Coronavirus, Unione Industriale Torino: no alla chiusura delle industrie

La proposta avanzata dal presidente della Regione Lombardia Fontana preoccupa gli imprenditori piemontesi. Il presidente Gallina: «Rischiamo di scaricare sulla collettività scelte assunte sulla scia dell’emotività»

Dario Gallina Presidente Industriali Torino

La proposta del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana di chiudere le fabbriche per contenere l’emergenza da Coronavirus non ha solo scosso gli imprenditori lombardi, ma a raggiera sta coinvolgendo anche gli industriali delle regioni limitrofe. Troppa è la paura che lo stop della produzione potrebbe innescare una crisi economica difficilmente arginabile.

«Siamo fortemente preoccupati dall’ipotesi di una chiusura delle attività produttive nel Paese, a seguito della proposta avanzata dal Presidente Fontana – commenta Dario Gallina, presidente degli industriali torinesi – Il nostro sistema economico, già fortemente sotto stress, non reggerebbe a questo colpo definitivo. Se si chiudono le aziende, si perdono ordini e commesse, e i clienti si rivolgono altrove. Questo determinerà – senza se e senza ma – la perdita definitiva di posti di lavoro, portando a una gravissima crisi occupazionale e sociale. Rischiamo di scaricare sulla collettività scelte assunte sulla scia dell’emotività. Come ha sottolineato il Presidente Conte, nella fondamentale opera di tutela della salute pubblica attraverso le giuste restrizioni, non possiamo permetterci di annullare gli altri interessi costituzionalmente garantiti, accantonandoli fino al termine dell’emergenza, per poi svegliarci e scoprire che non c’è più nulla da tutelare».







Stiamo sicuramente affrontando un momento drammatico, ma è proprio per questo motico che risulta fondamentale mantenere la lucidità e assumere tutte le cautele per poter operare senza rischi per la salute dei cittadini.

E secondo gli industriali torinesi, tale obiettivo non può essere perseguito con il blocco totale della produzione – e questo non nell’interesse della parte datoriale, ma per salvaguardare tutti i posti di lavoro che rischierebbero di essere cancellati.

«Le nostre imprese – dalle grandi multinazionali, alle pmi – ci chiedono di non chiudere, ma tutte si sono adeguate alle disposizioni ministeriali di una nuova organizzazione del lavoro, per tutelare l’interesse primario della sicurezza e salute dei lavoratori – conclude Gallina – Ad esempio, favorendo lo smart working ove applicabile, mantenendo la distanza di sicurezza tra le postazioni, regolando il flusso di persone verso le mense e nelle aree relax per evitare gli assembramenti, e stabilendo l’uso delle mascherine ove opportuno».














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