Contratti a termine, semplificazioni e… Tutte le novità del Decreto Lavoro spiegate bene!

di Laura Magna ♦︎ Le nuove norme rendono il mercato più flessibile in ingresso, ma rimane stagnante in uscita. La disciplina dei contratti a termine: razionalizzazione per stipula fra i 12 ed i 24 mesi e per proroga e rinnovo oltre i 12. Si applica a quasi 4 milioni di lavoratori. Riduzione burocrazia, detassazione, fondi e… Ne parliamo con Giuseppe Merola

Verso un mercato del lavoro più flessibile in ingresso, ma sempre stagnante in uscita. È in estrema sintesi quello che dovrebbe accadere con l’applicazione delle nuove norme previste dal Decreto Lavoro, convertito nella legge 3 luglio 2023, n. 85, appena pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La legge converte, con modificazioni, il decreto legge n. 48 del 2023, recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”. Ma il decreto, in vigore dal 5 maggio scorso, ha già avuto qualche effetto positivo.

«È tornato un certo movimento: le aziende iniziano a chiederci nuovamente di stipulare contratti a termine dopo anni di stasi quasi totale, dovuta non solo al Covid», dice a Industria Italiana Giuseppe Merola, giuslavorista dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati. E lo dice da un osservatorio privilegiato qual è quello di uno studio legale che ha migliaia di aziende clienti, in tutti i settori dell’industria e non solo (chimica, farmaceutico, manifattura, bancario, gdo), di qualsiasi ordine dimensionale.







«La principale novità introdotta dal Decreto è una soluzione di compromesso che non demonizza il contratto a termine ma che lo usa come strumento a favore di aziende e lavoratori»: una soluzione che forse riuscirà ad americanizzare, rendendolo più flessibile, il nostro mercato del lavoro. «Peccato però – aggiunge Merola – che al momento questa flessibilità sia presente solo in ingresso: sull’uscita dal mondo del lavoro, esiste sempre il vulnus delle vertenze sindacali e dei processi infiniti per decidere di eventuali reintegri o risarcimenti: una caratteristica tutta italiana che non aiuta».

 

Decreto Lavoro: Il nuovo impianto delle misure di inclusione dopo il Rdc

La premier Giorgia Meloni

La legge del governo Meloni rivede completamente l’impianto del reddito di cittadinanza, introducendo due strumenti: l’Assegno di inclusione, dal primo gennaio 2024, quale misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli mediante percorsi di inserimento sociale, formazione, lavoro e politica attiva del lavoro. La misura è condizionata alla prova dei redditi e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa.

Il secondo strumento è il Supporto per la formazione e il lavoro, dal primo settembre 2023, utilizzabile dai componenti fra i 18 e i 59 anni di nuclei familiari con Isee non superiore a 6000 euro, che non hanno i requisiti per accedere all’Assegno di inclusione e partecipano a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro comunque denominate. Sono introdotti anche incentivi per l’assunzione di percettori di Assegno di Inclusione, per l’occupazione giovanile, in particolare, per under 30, neet e giovani registrati al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani e per il lavoro dei disabili.

 

La disciplina dei contratti a termine che rende il mercato del lavoro più flessibile

Giuseppe Merola, giuslavorista dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati

L’elemento più rivoluzionario del Decreto Lavoro sembra invece essere la semplificazione dell’utilizzo dei contratti a termine, con razionalizzazione delle causali necessarie per la stipula di contratti fra i 12 ed i 24 mesi e per proroga e rinnovo dei contratti che estendono la durata oltre i 12 mesi. «Le novità introdotte sono importanti anche se non stravolgono completamente la normativa esistente – dice Merola – Una delle principali modifiche rispetto al precedente Decreto Dignità del 2018, riguarda la maggiore flessibilità nei contratti a termine, mantenendo invariato il periodo di 12 mesi in cui le imprese possono stipulare questi contratti senza motivazioni specifiche. Inoltre, è stato confermato il limite massimo di 24 mesi in cui un dipendente può essere impiegato a termine dalla stessa azienda».

