EY traccia… il sentiero e diventa Pathfinder del Cfi

di Marco de' Francesco ♦︎ La multinazionale della consulenza era già membro del Cluster Fabbrica Intelligente e aveva affiancato l'ultimo impianto faro, quello di Wartsila, nello sviluppo dell'Opificio Digitale. Con l'ingresso nel gruppo tematico 6 diventa ancora più importante la sua strategia nello sviluppo di sistemi di produzione evolutivi e adattivi

EY entra nel Cluster Nazionale Fabbrica Intelligente (CFI) come Pathfinder, con la missione di partecipare al Gtts 6, il gruppo tematico tecnico scientifico focalizzato sui sistemi di produzione evolutivi e adattativi. Un tema complesso e delicato, molto legato all’Intelligenza Artificiale e di cruciale importanza per il futuro del manifatturiero italiano. In pratica, EY intende occuparsi del dialogo fra le applicazioni che sono presenti nello shopfloor delle fabbriche e gli apparati di controllo: l’obiettivo è quello di utilizzare informazioni provenienti dalle macchine per ottenere insight utili a prendere decisioni immediate. Si vogliono pertanto studiare le condizioni per la realizzazione di sistemi produttivi in grado di modificarsi in base alle mutevoli condizioni di contesto, determinate dalla turbolenza della domanda, dalla rapidità dei cicli tecnologici e dalle dinamiche della situazione competitiva.

È questo l’ambito di attività di EY in CFI, l’associazione che dal 2012 riunisce tutti i portatori di interesse del manifatturiero avanzato in Italia: aziende, regioni, università ed enti di ricerca con l’obiettivo di creare una comunità manifatturiera avanzata, stabile e competitiva. Ma quali tecnologie favoriscono la creazione di sistemi self-adaptive? Soprattutto le piattaforme dotate di AI e machine learning di cui  EY – parte di un network mondiale della consulenza e della revisione contabile – dispone, soprattutto (ma non solo) a seguito dell’acquisizione di Teorema (azienda fondata a Trieste da Michele Balbi). Secondo Stefano Venchi, Partner di EY «il tema dei sistemi adattativi ha assunto un particolare rilievo con la pandemia, perché le aziende manifatturiere si sono trovare di fronte a imprevisti rispetto ai quali hanno faticato a reagire positivamente».







Il presidente del CFI Luca Manuelli

Secondo il presidente di CFI Luca Manuelli (che è anche Cdo di Ansaldo Energia e Ceo di Ansaldo Nucleare) «l’intesa con EY si inserisce idealmente nella missione inclusiva del Cluster, che aggrega attori diversi ma tutti in grado di fornire un proprio contributo sostanziale allo sviluppo ed applicazione dell’innovazione tecnologica nel settore manifatturiero.  Con le sue competenze di system integrator a livello globale aiuterà il Cluster a sviluppare il sistema industriale italiano con un focus particolare sulle PMI. D’altra parte la trasformazione digitale non è solo un tema di sviluppo di nuove tecnologie, ma anche di applicazione ottimale attraverso lo sviluppo delle competenze idonee alla messa a terra delle innovazioni».

Ma che cos’è esattamente un Pathfinder? Va premesso che l’azienda era già membro di CFI. In questa prima veste, per il tramite della controllata Teorema, ha contribuito a dar vita al Lighthouse Plant Opificio Digitale – Wärtsilä Italia. Gli Impianti Faro sono dimostratori tecnologici destinati ad illustrare gli sviluppi di tecnologie “pratiche”, a far constatare a imprese più piccole che certe applicazioni sono efficaci. Come vedremo, secondo EY i Lighthouse svolgono una funzione fondamentale attraverso le iniziative di filiera nel colmare il gap di competenze tecnologiche tipico delle imprese di dimensioni ridotte. Sempre come membro, ha collaborato alla redazione del documento di Cfi “Produrre un Paese resiliente e sostenibile”, documento diretto al decisore politico con l’obiettivo, tra gli altri, di rendere le imprese capaci di reagire agli imprevisti e di superare eventi traumatici, come il Covid-19. In questo ambito, EY si è occupata della resilienza delle supply chain.

Ora invece, come Pathfinder, e cioè come partner tecnologico di Cfi, EY è chiamata ad immaginare il futuro e le traiettorie delle tecnologie manifatturiere di cui si occupa, aiutando la community del cluster a prendere la giusta direzione. Questa attività è destinata ad incidere sulla Roadmap di CFI, documento strategico che viene proposto alle Istituzioni per indirizzare le attività di ricerca e innovazione delle aziende manifatturiere, individuando le loro principali necessità in termini di avanzamento tecnologico nei prossimi cinque anni. Secondo EY, tuttavia, l’attività interpretativa e predittiva dei trend tecnologici va integrata con una particolare metodologia. «Non basta “prevedere” quale direzione prenderà una tecnologia: occorre individuare lo scopo della sua implementazione, per capire se è utile o meno a quella azienda particolare; ma anche le modalità, e quindi il percorso di integrazione, per evitare che un’impresa prenda una strada lunga e faticosa; e il luogo, perché alcune tecnologie richiedono infrastrutture che non sono sempre presenti sul territorio», spiega ancora Venchi.

 

Tecnologie coinvolte nella realizzazione dei sistemi adattivi

Massimo Antonelli, ceo di Ey in Italia e coo della regione Ey Europe West

Si diceva, all’inizio, dei sistemi adattivi. L’argomento scelto da EY è fra i più complessi. E questo per un insieme di motivi. Anzitutto perché i modelli di produzione tradizionali possono spesso ostacolare la capacità di un’azienda di rispondere al cambiamento; e poi perché, ovviamente, non c’è soluzione che valga per il lungo periodo: per sopravvivere e prosperare, i produttori devono essere in grado di modificare e innovare i propri sistemi. Si possono individuare, però, dei framework di riferimento, partendo dalle qualità di cui deve disporre un sistema adattivo. Dev’essere senz’altro “intelligente”, e cioè capace di estrarre dai dati raccolti dalle macchine un valore spendibile per modificare l’attività di fabbtica.  Ad esempio, i dati di velocità di rotazione di un mandrino possono essere elaborati per comprendere se quello strumento sarà utile per una certa produzione che si vuole realizzare.  Normalmente, le stesse informazioni possono essere utilizzate per comprendere lo stato di salute della macchina: qui si tratta di una “previsione” più complessa, che prende in considerazione più variabili anche eterogenee tra di loro. Inoltre, il sistema adattivo deve essere “agile”, e cioè rispondere immediatamente al cambiamento. Bisogna fare in modo, cioè, che i sistemi di controllo siano in grado di reagire portando delle modifiche sull’attività dello shopfloor.

Dunque, quali tecnologie possono essere utili? Si sono citate, all’inizio, le piattaforme dotate di AI e machine learning.  Perché? Perché sono gli strumenti che consentono di prendere rapide scelte basate sui dati; e in certe condizioni sono in grado di decidere da soli. L’AI è infatti costituita da software (talora utilizzati in collaborazione con hardware) che sono in grado di percepire l’ambiente che li circonda, acquisire ed interpretare dati, e formulare decisioni basate sull’evidenza raccolta per raggiungere un obiettivo prefissato.  Il machine learning è l’apprendimento automatico: il sistema impara dall’esperienza. È in grado di svolgere ragionamenti induttivi, elaborando regole generali definite associando l’input all’output corretto.

L’attività di EY in quanto pathfinder

Come accennato all’inizio, una volta identificate le tecnologie, si tratta di individuarne le traiettorie di evoluzione. Il contesto è già stato indicato: il Gtts 6, uno dei sette gruppi tematici tecnico-scientifici formati da esperti, docenti universitari e soci del cluster sono impegnati nella redazione della seconda Roadmap (la prima, di valenza quinquennale, ha concluso il suo ciclo nel 2020), che sarà terminata a breve. Nel documento, citato all’inizio, vengono individuati macro-scenari di sviluppo, le cosiddette linee di intervento. È stata definita una matrice, che consente alle aziende di posizionarsi lungo queste direttrici in base al proprio percorso di innovazione.

 

La metodologia EY da associare all’attività di individuazione delle traitettorie delle tecnologie

Quanto alla citata metodologia, secondo EY bisogna tener conto di questi elementi:

1.      Lo scopo della digitalizzazione

Andrea Bochicchio, presidente di Wärtsilä Italia

A prescindere dall’evoluzione di una tecnologia, non è detto che la sua applicazione sia necessaria per un certo tipo di imprese e in un determinato momento storico: va valutata l’opportunità di farlo. Ad esempio, il Covid-19 ha messo in risalto quelle tecnologie che consentono di reagire positivamente agli imprevisti. Esistevano anche prima, ma la loro importanza è aumentata a seguito degli eventi.  Infatti, secondo la survey EY-SWG presentata in occasione dell’EY Summit Infrastrutture di qualche settimana fa – e che ha coinvolto oltre 400 manager e dirigenti pubblici italiani che si sono espressi sui temi della digitalizzazione e della sostenibilità – il 60% pensa che il lockdown abbia obbligato le aziende a rivedere i propri modelli organizzativi, e che ciò determini un adeguamento anche in termini di dotazione strumentale per aumentare la digitalizzazione.

 

2.      L’applicazione concreta

Va analizzato il “come”, e cioè con quale percorso le aziende possono mettere a terra una certa tecnologia. Se le imprese non hanno le idee chiare in materia sin dall’inizio, sono costrette ad inventarsi degli iter complicati o improduttivi.

