Supply chain: è crisi globalizzazione fisica! Ma quelle virtuali invece…

di Piero Formica* ♦︎ Con gli sviluppi del digitale si aprono inediti sentieri per condurre gli affari e svolgere attività di ricerca. Il commercio internazionale manifatturiero progredisce grazie all’innovazione: l’IoT incorpora i dati nei prodotti fabbricati. E crea un’interconnessione tra lato produttivo e innovativo. E allora serve una riorganizzazione delle catene di approvvigionamento

Sopravviverà l’integrazione internazionale dei mercati? Già nel passato, i mercati transfrontalieri del commercio, degli investimenti, dei dati e del lavoro sono andati incontro a forti scosse sismiche. Ancora una volta appare evidente che i mercati sono lungi dall’essere perfetti. La concorrenza è molto imperfetta; conquistano terreno monopoli e oligopoli. Il clima e, quindi, l’ambiente è entrato prepotentemente tra i protagonisti dell’economia accanto alle imprese, ai lavoratori e a consumatori. Per salvaguardare l’ambiente dobbiamo agire con azioni a tutto campo, coordinate a scala internazionale. Né è possibile serrarsi in casa quando la crescente sofisticazione delle catene di fornitura esige la specializzazione internazionale. Basti pensare ai semiconduttori. Ricorrere a sovvenzioni per dar vita nel nostro paese a nuove fabbriche produttrici di chip quanto costerebbe e quali risultati si otterrebbero? Spesso concentrate geograficamente, le parti alte del valore della catena di fornitura sono difficile da riprodurre.

Se mai è in crisi la globalizzazione fisica, il movimento delle merci senza confini, la globalizzazione virtuale si fa largo velocemente

Al tempo della prima rivoluzione industriale, riducendo i costi l’energia del vapore incentivò il commercio internazionale delle merci. Lo stesso accadde nel XX secolo per il trasferimento delle idee attraverso le frontiere facendo leva sulle tecnologie dell’informazione. Ai giorni nostri, con gli sviluppi del digitale le persone sono, con zoom o altre piattaforme, in mobilità internazionale restando a casa loro. Con questa nuova forma di globalizzazione, si aprono inediti sentieri per condurre gli affari, svolgere attività di ricerca, spendere il proprio tempo libero, e altri. Se mai è in crisi la globalizzazione fisica, la globalizzazione virtuale si sta facendo largo velocemente. Così come l’abbiamo finora conosciuta, la globalizzazione fisica è entrata in una zona grigia non essendo riuscita a plasmare un capitalismo di mercato sostenibile.







Per un verso, l‘economista Dani Rodrik ha evidenziato che «per 1 dollaro di guadagno di efficienza derivante dal commercio internazionale, in genere ci sono 50 dollari di ridistribuzione verso i ricchi». La globalizzazione delle catene di approvvigionamento avrebbe spostato l’equilibrio tra capitale e lavoro a favore dei capitalisti, con le rendite gonfiate a dismisura. Da un’altra angolazione, Douglas Irwin del Dartmouth College osserva che «tra il 1980 e il 2019 quasi tutti i paesi sono diventati sostanzialmente più ricchi, la disuguaglianza globale è diminuita e la quota di popolazione mondiale in condizioni di estrema povertà è scesa dal 42% del 1981 ad appena l’8,6% del 2018». Se nelle riflessioni il grigio volge al nero, verso un periodo di deglobalizzazione fisica, nei dati pare ancora prevalere il rosa, come hanno messo in luce Martin Wolf e Martin Sandbu, giornalisti del Financial Times, con questi due grafici:

Il commercio internazionale di merci gode ancora di ottima salute

Si punta sulla globalizzazione che sostiene i beni comuni mentre si alza l’onda commerciale dei servizi

