.  Di tutto questo ha parlato Pasini, che abbiamo intervistato.

 

D: Qual è stato il primo passo di Feralpi in termini di trasformazione digitale? Quale importanza riveste per il Gruppo l’adozione di nuove tecnologie?

La sede di Feralpi a Lonato (BS)

R: È un caposaldo della nostra strategia di crescita. D’altra parte, non si può fare altrimenti: se l’azienda vuole rimanere competitiva, deve dar vita ad un sistema il più integrato e automatizzato possibile in modo da prevenire e correggere gli errori di produzione e consentire agli operatori di prendere velocemente le giuste decisioni. Noi abbiamo, anzitutto, implementato il gestionale Sap, con il quale amministriamo non solo Lonato ma tutti o nostri impianti in giro per l’Europa.

 

D: Il finanziamento di Intesa Sanpaolo sembra soprattutto diretto all’implementazione dell’intelligenza artificiale.

R: Sì, l’adozione dell’AI riguarda per ora solo Lonato: gli algoritmi sono in grado di innalzare l’efficienza totale dell’impianto grazie ai processi di autoapprendimento. Stiamo accelerando con forza su questo aspetto. Peraltro, dopo la partecipazione a PerMonList, tecnologie del genere saranno applicate a tutti i siti Feralpi.

 

D: Che cos’è, esattamente, il progetto PerMonList?

Una colata di acciaio nello stabilimento Feralpi

R: Un progetto supportato dall’Unione Europea. A parte noi, hanno partecipato sia aziende (le tedesche Bfi e Peiner Träger) che enti di ricerca (il Rina – Centro Sviluppo Materiali di Roma e il Centre de Research Metallurgique del Belgio). L’idea era quella di dar vita a sistemi intelligenti per il controllo delle performance e l’autocalibrazione dei processi, che nel caso della siderurgia e della produzione di acciaio liquido è una questione molto complicata. Si è data vita ad un modello molto avanzato, in grado di fornire una visione integrata dell’intero ciclo in acciaieria: si è in grado di stimare posizione e temperature per tutte le siviere. Inoltre, grazie ai digital twin, e cioè alla simulazione dei fenomeni fisici, e all’analisi predittiva, si possono pronosticare fenomeni altrimenti non misurabili, come la composizione dell’acciaio in arrivo al colaggio. Ancora, con il machine learning, il sistema apprende dalla produzione passata e aggiorna i suoi metodi: in questo modo, è in grado di fornire correzioni in caso di variazioni. Grazie a tutto ciò, sono state sviluppate delle linee guida di gestione dei processi basate su parametri di sintesi ottenuti dalle analisi tecnologiche. Infine, con l’analisi statistica sono stati introdotti nuovi allarmi.

 

D: Mi fa un esempio dei vantaggi per Feralpi di tutto ciò?

R: Sono tanti. Uno è questo: nel caso di PerMonList, in termini di efficienza, l’analisi predittiva della temperatura nelle fasi di processo e l’autoapprendimento sulle variazioni delle condizioni consentono di correggere i trattamenti in corso nel ciclo produttivo, con l’obiettivo di raggiungere un minor consumo energetico del 5 %, la riduzione delle emissioni di Co2 del 10 % e il miglioramento della resa metallica.

 

D: Nel caso di Feralpi secondo Lei si può parlare di “Acciaio 4.0”?

Lo stabilimento Feralpi

R: Posso dire che non è più un obiettivo remoto; è una strada che abbiamo imboccato. L’idea è che i nostri stabilimenti saranno più intelligenti, e cioè in grado di esercitare un controllo puntuale ed effettivo su tutte le fasi del processo. In questo modo, saranno capaci di ottimizzare la gestione delle materie prime, di migliorare gli standard qualitativi e l’efficienza degli impianti. Diventeranno più flessibili, e cioè in grado di venire incontro alla diversificazione di prodotto richiesta dal mercato. E il gruppo, alla fine sarà più resiliente: e questo perché, essendo più capace di gestire la complessità, sarà anche in grado di reagire positivamente alle turbolenze del mercato e, in generale, alle situazioni avverse. Tuttavia, questa strada non è priva di qualche ostacolo.

 

D: Qual è l’ostacolo principale nel quale vi imbattete in questo percorso?

R: Servono competenze, giovani formati che non si riesce a reperire, anche qui nel Bresciano. Questi skill sono molto ricercati, e le persone che li posseggono sono davvero poche.

 

D: A parte la trasformazione digitale, quali sono gli altri pillar della strategia di crescita di Feralpi?

R: Negli ultimi 10 anni la nostra strategia si è fondata su tre pillar.  Il primo è quello della internazionalizzazione. Il secondo, quello della verticalizzazione e diversificazione. Il terzo, quello della sostenibilità.  Quest’ultimo in particolare è collegato alla trasformazione digitale.

 

D: A proposito di internazionalizzazione, Feralpi ha una posizione forte e consolidata soprattutto in alcuni Paesi come (a parte l’Italia) la Germania e la Francia.  Qual è la vostra strategia in materia? Rafforzarsi ancora di più in questi Paesi o tentare nuove vie?

R: La nostra internazionalizzazione è iniziata negli anni Novanta, come esportatori; solo dopo abbiamo acquisito fabbriche fuori dall’Italia. Terrei distinte queste due fasi. Il primo Paese sul quale ci siamo focalizzati è la Germania, che è il primo produttore di acciaio, con 45 milioni di tonnellate all’anno, ma anche un forte consumatore.  Vale quasi il doppio del Belpaese, che con i suoi 25 milioni di tonnellate all’anno è al secondo posto in Europa quanto a produzione. Attualmente, la nostra quota export è già pari al 50%, con beni diretti nel Vecchio Continente, in Nord Africa e in Nord America. Come dicevo, però, ad un certo punto abbiamo fatto il grande passo, iniziando a produrre all’estero.

 

D: Come e perché avete iniziato a produrre all’estero?

R: Ad un certo punto, però, ci siamo resi conto che i costi del trasporto erano crescenti. C’era di mezzo la politica austriaca, che imponeva imposte sul transito nel suo territorio. Perciò abbiamo colto un’opportunità importante, quella di acquisire un’azienda di Riesa (in Sassonia). È così nata ESF Elbe-Stahlwerke Feralpi GmbH, che ha 700 dipendenti sulla quale oggi stiamo investendo in modo massiccio per un nuovo ed innovativo laminatoio. Quello del 1992 è stato il primo passo. Di lì nuove acquisizioni in Ungheria, Repubblica Ceca e Romania (dalla quale, però, siamo usciti nel 2008). Poi in Francia, vicino a Parigi; e poi un magazzino di distribuzione in Algeria. Quest’ultimo Paese è molto ricettivo per il nostro acciaio.  Pertanto in passato abbiamo valutato di entrare nel paese africano con un impianto produttivo; ma le sue particolari condizioni non ci davano garanzie. C’è tuttavia un Paese che potrebbe interessarci.

 

D: Qual è questo Paese?

R: Il Canada, che è un grande importatore di acciaio. Stiamo valutando l’opportunità di fondare uno stabilimento lì, o se acquistarne uno sul mercato. Vedremo…

 

D: Qual è, invece, la vostra politica in termini di verticalizzazione e diversificazione?

La sostenibilità è un tema molto attuale nell’industria siderurgica

R: Partiamo da un dato di fatto: noi produciamo una commodity. Che però, prima di essere utilizzata, va trasformata. Pertanto, abbiamo deciso di occuparci anche di questo secondo aspetto, acquisendo aziende in grado di lavorare l’acciaio. La prima (2009) è stata la De.Fi.M Orsogril di Alzate Brianza, dalle parti di Como, attiva nella produzione delle reti elettrosaldate per uso sia edile che industriale, ma anche nelle recinzioni e cancellate in filo metallico, oltre ai grigliati. E poi Presider, nel torinese, tra i leader nella presagomatura dell’acciaio. Grazie a questa politica, siamo presenti nelle grandi opere, dalla Tav al cantiere del Brennero. Poi si è trattato di diversificare rispetto al nostro core-business, che è l’acciaio per l’edilizia. Di qui l’acquisto della Caleotto (2020, dalla Duferco, dopo cinque anni di joint venture paritetica tra i due gruppi siderurgici), azienda di Lecco operativa nel mondo della laminazione da oltre un secolo. Ora produciamo 200mila tonnellate all’anno vergella di qualità, a basso, medio e alto carbonio, diretta alla meccanica, all’engineering e all’automotive: se ne fanno per lo più molle, viti, e filo per saldatura. Su questo fronte siamo sempre molto aperti, ma agiamo con cautela.

 

D: In termini di sostenibilità, invece?

R: A Lonato, dove abbiamo la nostra sede, abbiamo realizzato a sistemi di teleriscaldamento che si basano sul recupero del calore generato dalle acque utilizzate per il processo di raffreddamento dell’acciaio. Il fluido viene convogliato in una rete che permette di riscaldare in modo sostenibile sia gli edifici interni aziendali che quelli pubblici – fra cui il Municipio, gli istituti scolastici e una residenza sanitaria assistenziale – e privati della città gardesana. E anche in Germania, a Riesa, abbia dato vita ad un sistema equivalente per recuperare il calore trasformato in vapore ed energia. Dal punto di vista industriale, invece, c’è la questione degli scarti: noi li riutilizziamo. Con le scorie facciamo prodotti per i sottofondi stradali, e con i tecnopolimeri derivanti dal recupero di plastiche non più riciclabili sostituiamo il carbone nella fase fusoria. Acceleriamo i processi di recupero e l’economia circolare. Noi le cose le facciamo veramente, in questo campo.

 

D: Non è così per tutte le imprese?

R: L’impressione è che molti ne parlino e basta. D’altra parte, è un tema edificante.

 

D: Qual è la posizione di Feralpi relativa al grande tema del momento nell’acciaieria, quello dell’idrogeno. In quale parte del processo potrebbe essere utilizzato?

R: Nei nostri processi, che contemplano l’utilizzo di forni elettrici, non penso che l’idrogeno svolgerà un qualche ruolo. Si potrebbe immaginare di servirsene nella pulitura del rottame di ferro; ma noi in questo campo abbiamo già un nostro sistema, tutelato da know how, che non prevede quel gas.  Il discorso è completamente diverso per l’altra siderurgia, quella degli altoforni, come l’ex Ilva di Taranto. È un modello di produzione che ha un impatto ambientale più importante, per cui l’idrogeno può rappresentare una soluzione alle emissioni nocive. Può svolgere un ruolo nella decarbonizzazione, che com’è noto è favorita dalle politiche che si stanno via via imponendo in tutti i Paesi. Questi, però, sono i ragionamenti dell’aprile 2021. Chi lo sa, magari fra sei mesi si scopre una nuova applicazione dell’idrogeno utile anche per i forni elettrici.

 

D: Il 2020 è stato un anno difficile a causa del Covid-19. Come ha reagito Feralpi?

R: Lo scorso anno noi siamo stati fermi per due mesi a Lonato, a marzo e ad aprile. In Germania, invece, il lockdown non c’è stato.  In ogni caso, a livello di gruppo, nel secondo semestre abbiamo recuperato i volumi persi nella prima parte dell’anno; ma i ricavi e la marginalità ne hanno risentito. L’ebitda è positivo, ma abbiamo fatto meno strada di quanto non pensassimo di farne pre-pandemia.

 

D: L’anno in corso, invece, come sta andando?

R: Quest’anno è caratterizzato da un aumento considerevole del costo delle materie prime, i materiali ferrosi (secondo Siderindex, del 50% da novembre 2020 a marzo 2021; Nrd).

 

D: A cosa è dovuto questo fenomeno, secondo Lei? Ad un aumento dei costi di trasporto e di stoccaggio? Al trading speculativo sul mercato delle materie prime?

Alessandro Banzato, presidente di Federacciai.
Alessandro Banzato, presidente di Federacciai

R: A nessuna di queste circostanze nello specifico. È dovuto ad un mix di cause, ma innescate dal surriscaldamento dell’economia cinese e di quella americana. I due giganti cresceranno, quest’anno, rispettivamente di oltre il 7% e di oltre il 6%, quindi più del doppio del Vecchio Continente, che forse si fermerà al 3%.  Quei due Paesi non solo si sono ripresi velocemente, ma stanno correndo e stanno facendo incetta di materie per le loro industrie. È un fatto che dimostra la debolezza dell’Europa; e in un certo senso è più grave dell’ipotesi della “bolla speculativa”: un’inversione di tendenza non è prevista.

 

D: L’Europa si sta dimostrando debole?

R: Come modello politico, non è abbastanza vicino all’impresa quanto lo sono Cina e Usa. Si pensi alla questione dei dazi americani. Bisognava reagire con più energia.

 

D: Non teme che un’eccessiva pressione al ribasso sui margini industriali possa avere effetti di penalizzazione su cash flow e investimenti?

R: Per ora no, anche se abbiamo potuto ribaltare il sovra-costo sul prodotto e poi i prezzi a valle solo parzialmente. Ora le quotazioni si sono stabilizzate, seppure ad una quota molto alta.  Anche il 2021 sarà positivo, per noi.

 

D: A proposito di investimenti, avete un piano triennale consistente il cui valore è già stato citato. Su cosa puntate?

R: Vogliamo acquisire nuove linee produttive, efficientare quelle esistenti puntando sulla competitività e sulla valorizzazione delle risorse interne. Per noi gli investimenti sono importanti; d’altra parte, abbiamo ammortamenti per quasi 50 milioni all’anno.

 

D: Avete in mente acquisizioni?

R: Per ora no. Valuteremo, però, la possibilità di acquisire aziende in Canada. Ma allo stato non c’è nulla di concreto.

 

D: Quali azioni governative potrebbero rendere ancora più competitiva la siderurgia italiana, e quindi anche Feralpi?

Giancarlo Giorgetti, ministro dello sviluppo economico

R: Si potrebbe cominciare con l’evitare di attribuire alle partecipate dello Stato dei nomi fuorvianti. Credo che chiamare l’ex Ilva “Acciaierie d’Italia” sia stato un errore. Così, in un momento in cui nel mondo intero l’ambiente e la sostenibilità contano così tanto, si dà l’idea che la produzione del nostro Paese dipenda dagli altoforni. Invece, solo il 20% è legato da questo modello; l’80% è elettrico ed è sempre più green. Noi siamo un’altra cosa. Le nostre aziende si sono imposte in Europa nonostante, negli anni passati, pagassero l’energia più del 30%, 40% rispetto a quelle tedesche. Da imprese come Feralpi dipende un ecosistema di Pmi, impegnate nella lavorazione del metallo. La siderurgia è una colonna dell’industria e dell’economia italiana. Puntare il proiettore solo sull’ex Ilva è fuorviante. Per il resto, mi attendo che con il Recovery Fund imprese come la nostra possano essere facilitate nella trasformazione digitale e green.














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