Ex-Ilva, piano shock di ArcelorMittal: 5mila esuberi. Patuanelli: così è irricevibile

di Marco de' Francesco ♦︎ La multinazionale ha presentato un dossier per provare a rilanciare l’acciaieria più grande d’Europa, fiaccata anche dal Covid. Richiesta garanzia statale da 600 milioni. Ma il governo fa muro

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Veduta dello stabilimento dell'ex Ilva, ora ArcelorMittal Italia

Cinquemila esuberi, riduzione della produzione e una garanzia statale su un prestito di 600 milioni. È il conto che ArcelorMittal ha illustrato al governo italiano per continuare a gestire l’ex-Ilva. Il piano del colosso franco-indiano dell’acciaieria guidato in Italia dall’ad Lucia Morselli presenta condizioni difficilmente accettabili dall’esecutivo, che nei mesi scorsi si era opposto risolutamente ad ipotesi di riduzione del personale.

Solo che la multinazionale ha il coltello dalla parte del manico, potendo uscire di scena aprendo il portafoglio per pochi soldi. A questo punto, il governo è spaccato a metà: mentre il titolare del Mise Stefano Patuanelli punta, obtorto collo, sulla nazionalizzazione dell’azienda tramite la Cassa e Depositi e Prestiti, il ministro delle Finanze Roberto Gualtieri vorrebbe tentare la strada di un ulteriore accordo con AM. I sindacati, invece, sono sul piede di guerra.cdp







 

Il piano choc che era nell’aria

Come peraltro già annunciato da Industria Italiana più di dieci giorni fa in questo articoloArcelorMittal ha presentato al governo – e quindi ai ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro – il piano monstre, quello destinato a mettere il Conte II all’angolo. È, con tutta probabilità, un disegno volutamente inaccettabile dall’esecutivo, in modo da consentire lo sganciamento della multinazionale franco-indiana dall’Italia e soprattutto dal sito di Taranto. Le armi per far ciò, come già rilevato, gliele ha fornite il governo, che a marzo ha concordato una penale ridicola – mezzo miliardo di euro – in capo all’azienda, nel caso in cui volesse chiudere la porta e abbandonare il campo di battaglia. Niente, se si considerano le perdite italiane pari a oltre 100 milioni al mese o le spese miliardarie per il risanamento ambientale del sito ionico.

 

Cinquemila esuberi, produzione ridotta e richiesta di garanzia statale su un prestito da 600 milioni

Il Ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Photo credits mise.gov.it

Anzitutto, la dolorosa pagina degli esuberi. Sono ben 3.200, cui vanno aggiunti i 1.800 rimasti incastrati nell’amministrazione straordinaria e che Arcelor-Mittal si era impegnata a riassorbire. L’organico sarebbe ridotto pertanto a 7.500 lavoratori, numero ben inferiore ai 10.700 dipendenti fissati a settembre 2018, prima dell’inizio della vicenda delle manifestazioni muscolari a proposito di scudo penale, nelle quali va ricercata la causa dell’attuale situazione. Di fatto, come previsto da Industria Italiana, l’accordo di due anni fa è stato cancellato. Nelle 500 pagine presentate al governo se ne fa strame.

Si stabiliscono anche i volumi previsti per i tempi in cui l’acciaieria funzionerà a regime, e cioè in tre o cinque anni. Dagli otto milioni di tonnellate di metallo stabilite nel 2018 si passa a sei milioni. Saranno realizzate, se lo saranno, dagli altiforni Af01, Af02 e Af04. Viene rinviato il rifacimento dell’altoforno Af05, quello più importante e fermo ormai dal 2015. Secondo i sindacati, si tratta di una mossa che va nella direzione di smantellare lo stabilimento.

Il documento mette nero su bianco la richiesta di una garanzia statale su un prestito di 600 milioni. A questo punto la palla passa in mano all’esecutivo, che però non sa cosa fare. A quanto riporta La Repubblica, mentre il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli starebbe portando avanti un progetto di nazionalizzazione con l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale, il collega alle Finanze, Roberto Gualtieri, sarebbe propenso a trattenere Arcelor Mittal in Italia. I sindacati, infine, si stanno attrezzando per la battaglia.  Esclusi dal patto del 4 marzo, si trovano in una posizione difficile: il mancato concorso dei sindacati dagli accordi di primavera non ha rappresentato soltanto una carenza in termini di grammatica istituzionale (poco conosciuta dagli esecutivi Conte I e II): di fatto, i rappresentanti dei lavoratori si sono sentiti doppiamente delegittimati, sia dal governo che dalla multinazionale. Ora devono riorganizzarsi, ma che capire cosa fare dovrebbero sapere cosa farà il governo.

 

Storia dell’Ilva in pillole

L’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli. Foto credits italia.arcelormittal.com

Nasce come Italsider – gruppo siderurgico derivante dalla Società altiforni e fonderie di Piombino, fondata a Firenze nel 1897 – ma già in mano pubblica (Iri) al momento della posa della prima pietra, il 9 luglio 1960. Il primo altoforno entra in funzione quattro anni dopo. Dopo la crisi dell’acciaio e la liquidazione di Italsider, lo stabilimento passa nel 1995 al gruppo Riva, travolto nel 2012 da un’inchiesta per bancarotta. Va peraltro sottolineato che nel luglio 2019 l’ex vice-presidente del gruppo Fabio Arturo Riva è stato assolto dal Tribunale di Milano perché il fatto non sussiste. Al tempo, tuttavia, lo Stato avvia una procedura di commissariamento dell’azienda e una gara internazionale per la ri-assegnazione.

La Am Investco, cordata formata dal colosso industriale indiano ArcelorMittal e da Marcegaglia è scelta per avviare le trattative di acquisizione. Nel novembre 2018 è ufficialmente di proprietà di ArcelorMittal e prende il nome di ArcelorMittal Italy. Il ministro Di Maio, subentrato a Carlo Calenda, era stato particolarmente critico rispetto alla regolarità della gara. Ciononostante, l’8 settembre dell’anno scorso il titolare dello Sviluppo economico chiude il procedimento a condizioni quasi identiche rispetto a quelle previste dalla proposta Calenda: 10.700 assunzioni (contro 10mila più 1.500 da parte di società per attività esternalizzate), e 250 milioni di incentivi all’esodo (contro 200). Successivamente, si assiste a insensate manifestazioni muscolari a proposito dello scudo penale, che pure era parte di accordi pregressi. Sapendo che di fronte alla magistratura poteva finire male, si è cercato di metterci una pezza in extremis, con gli accordi di marzo, con i quali si stabilisce che Arcelor Mittal può abbandonare il campo di battaglia aprendo il portafoglio per solo mezzo miliardo di euro di penale.














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