Comunque sia, ritirarci in noi stessi per produrre sempre di più e crescere il più possibile è un’illusione – peggio, una catastrofe. È bene, invece puntare sulla globalizzazione in grado di sostenere durevolmente i beni comuni, quali i diritti e le libertà fondamentali, le scuole pubbliche, cibo e acqua sicuri e le risorse naturali. È dubbio che ciò possa accadere se, come argomenta Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, l’economia mondiale si frammentasse in «blocchi economici distinti, con ideologie, sistemi politici, standard tecnologici, sistemi di pagamento e commercio transfrontalieri e valute di riserva diversi». Intanto, si è alzata l’onda commerciale dei servizi, seppur ostacolata da barriere politiche, normative, culturali e linguistiche. Non basta disporre di uno smartphone per comunicare con un fornitore di servizi straniero. Per quell’onda è indispensabile disporre di una lingua condivisa che per essere davvero tale prende tempo.

Nel commercio internazionale dei manufatti si fa sentire il cuore pulsante dell’innovazione

E il commercio internazionale di manufatti? Il cuore dell’innovazione batte forte nel corpo dell’industria manifatturiera. Come si riorganizzerà il commercio manifatturiero transfrontaliero molto dipenderà dal flusso e dalla direzione internazionale delle idee innovative e dei servizi ad esse connesse per il corretto funzionamento di quel cuore. L’Internet delle cose incorpora i dati nei prodotti fabbricati. Si fa frenetica la corsa al reperimento e alla raccolta di dati preziosi che, una volta analizzati e utilizzati, creeranno attività e posti di lavoro tanto nuovi da non poterli ancora immaginare. Conseguentemente, si restringe la linea che separa il lavoro manuale dai lavoratori della conoscenza. Diventano più stretti i legami tra lato produttivo e lato innovativo dell’azienda. La loro interconnessione influenzerà il volume e la qualità degli scambi senza frontiere. Le imprese titolari di dati inseriti nei loro prodotti cominciano a ragionare sulla globalizzazione con la mentalità da ‘tabula rasa’. Insomma, esse rinascono senza i contenuti mentali incorporati nella vita precedente e, quindi, la loro conoscenza deriva dalle esperienze e percezioni in corso d’opera.

Il paesaggio della globalizzazione si fa sfumato tra sfide e opportunità

La risposta agli shock e l’autonomia dalle pressioni geoeconomiche comportano sia sfide che opportunità per la globalizzazione. C’è chi sostiene il commercio internazionale tra partner di fiducia. Dunque, approvvigionarsi dai paesi alleati per non essere tenuti economicamente in ostaggio da quelli ostili. Tuttavia, la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento attorno alle economie degli alleati poggia sulla base della fiducia, un bene volubile. Procedendo sul duro terreno della pratica, Barry Lynn, il fondatore dell’Open Markets Institute, ha definito la “regola del quattro”: «non più del 25% delle forniture cruciali dovrebbe provenire da un unico luogo o arrivare in un unico porto». Una regola da tempo applicata, a livello locale, dal cluster bolognese delle aziende produttrici di macchine e attrezzature per il packaging. Chi si muove sul sottile terreno degli auspici identifica i guadagni reali del commercio internazionale con i beni e servizi che vengono prodotti e scambiati nel rispetto dei beni comuni e delle norme legali profondamente radicate nel proprio paese. È proprio per cogliere i guadagni che effettivamente contano dagli scambi senza confini che sta emergendo una visione più sfumata della globalizzazione. Nel paesaggio velato si scorgono alcuni confini nazionali ritenuti fondamentali per lo sviluppo economico e la sicurezza. Questa visione non dovrebbe perdere di vista quanto affermava Adam Smith. Secondo l’economista scozzese, l’apertura dei mercati oltre confine avrebbe promosso una maggiore prosperità rispetto alle severe regolamentazioni governative.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














Articolo precedenteLenovo festeggia Yoga Slim con uno speciale Nft dell’artista Giuseppe Lo Schiavo
Articolo successivoRivoluzione 4.0? Sì, ma ci vogliono le competenze digitali. Quali? Scoprilo nel webinar di Innovation4Training (14 luglio)






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui