È Mamma Europa che dovrà raccogliere le macerie post Covid-19. Altrimenti…

di Laura Magna ♦︎ Secondo il Cerved, l’Italia quest’anno perderà 500 miliardi. Non basta la sospensione del patto di stabilità: bisogna attivare una massa di denaro importante per affrontare le riconversioni industriali. E i Coronabond sono necessari per sostenere una domanda pubblica di investimento. Ne abbiamo parlato con Marco Fortis, economista industriale

Alla tragedia sanitaria e umana del Covid-19 si accompagnerà una crisi economica devastante. Un crollo globale che lascerà macerie simili a quelle che restano dopo una guerra. E per farvi fronte non bastano manovrine tampone, non è sufficiente anche il massimo sforzo nazionale: ci vuole l’Europa, che da questa prova uscirà rafforzata o disgregata. E ne potrà uscire rafforzata solo se agisce in maniera tempestiva e abbandonando nettamente l’approccio di rigore tenuto finora.

Così la pensa Marco Fortis, docente di economia industriale all’ Università Cattolica di Milano e responsabile della Direzione Studi Economici di Edison. Che con Industria Italiana non usa mezzi termini: «Un crollo del turismo, dei trasporti degli scambi internazionali di merci e servizi è già nelle cose. Come è scontata la riduzione della domanda interna privata per consumi e investimenti in tutti i Paesi più sviluppati. Le stesse previsioni tedesche dell’Ifo che ipotizzano come conseguenza del lockdown perdite per centinaia di miliardi di euro in un’economia cardine per l’Ue. Per controbilanciare questa implosione l’Europa, già fiaccata dalla crisi dell’auto tedesca e dalla Brexit, deve agire prontamente con i Coronabond per sostenere una domanda pubblica di investimento e una nuova strategia industriale e tecnologica che le consentano di non frazionarsi in soggetti territoriali condannati all’irrilevanza. Che le permettano, in altri termini, di rimanere una potenzia mondiale».







 

Non basta la sospensione del Patto di stabilità

Marco Fortis, docente di economia industriale all’ Università Cattolica di Milano e responsabile della Direzione Studi Economici di Edison. Foto credits edison.it

La partita è decisiva. «Tutto è precipitato nel corso di qualche settimana. Fino a poco tempo fa sembrava che il Covid-19 fosse un problema cinese: eppure da anni si parlava di pandemie, nei talk di Bill Gates, nei report dell’Oms. Una volta che l’ondata è arrivata in Italia peraltro l’atteggiamento è stato simile: era un problema nazionale. Ma appare ormai evidente che non lo sia». Ed è un momento cruciale per l’Europa. Il tema dei conti pubblici ritorna al centro della scena evidenziando ancora una volta le differenze tra Paesi in termini di sostenibilità della spesa. «La Germania ha margine di azione perché ha un debito/pil al 60% e ha capacità di indebitamento: può muoversi arrivando all’85% senza problemi, rimanendo solida. La Francia è già più scricchiolante con il suo 100%, mentre l’Italia, ipotizzando un crollo del Pil del 3 o 5%, stima del tutto prudenziale, sommato alle manovre tampone arriva molto facilmente a un ratio debito/Pil del 140-145%. La sospensione del Patto di stabilità che consente nel breve periodo all’Italia di sforarlo è del tutto inadeguata: perché questo comporta peggioramento dei rating e il maggior debito contratto rimane un problema interno. Bisogna invece attivare una massa di denaro importante per cercare di immaginare come affrontare le necessarie riconversioni industriali. Le compagnie aree finiranno per fare trasporto merci, dovranno essere statalizzate come in tempo di guerra. Perché di economia di guerra si sta parlando. E le regole draconiane dell’Ue sui conti pubblici in un’emergenza di questo tipo sono da rivedere. La crisi è sistemica, planetaria: l’Europa deve farsene carico e in questo momento dovrebbe emettere bond o farli emettere dalla Bei o dal Mes libero da condizionamenti. Il problema è europeo: o l’Europa agisce unita o rischia grosso».

 

Verso un’economia di guerra

L’impatto sui ricavi delle imprese italiane con Coronavirus. Fonte Cerved

Fortis parla di economia di guerra, ma misurare gli effetti di questa crisi è difficile. «La differenza la farà innanzitutto quale politica sarà adottata. In Italia abbiamo adottato una politica improntata a salvaguardare la salute delle persone. Diversamente ancora oggi in Germania con 35mila malati le persone possono uscire. L’Ifo tedesco ha previsto cali della ricchezza interna dal 7 a oltre il 20%, che probabilmente vuole cercare di arginare».

Inoltre, farà la differenza anche la scelta di quali settori effettivamente saranno bloccati e quali effetti ne conseguiranno sull’export anche all’interno della Ue. «Le variabili sono tante e tali che davvero si tratta di uno scenario di difficile lettura. Ci sono anche altri fattori come le scelte di chiusure volontarie da parte dei singoli imprenditori, che pur appartenendo ad Ateco che potrebbero lavorare tengono hanno riscontrato una forte preoccupazione psicologica e d’intesa con lavoratori hanno rinunciato all’attività; e ci sono aziende che hanno ordini bloccati da due o tre mesi in conseguenza del fatto che la Cina non consegna più nel mondo».

 

Oltre 500 miliardi di perdite stimate per l’Italia

L’impatto sui settori secondo lo scenario COVID-19 base. Fonte Cerved

Un’analisi che però sembra ben strutturata è stata realizzata da Cerved. «Cerved ha immaginatouno scenario di base con emergenza fino a maggio e due mesi per tornare alla normalità in cui c’è dunque un impatto importante su export ma si ritiene ci saranno crisi finanziarie e si prevedono interventi a sostegno delle famiglie e delle imprese. Lo scenario più pessimistico ipotizza che l’emergenza duri per l’intero anno con il completo isolamento dei Paesi dell’Ue e che siano necessari sei mesi per tornare alla normalità. Oggi siamo a metà strada tra le due ipotesi. L’emergenza durerà sicuramente fino a maggio in Italia ma gli altri Paesi, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito hanno preso coscienza della dirompenza dell’epidemia e si sono mossi in ritardo. La conclusione è che nello scenario di base Cerved ipotizza la perdita di 220 miliardi nel 2020 e 55 miliardi nel 2021 e nello scenario pessimistico andranno persi 470 miliardi nel 2020 e 172 nel 2021».

 

Un cambiamento epocale

L’impatto sui settori secondo lo scenario COVID-19 pessimistico. Fonte Cerved

Nel 2021 alcuni settori (in particolare elettromeccanica e prodotti intermedi) avranno recuperato la caduta del 2020, ma altri rimarranno sotto (turismo, accoglienza, eventi e trasporti, i più impattati), altri ancora cresceranno, come commercio online, medicali, pharma, alimentari: ma alla fine di questi due anni la ripresa non basterà per tornare ai livelli già non entusiasmanti del 2019. Anche perché il potere di acquisto delle famiglie sarà calato e con esso i consumi.

«Si tratta di un cambiamento epocale: nello scenario pessimistico del Cerved ci sono ricadute per tutti i settori: nell’ordine del 30% per i trasporti, del 15% per la moda, la casa i prodotti intermedi; i carburanti perdono quasi il 25%, e le costruzioni il 23%, per non dire del 73% degli alberghi. Il risultato è che nel 2021 rispetto al 2019 si registra ancora una perdita media superiore al 3%». Ma il tema vero è che finché non ci sarà un vaccino si vivrà in una sorta di incubo permanente, una sospensione costante. E, se resteremo fermi diversi mesi, Europa e Stati uniti, il mondo cambierà per sempre. Non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello economico.














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