 

3.      Il luogo dell’applicazione

Non è detto che una singola tecnologia, a prescindere dalla sua evoluzione, abbia lo stesso impatto in territori diversi. Ad esempio: i sistemi di comunicazione mobile richiedono impianti specifici, la cui presenza o densità può variare notevolmente fra regioni anche contigue. Del resto, secondo la citata survey EY-SWG il 54% degli intervistati è convinto che ci sia ancora un gap in infrastrutture digitali nel Belpaese e che superare questo problema sia una priorità principale per dare avvio agli investimenti da parte delle imprese. Inoltre, non è indifferente, in vista di percorsi di digitalizzazione, che le aziende abbiano o meno la possibilità di inserirsi in ecosistemi locali o in zone dove l’industria sia favorita. Infatti, secondo la stessa ricerca, il 34% degli intervistati indica come seconda priorità la localizzazione delle filiere: bisogna investire prima nelle aree produttive e distretti industriali.

 

Il contributo di EY all’impianto faro di Wärtsilä Italia

Tour virtuale dell’impianto triestino di Wartsila

Wärtsilä Italia, è l’ex Grandi Motori Trieste di Fincantieri ma da 20 anni parte di Wärtsilä Corporation, azienda con sede ad Helsinki specializzata nella fabbricazione di sistemi di propulsione e generazione di energia per uso marino e centrali elettriche. Le cose sono andate così: Wärtsilä Italia assieme a Area Science ParkEY e Cnr, hanno lanciato Opificio Digitale, ecosistema industriale basato su una piattaforma software open source di supporto alla produzione lungo tutta la filiera, e sulla realizzazione di uno spazio collaborativo, un luogo fisico all’interno degli stabilimenti di Wärtsilä Italia a Trieste dove poter interagire e condividere tecnologie con università, centri di eccellenza e aziende.

Nel corso di questo progetto ci si è però resi conto che la tecnologia è ormai una «commodity importante», ma solo investendo sulla crescita delle risorse umane si possono conseguire risultati di rilievo in termini di digital transformation. Per questo Wärtsilä Italia ha assunto il ruolo di Lighthouse: il concetto di base è che l’azienda pivot e quelle della supply chain possono dotarsi di strumenti e metodi anche formativi per combinare le esperienze e conoscenze: lo scambio produce un vantaggio complessivo maggiore di quello che si avrebbe sommando le competenze delle singole componenti della catena del valore.

Così, secondo Francesco Lecis, responsabile del mercato prodotti industriali – EY, gli Impianti Faro danno vita ad «uno scambio culturale che funziona» e possono incidere sul «considerevole gap tra gli skill indispensabili per avanzare nella digital transformation e quelli realmente posseduti dal personale delle aziende. La sfida è colmarlo in tempi rapidi».  Pertanto per Lecis, anche grazie ai Lighthouse, «Cfi è il luogo giusto per veicolare competenze».

Il contributo di EY al documento “Produrre un Paese resiliente e sostenibile”

Tullio Tolio, presidente del Comitato tecnico scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente

Come già accennato all’inizio, nell’elaborazione del documento EY Italia si è focalizzata sulla resilienza delle supply chain. Secondo Venchi, nel corso della pandemia le catene di fornitura «si sono dimostrate fragili perché concentrate sull’efficienza e non sulla gestione del rischio e sulla flessibilità – anche se poi la crisi è stata in parte attenuata dalla presenza di scorte». Sempre per Venchi, è improvvisamente emersa l’utilità di alcune tecnologie che non sono destinate a scomparire con il regresso della pandemia: «Gli unici canali di vendita sono stati quelli digitali che sono esplosi soprattutto nel B2C e appresentano una modalità da sviluppare nei prossimi anni». Ma come devono organizzarsi le aziende per dar vita a catene di fornitura più resilienti?  «Dal punto di vista delle filiere – ha affermato Venchi – è necessario cambiare strategia bilanciando tra fornitori vicini e lontani predisponendo un piano di trasformazione digitale focalizzato sulla flessibilità, ad esempio su quella degli asset con la sostenibilità al centro».

Quello della resilienza delle catene di fornitura è un argomento molto importante, per EY; infatti dalla survey EY Capital Confidence Barometer 2021 (pubblicata a fine marzo) risulta che il 9% degli intervistati in Italia, contro il 16% a livello globale (su un panel di 2.400 dirigenti di azienda da 52 Paesi), ha tra i propri obiettivi quello di rivedere la propria supply chain per essere più resiliente in caso di futuri choc.

Il documento “Produrre un Paese resiliente e sostenibile” individua le tecnologie capaci di garantire la resilienza del manufacturing. Di qui la proposta di interventi immediati (ad esempio, soluzioni per la tracciabilità) e a medio termine (ad esempio, cobot e cyber security); e include una proposta di politica industriale, diretta ai ministeri interessati: quella di dotare l’Italia di un sistema di “pronto intervento” in grado di realizzare qualsiasi prodotto richiesto dal Paese.














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