Il prezzo del gas non calerà prima del 2025. Quale sarà il ruolo di Eni nell’attuale scenario?

Un estratto del libro L’arma del gas – L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia" di Andrea Greco e Giuseppe Oddo. La volatilità dei prezzi del metano e il rincaro di quelli elettrici sono già costati agli Stati Ue centinaia di miliardi. La crescente dipendenza dal gas made in Usa potrebbe rendere più onerosi i nostri approvvigionamenti. E non è certo che Paesi già fornitori dell’Italia come Algeria e Azerbaigian possano inviarci con continuità i volumi che abbiamo smesso di importare da Gazprom....

Questo articolo è un estratto del libro "L’arma del gas – L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia", di Andrea Greco e Giuseppe Oddo

La guerra in Ucraina ha avuto ricadute pesanti sulle forniture e sui prezzi dell’energia. L’analisi dell’Enea dei primi sei mesi del 2023 (l’ultima disponibile) evidenzia come nel 2022 il prezzo del metano sia mediamente rincarato del 57% e quello dell’elettricità del 157% e come oggi i prezzi restino ben oltre la media degli ultimi vent’anni. Il gas al mercato di Amsterdam si acquista a circa 45 euro al MWh, più del doppio di prima della crisi. Il greggio europeo di qualità (il Brent del Mare del Nord) è tornato in media sugli 80 dollari al barile, con una previsione al rialzo per il secondo semestre. E l’elettricità, nonostante sia scesa per i clienti di maggior tutela a 240 euro al MWh nel terzo trimestre 2023 (contro i 543 euro dell’agosto 2022), oggi la paghiamo parecchie volte in più di quanto ci costava in media nel periodo 2005-2020.

La crisi ha oltretutto allargato la forbice tra i prezzi italiani e quelli dei paesi europei nostri concorrenti, che facevano pagare l’energia a prezzi più bassi già prima del 2021 e che hanno registrato in alcuni casi aumenti inferiori ai nostri. La corsa dei governi ad affrancarsi dal gas russo con nuovi impianti di rigassificazione e nuovi accordi di importazione via tubo dovrebbe comunque metterci al riparo da nuovi rialzi incontrollati, salvo fatti imprevedibili di eccezionale gravità che non possiamo escludere. «La quantità di nuovi progetti e la mitezza dell’inverno 2022-2023 hanno anticipato il ribasso. Ritengo che dal 2025 vi sarà gas in abbondanza e che i valori potrebbero addirittura ritornare sui 20 euro a MWh», spiega Franco Bernabè, oggi presidente delle Acciaierie d’Italia. Gazprom non potrà inviare in Cina tutti i quantitativi che non esporta più in Europa, perché le reti che la collegano alla Repubblica popolare non hanno per ora capacità di trasporto sufficiente. Una parte del gas russo «tracimerà quindi nell’Unione Europea»” prosegue Bernabè, «attraverso la rete turca, magari mescolato al gas proveniente dall’Azerbaigian o a quello trasportato via mare». Ci arriverà senza che ce ne accorgeremo. Il gas russo uscito dalla porta rientrerà in parte dalla finestra, sia sotto forma di Gnl, le cui forniture all’Europa sono in ascesa, sia per vie più tortuose. «La speranza di riconquistare la storica roccaforte europea non è stata abbandonata e il Cremlino non ne fa mistero. A ottobre [2022], lanciando l’idea di promuovere un hub del gas in Turchia, il presidente Vladimir Putin ha offerto agli europei ‘se lo vorranno’ maggiori forniture attraverso quella rotta, divenuta ‘la più affidabile’ con la guerra in Ucraina e la perdita del Nord Stream».







Franco Bernabè, presidente delle Acciaierie d’Italia (Fonte: LinkedIn)

Non è tuttavia detto che la previsione di un’offerta abbondante determini una pressione al ribasso sui prezzi. Una parte consistente delle quantità di metano che saranno prodotte nei prossimi dieci anni sarà infatti assorbita dalle economie asiatiche, anzitutto dalla Cina, ma anche dall’India, per le quali la transizione energetica consisterà in buona misura nel sostituire il carbone, di cui fanno tuttora larghissimo impiego, con il meno inquinante gas naturale. Ammonisce Konstantin Simonov, direttore del Fondo nazionale russo per la sicurezza energetica e coautore di un libro fondamentale, The Great Gas Game: «A me sembra che Russia e Unione Europea siano come due pugili che si prendono a pugni per il divertimento di Stati Uniti e Cina, che in questa situazione ci guadagnano…Una soluzione non la troviamo minacciandoci a vicenda approfondendo le distanze…Se non ci saranno più legami commerciali tra noi, saremo condannati a combatterci. Una nuova cortina di ferro provocherà conflitti ancora più seri, una spaccatura che non c’era neppure ai tempi sovietici. Tutto questo non ci aiuterà a portare la pace in Ucraina».

Le previsioni per l’Italia

Sul mercato italiano gli operatori prevedono per l’elettricità un prezzo tra 100 e 150 euro a MWh e per il gas tra 30 e 40 euro a MWh. A condizione che il Cremlino non sia messo ulteriormente alle corde dall’Occidente e riesca a riportare il suo Pil ai livelli antecedenti al conflitto. Durante il primo anno di guerra, Mosca ha compensato la contrazione dei volumi esportati in Europa con l’aumento dei prezzi della materia prima. Per le casse della Federazione russa il saldo è stato negativo ma a un livello sostenibile. Ora che i prezzi del gas stanno scendendo, il Cremlino non potrà più contare su questo tipo di compensazione.

Stefano Cavriani, cofondatore e amministratore di Ego Energy

Per riportare le entrate dello Stato al punto di prima, la Russia dovrebbe riuscire a normalizzare i rapporti con l’Unione Europea, prospettiva oggi inverosimile, e fare in modo che Gazprom, di cui si serve come di una vacca da mungere, mantenga il monopolio dell’offerta in tutta la Comunità degli Stati indipendenti. In caso contrario, per far risalire i prezzi – ci spiega un ex manager di Bp ed Engie, oggi imprenditore nel settore delle rinnovabili – potrebbe essere tentata di creare nuova instabilità in paesi dell’area caspica come Kazakistan e Azerbaigian. Stefano Cavriani, cofondatore e amministratore di Ego Energy, ritiene che l’Italia possa comunque cavarsela, purché aumenti in modo consistente la produzione da fonti rinnovabili, potenzi le reti di distribuzione e quelle di trasporto della corrente ad alta e ad altissima tensione (su cui Terna investirà oltre 21 miliardi) e sviluppi le tecnologie di accumulo dell’elettricità. Spiega: «Con il gas a 40 euro a MWh e l’elettricità a 135 euro a MWh il sistema regge. Con l’elettricità a 1000 euro a MWh, come è accaduto in Germania nell’agosto 2022 per i prezzi a termine del 2023, il sistema può implodere con un forte trasferimento di risorse ai paesi produttori». Quando cesserà la volatilità – non prima del 2025, secondo le stime più accreditate – l’Italia dovrà comunque fare i conti con una maggiorazione strutturale della bolletta energetica.

I processi per trasmutare lo stato fisico del metano, da gassoso a liquido e da liquido nuovamente a gassoso, e per trasportarlo via nave su distanze transoceaniche impatteranno negativamente sulla nostra economia, il cui valore delle esportazioni è determinato per oltre l’80% dall’industria. L’impatto dei prezzi dell’energia, e delle materie prime in generale, sarà particolarmente accentuato per l’industria manifatturiera e per quella energivora in particolare (chimica, siderurgia, metallurgia, gomma, carta, ceramica, materiali da costruzione, settore termoelettrico). Per Francesco Gracceva, responsabile dell’Osservatorio del sistema energetico e curatore dell’analisi trimestrale dell’Enea, «l’equilibrio del mercato del gas resta fragile: al di là del breve periodo, gli alti prezzi restano una grave minaccia alla competitività dell’industria europea, basti pensare come nei due principali paesi manifatturieri della Ue, Germania e Italia, la produzione industriale dei beni più energivori sia stata fortemente negativa nel 2022».

La Germania, il paese che più risente di questa situazione, per la sua struttura industriale e per la sua passata, eccessiva, esposizione al gas russo, è entrata in “recessione tecnica”. L’Italia mostra una maggiore resilienza che deriva dalla proverbiale flessibilità del suo tessuto produttivo di piccole e medie imprese. L’andamento positivo del turismo e dei servizi ha fatto salire il Pil nazionale dello 0,5% nei primi tre mesi del 2023, contro un aumento di appena lo 0,1% dell’Eurozona. Tuttavia, segnala il Centro studi Confindustria, il fatturato rallenta in tutti i settori industriali, i consumi sono ostacolati dall’inflazione, gli investimenti dal costo del credito, e l’export è fermo a causa della diminuzione degli scambi a livello mondiale. Senza nuovi incentivi pubblici i prezzi dell’energia potrebbero determinare “una gelata sull’industria italiana, che ha già risentito delle pesanti bollette”. Sintomatico il calo dell’indice destagionalizzato della produzione industriale dell’1,9% nell’aprile 2023 (rispetto al mese precedente), pari a una diminuzione del 7,2% su base annua.

Quale ruolo per il “cane a sei zampe”

Eni e la Snam hanno continuato ad assicurare al paese il gas necessario al suo fabbisogno, avviando contestualmente, su indicazione del governo, una rapida manovra di sganciamento dalle forniture di Gazprom, che dovrebbe essere completata nell’arco di uno o due d’anni.

Quale dovrà essere il ruolo dell’Eni in questo nuovo contesto operativo? Quando era un ente pubblico economico, lo Stato aveva assegnato al gruppo del “cane a sei zampe” il compito di provvedere all’autosufficienza e alla sicurezza energetica del paese. Da quando è stata trasformata in Spa e quotata in Borsa, anche se il controllo è rimasto al Tesoro (che con il 30% detenuto tramite Cassa depositi e prestiti ne nomina i vertici e la maggioranza del consiglio), la società deve rendere conto del suo operato a una larga platea di azionisti privati, per lo più fondi internazionali, che ne possiedono il 70%. Lo Stato azionista svolge funzioni di indirizzo e controllo, ma il management di nomina governativa deve assicurare, con strategie di sviluppo competitive, una buona remunerazione del capitale investito da tutti i soci, compreso quello pubblico. Pur con questa sostanziale diversità, l’Eni e la Snam (controllata anch’essa dal Tesoro tramite Cassa depositi e prestiti) hanno continuato ad assicurare al paese il gas necessario al suo fabbisogno, avviando contestualmente, su indicazione del governo, una rapida manovra di sganciamento dalle forniture di Gazprom, che dovrebbe essere completata nell’arco di uno o due d’anni.

Perché si sia dovuto aspettare che la Russia invadesse l’Ucraina per avviare la diversificazione e perché i governi (di destra e di sinistra) abbiano ignorato i segnali di deterioramento tra Mosca e Kiev, manifestatisi negli anni immediatamente successivi all’elezione di Putin, è argomento su cui continuare a riflettere, anche se la questione riguarda tanto l’Italia quanto la Germania, che ha avuto un legame con Mosca ancora più stretto del nostro. Resta il fatto che nel 2006 i contratti di importazione tra Eni e Gazprom furono rinnovati fino al 2035, una decina d’anni prima che cominciassero a scadere, e che l’Eni si rifiutò di renderli pubblici alla stampa e all’Autorità dell’energia, appellandosi alla segretezza dei rapporti commerciali con la Russia. A seguito di quel rinnovo contrattuale il gruppo petrolifero italiano ha perso negli anni successivi oltre 4 miliardi di euro, perché fino al 2021 il prezzo del gas russo è rimasto ancorato a quello del petrolio e non al mercato del gas di Amsterdam, le cui quotazioni fino a quella data sono state mediamente inferiori a quelle del greggio. Il distacco dal petrolio e l’ancoraggio al mercato spot olandese sono avvenuti solo nel 2021, quando i prezzi del metano negoziato ad Amsterdam stavano già muovendosi al rialzo e non presentavano più alcuna convenienza rispetto a quelli del petrolio. Anche questo è un punto su cui l’Eni dovrà fare maggiore chiarezza.

Vincenzo Scotti, già ministro dell’Interno e degli Esteri (Fonte: Wikipedia)

La regione dove l’Eni è storicamente forte e dove sta ulteriormente espandendosi (dall’Algeria al Mar di Levante) è quella mediterranea, ma la debolezza dei nostri governi in politica estera non le è di aiuto. «L’Italia della Prima repubblica» –  riflette Vincenzo Scotti, già ministro dell’Interno e degli Esteri – «aveva dovuto sgomitare non poco per definire e costruire quella funzione di snodo del Mediterraneo che appartiene alla nostra stessa posizione geografica e alla vicenda storica. Avevamo contro personaggi come de Gaulle e Kissinger, ma ci riuscimmo. Oggi invece mi pare che tra Francia e Turchia siano altre le nazioni che tirano le fila di uno scenario che è determinante e che agiscono in uno spazio che è vitale per il nostro paese. L’Italia è forte se lo è nel Mediterraneo e in questi ultimi anni la nostra azione nello spazio marittimo, per noi vitale, che ci circonda mi sembra meno determinante e incisiva. Contiamo meno di quanto la nostra collocazione geografica e la nostra storia ci chiede». Paradossalmente oggi è l’Eni in certi casi a fare da apripista al governo, e non viceversa.














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