La vera novità risiede nell’eliminazione delle causali impossibili che prevedeva il Decreto Dignità e che rappresentavano un ostacolo per le imprese nel superare i 12 mesi di contratto.  «Il Decreto ha abrogato le esigenze straordinarie, improgrammabili, uniche e imprevedibili che dovevano ricorrere per poter estendere un contratto a termine superati i primi 12 mesi – spiega il giuslavorista – sostituendole con causali più accessibili. Ora, il tema delle causali deve essere disciplinato dai contratti collettivi, anche se molti settori chiave come il commercio o, nell’industria, il metalmeccanico non lo hanno ancora fatto. Se il contratto collettivo non prevede le causali, le parti possono inserirle nel contratto di lavoro, ma queste clausole devono essere legate a esigenze ordinarie di natura tecnico-produttiva e organizzativa, come una commessa straordinaria, un picco di lavoro o una scadenza imminente. E non è più necessario che ricorrano le esigenze straordinarie, uniche, improgrammabili e imprevedibili di cui sopra, che di fatto rendevano impossibile andare oltre i 12 mesi».

 

e ha impatto su 4 milioni di lavoratori

Si tratta di regole che non sono strutturali e avranno validità solo fino al 30 aprile 2024. «Fino a quella data, le aziende potranno utilizzare le causali ordinarie e assumere per periodi superiori ai 12 mesi. Tuttavia, si auspica che i contratti collettivi si adeguino a questa norma, altrimenti dopo tale data non sarà più possibile inserire una causale contrattuale, a meno di nuove proroghe di legge che estenderanno la normativa attuale», dice Merola. L’obiettivo di queste modifiche è quello di trovare un equilibrio tra le esigenze delle aziende e la tutela dei lavoratori. «Si tratta di una soluzione di compromesso che però appare valida – dice Merola – Siamo molto lontani da quello che aveva previsto il Jobs Act del 2015, promosso dal governo Renzi, che aveva persino introdotto la possibilità di stipulare contratti a termine senza causali per un periodo di 36 mesi, alimentando così la precarietà. Con il Decreto Lavoro, invece, si è cercato di trovare un compromesso tra la tutela dei lavoratori, attraverso i contratti collettivi, e le esigenze produttive delle imprese. Si è voluto evitare un’apertura indiscriminata alla precarietà, salvaguardando i lavoratori tramite contratti collettivi che dovrebbero garantire una maggiore tutela. Pertanto, si tratta di un tentativo di colpire due obiettivi contemporaneamente».

Totale Lavoratori, redditi da lavoro e settimane lavorate nell’anno. Fonte Inps

E pare un tentativo riuscito: «negli ultimi due mesi – aggiunge l’avvocato – abbiamo assistito a un risveglio dei contratti a termine, con molte aziende che hanno iniziato a rivolgersi a noi per essere assistite nella stipula di contratti a termine compliant con le novità. Questo è un segnale di fiducia nel nuovo quadro normativo. Inoltre, è importante sottolineare che queste modifiche riguardano anche il settore della somministrazione di lavoro, che coinvolge milioni di lavoratori». Per la precisione su un totale di lavoratori dipendenti di 17,9 milioni circa di contratti, 14,8 milioni sono tempo indeterminato e poco più di 3 milioni (il 17%) a tempo determinato. Quelli in somministrazione sono circa un milione. La nuova norma si applica dunque a quasi 4 milioni di lavoratori. Ancora, la legge prevede anche l’incentivazione dell’utilizzo dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dai limiti quantitativi dei lavoratori somministrati assunti con contratto di apprendistato ed esenzione dai limiti quantitativi della somministrazione a tempo indeterminato di lavoratori in “ex mobilità”, soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

