Ex-Ilva: Patuanelli punta alla nazionalizzazione. Ma deve ricucire con i sindacati

di Marco de' Francesco ♦︎ Il ministro deve dipanare rapidamente la matassa. La colpa non è tanto di ArcelorMittal, ma degli utimi due governi in preda a un populismo insensato, scudo penale in primis. I 5mila esuberi sono solo l’ultima puntata di una vicenda tragicomica. Ne abbiamo parlato con il segretario generale della Fim Cisl Taranto Brindisi Biagio Prisciano

Stefano Patuanelli. Photo credits mise.gov.it

Nella fase finale della madre di tutte le vertenze, il governo cerca l’appoggio dei sindacati. Messo un po’ all’angolo dalle recenti pretese monstre della multinazionale franco-indiana ArcelorMittal – 5mila esuberi, produzione ridotta e richiesta di garanzia statale su un prestito da 600 milioni – e costretto ad inventarsi da un giorno all’altro la nazionalizzazione dell’ex-Ilva, il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha convocato in call conference i rappresentanti dei lavoratori per il 9 giugno, alle 10 del mattino.

Quello che non è chiaro al Mise possiamo anticiparlo con franchezza: il rapporto con i sindacati è compromesso. Questi ultimi ripongono uguale sfiducia nell’esecutivo e nel colosso dell’acciaieria. E credono alla nazionalizzazione ancor meno che nella continuazione del rapporto con la multinazionale. I rappresentanti dei lavoratori non dimenticano di essere stati bellamente ignorati negli accordi di marzo, quando l’esecutivo ha concesso a ArcelorMittal la scappatoia giuridica: una clausola grazie alla quale quest’ultima può lasciare il campo di battaglia pagando mezzo miliardo, ossia meno di cinque dodicesimi delle sue perdite attuali a Taranto.







Ai sindacati non sfugge che il drammatico pasticcio che si gioca sulla pelle dei lavoratori è nato a causa di disastrosi errori strategici degli ultimi due governi Conte: per accarezzare l’elettorato giustizialista, si sono esibiti in insensate manifestazioni muscolari a proposito dello scudo penale, che pure era parte di accordi pregressi. Sapendo che di fronte alla magistratura poteva finire male, si è cercato di metterci una pezza in extremis, con laute concessioni ancora più controproducenti per il sito e per i lavoratori. Dunque, il presupposto per riattivare il dialogo è un po’ diverso da quello che si aspetta Patuanelli. Consiste, fondamentalmente, nella cancellazione della parola esuberi e nella ripartenza dagli accordi di due anni fa, che vincolavano la multinazionale al sito. Altrimenti sarà lotta dura, con tutti gli strumenti che la legge consente ai lavoratori. Parola del segretario generale della Fim Cisl Taranto Brindisi Biagio Prisciano, che abbiamo intervistato.

 

D. Finalmente i sindacati sono stati convocati, seppure con una conference call. Tornate della partita, dopo l’esclusione dai giochi di primavera?

il segretario generale della Fim Cisl Taranto Brindisi Biagio Prisciano

R. «In effetti non abbiamo mai visto gli accordi di marzo, dai quali eravamo stati volutamente esclusi. È strano che una partita così importante, come quella relativa all’ex-Ilva – che non riguarda solo Taranto ma le sorti dell’acciaieria italiana – abbia conosciuto un periodo di mancato confronto tra le parti sociali. Ora però, torniamo per dire la nostra».

 

D. Anzitutto, come giudica il piano proposto ieri da Arcelor Mittal al governo?

R. «Un bagno di sangue per i lavoratori, che però non passerà. Con tutta evidenza c’è chi pensa che la sintesi del conflitto tra la multinazionale franco-indiana e l’esecutivo possa risolversi con un danno esclusivo per il personale, mentre gli altri attori della partita si danno la colpa e si rinfacciano questo e quello. Qui si parla di 5mila persone, non di 5mila codici dipendenti. In un contesto drammatico, come quello pugliese, che è in testa alla triste classifica delle domande di sussidio per disoccupazione. Normalmente, poi, le aziende, quando trattano con un governo, non si limitano a licenziare, ma fanno concessioni: ad esempio, si impegnano per la ricollocazione o altro. Qui, invece, assistiamo ad un atto di forza, con il quale la multinazionale pretende e basta: mette sul piatto, oltre ai licenziamenti, un’importante riduzione dei volumi, dagli otto milioni di tonnellate di metallo all’anno alle sei milioni, nonché la richiesta di garanzie statali su un prestito di 600 milioni. E poi si dà un mezzo addio all’altoforno 5, quello più importante. Infine, va ricordato che fra i 5mila esuberi, 1.800 sono quelli dell’amministrazione straordinaria che dovevano essere ricollocati dall’azienda. Servivano per le bonifiche, e quindi anche il tema ambientale sembra finire in secondo piano».

 

D. Che via aspettate che vi dica, il ministro Patuanelli?

I lavori iniziati da ArcelorMittal Italia all’ex Ilva di Taranto

R. «Immagino anzitutto che abbia la cortesia di spiegarci nel dettaglio sia l’accordo di marzo, che non conosciamo, che il piano di ArcelorMittal, che è nelle sue mani».

 

D. E dunque?

R. «E dunque ascolteremo, ma noi non riconosciamo né l’uno né l’altro. Al primo non abbiamo partecipato; il secondo è quanto di più distante da come la vediamo noi. Il presupposto, per governo e multinazionale, per trattare con i sindacati, è quello di dimenticare la parola esuberi. Che erano forse impliciti, a quanto ne sappiamo, in un addendum agli accordi di marzo, e che ora sono stati evidenziati con forza da AM. Ma noi non ne vogliamo sapere niente. Se si parte da questo principio, siamo disponibili al confronto, con l’esecutivo e con l’azienda. Qualsiasi altra opzione, che non preveda la cancellazione immediata degli esuberi, per noi non esiste. Non possiamo cedere neanche di un millimetro. Forse non lo si è capito abbastanza, ma una vertenza che dura dal 2012 è la madre di tutte le vertenze, in Italia. E poi il territorio è stanco. I lavoratori in cassa campano con 600 o 700 euro. L’indotto non sta vedendo un euro. Il sindacato ha il dovere di una visione realistica del mondo, ma anche quello di farsi valere. E così ci stiamo preparando alla battaglia, con tutti i mezzi che ci sono consentiti dalla legge».

 

D. Chi non ha avuto una visione realistica del mondo?

Altoforno dell'Ilva di Taranto
Altoforno dell’Ilva di Taranto

R. «Ad esempio, diversi esponenti dei governi Conte I e Conte II. Tutta quella manfrina sullo scudo penale, messa in piedi da taluni che erano motivati solo da scopi elettorali, ha prodotto un danno pazzesco, ed è la vera causa dell’attuale situazione. Metto lo scudo, tolgo lo scudo: sapendo benissimo di aver torto dal punto di vista legale. Si pensi che gli accordi del 2018 erano granitici, assolutamente favorevoli a lavoratori e territorio e incollavano ArcelorMittal al sito di Taranto e alle proprie responsabilità. Non c’era via di fuga. Il patto prevedeva occupazione per 10.700 dipendenti, oltre 4 miliardi di investimenti in tecnologie, lavori importanti per il recupero ambientale, e aumento della produttività. Più di così, era difficile immaginare. Invece, con la vicenda dello scudo legale il governo si è messo all’angolo, ma soprattutto ha messo all’angolo noi».

 

D. Che fate, se il governo e la multinazionale non mettono da parte la parola esuberi o non intendono ripartire dagli accordi di due anni fa?

R. «La Storia ci insegna che il mondo cambia grazie alle spinte che provengono “dal basso”, e i sindacati di battaglie che hanno cambiato il mondo ne hanno fatte parecchie. Qui stiamo parlando della mobilitazione di tutti i metalmeccanici e non solo di Taranto, ma anche di Genova e di Racconigi. Ci sarà una forte azione collettiva. Non deve passare l’idea che il pasticcio creato da terzi possa ricadere sulle spalle dei lavoratori. Ora basta».

 

D. Non è improbabile che il ministro Patuanelli vi parli della sua idea per uscire da tutto questo, e cioè la nazionalizzazione dell’ex-Ilva

I lavori iniziati da ArcelorMittal Italia all’ex Ilva di Taranto

R. «È da un po’ che se ne sente parlare: un giorno deve intervenire la Cassa Depositi e Prestiti, l’altro la Snam, e l’altro ancora Invitalia. Forse i promotori dell’iniziativa non hanno le idee sufficientemente chiare; o forse dietro non c’è niente, ma solo chiacchiere per far vedere che c’è un piano B. Non mi sembra normale che una questione di importanza strategica per la siderurgia e per l’economia italiana debba essere trattata così. E poi: nazionalizzare significa che i costi della bonifica di Taranto, che sono diversi miliardi, non ce li mette più ArcelorMittal ma ricadono sulle spalle degli italiani. Siamo sicuri che questi siano d’accordo? Io non credo. E poi, alla nazionalizzazione crede poco anche il ministro delle Finanze Roberto Gualtieri, che spinge per il dialogo con la multinazionale».

 

D. E allora, come se ne esce?

R. «Tornando alla serietà. Alla normalità dei rapporti tra le parti sociali. Ai patti del 2018 e alla regola degli Zero Esuberi. A noi poco importa se l’ex Ilva avrà questa o quella bandiera. Per noi contano solo il lavoro, la salute e la sicurezza dei dipendenti».

 

Storia dell’Ilva in pillole

L’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli. Foto credits italia.arcelormittal.com

Nasce come Italsider – gruppo siderurgico derivante dalla Società altiforni e fonderie di Piombino, fondata a Firenze nel 1897 – ma già in mano pubblica (Iri) al momento della posa della prima pietra, il 9 luglio 1960.  Il primo altoforno entra in funzione quattro anni dopo. Dopo la crisi dell’acciaio e la liquidazione di Italsider, lo stabilimento passa nel 1995 al gruppo Riva, travolto nel 2012 da un’inchiesta per bancarotta. Va peraltro sottolineato che nel luglio 2019 l’ex vice-presidente del gruppo Fabio Arturo Riva è stato assolto dal Tribunale di Milano perché il fatto non sussiste. Al tempo, tuttavia, lo Stato avvia una procedura di commissariamento dell’azienda e una gara internazionale per la ri-assegnazione. La Am Investco, cordata formata dal colosso industriale indiano ArcelorMittal e da Marcegaglia è scelta per avviare le trattative di acquisizione. Nel novembre 2018 è ufficialmente di proprietà di ArcelorMittal e prende il nome di ArcelorMittal Italy. Il ministro Di Maio, subentrato a Carlo Calenda, era stato particolarmente critico rispetto alla regolarità della gara. Ciononostante, l’8 settembre dell’anno scorso il titolare dello Sviluppo economico chiude il procedimento a condizioni quasi identiche rispetto a quelle previste dalla proposta Calenda: 10.700 assunzioni (contro 10mila più 1.500 da parte di società per attività esternalizzate), e 250 milioni di incentivi all’esodo (contro 200). Successivamente, si assiste a insensate manifestazioni muscolari a proposito dello scudo penale, che pure era parte di accordi pregressi. Sapendo che di fronte alla magistratura poteva finire male, si è cercato di metterci una pezza in extremis, con gli accordi di marzo, con i quali si stabilisce che Arcelor Mittal può abbandonare il campo di battaglia aprendo il portafoglio per solo mezzo miliardo di euro di penale.














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