A maggio 2023 prosegue la crescita dell’occupazione (+21 mila rispetto al mese precedente) e il numero degli occupati sale a 23milioni 471mila. Rispetto a maggio 2022, gli occupati sono 383mila in più, per effetto dell’aumento dei dipendenti permanenti e degli autonomi che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine. Fonte Istat

Le altre novità in termini di contratti di lavoro: la semplificazione degli obblighi di comunicazione del datore di lavoro

Un ulteriore novità contenuta nel decreto è la semplificazione della parte delle informazioni dovute dal datore di lavoro al momento dell’assunzione, consentendo il rinvio alla normativa di riferimento e alla contrattazione collettiva applicata. «Con il Decreto Trasparenza, era stato introdotto l’obbligo di trasparenza sulle condizioni del contratto al momento dell’assunzione, in ottemperanza a una direttiva europea. Accadeva però che al lavoratore arrivasse un libro contenete dettagli che possono essere trovati nei contratti collettivi: il Decreto Lavoro ha semplificato questa disposizione, eliminando l’obbligo e rinviando agli accordi collettivi per la definizione dei diritti e dei doveri dei lavoratori. Ciò ha comportato una riduzione della burocrazia».

Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 61,2%, quello di disoccupazione cala al 7,6% e quello di inattività resta stabile al 33,7%. Fonte Istat

Lo smart working e gli altri incentivi

Durante il processo di conversione del decreto in legge, sono state apportate ulteriori novità. «Ad esempio, è stata prorogata la possibilità di adottare lo smart working per i lavoratori fragili e per coloro che hanno figli di età inferiore ai 14 anni, a condizione che le mansioni lo consentano fino alla fine dell’anno. Si tratta di una proroga controversa, non più giustificata dall’emergenza pandemica e che di fatto contraddice quanto previsto dalla normativa italiana sullo smart working che rimanda alla contrattazione individuale. L’estensione di legge dello smart working la cancella con un colpo di spugna», dice Merola.

Ci sono altre novità a favore dei lavoratori, che non sono dirompenti, ma possono essere di qualche aiuto in un’epoca di scarsità di talenti e di ricerca del work-life balance. Ne elenchiamo alcune:

  • l’incentivazione dell’uso delle Prestazioni Occasionali del settore turistico e termale. Il limite per ciascun utilizzatore sale da 10.000 a 15.000 euro annui e possono essere utilizzate da datori di lavoro che impieghino fino a 25 lavoratori subordinati a tempo indeterminato (e non 10, come per gli altri settori);
  • l’incremento del Fondo nuovo competenze grazie a fondi nazionali (Programma nazionale giovani, donne e lavoro) e comunitari (Fse+ e Poc Spao), per finanziare accordi sindacali sottoscritti a decorrere dal 2023 e favorire l’aggiornamento della professionalità dei lavoratori in relazione alla transizione digitale ed ecologica;
  • l’esonero parziale dei contributi a carico dei lavoratori (c.d. taglio del cuneo fiscale), per i periodi di paga da luglio a dicembre 2023, con riduzione della aliquota contributiva a carico dei lavoratori subordinati che guadagnano fino a 35.000 euro lordi annui del 6% (mentre la legge di Bilancio 2023 prevede il 2%) senza incidenza sulla tredicesima. Resta applicabile l’ulteriore punto di riduzione per chi guadagna fino a 25.000 euro (che passa, quindi, al 7%);
  • la detassazione del lavoro straordinario e notturno svolto nei festivi per il settore turismo e termali, nella misura del 15% della retribuzione lorda dovuta, per il periodo dal 1° giugno 2023 al 21 settembre 2023, per i lavoratori titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore, nel periodo d’imposta 2022, a 40mila euro;
  • la detassazione delle misure di welfare, limitatamente al 2023, con elevazione sino a 3.000 euro (salendo rispetto agli attuali 258,23 euro annui) della soglia dei fringe benefits per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico.













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