Cina ancora in crisi: rischi e opportunità per gli industriali italiani

di Laura Magna ♦︎ La politica economica di Pechino si sta focalizzando su automazione e tecnologie evolute. Sono in pericolo le manifatture italiane che trattano il Dragone come principale fornitore di componenti e materiali, ma i nostri produttori di macchinari (macchine utensili, automatiche, per il packaging) possono conquistare un mercato nascente e potenzialmente enorme. Però dovranno dotarsi di una rete commerciale e garantire assistenza e post vendita in loco…

Da fabbrica del mondo a potenziale mercato di sbocco (ancora inesplorato) per le macchine a valore aggiunto dell’industria italiana. La Cina rallenta e questo trend rappresenta più un’opportunità che un rischio per la nostra manifattura. La ragione è presto detta: per salvarsi dall’hard landing – in un contesto in cui i consumi non crescono, le famiglie sono indebitate e le politiche infrastrutturali sono frenate dalle bolle immobiliari – Pechino deve rinunciare definitivamente al suo ruolo di produttore a basso costo e a basso valore aggiunto e deve puntare a diventare competitivo. Quindi aumentare la produttività del lavoro, introducendo automazione e tecnologie evolute, e producendone anche in proprio.

Un’aspirazione che per l’industria italiana potrà avere un doppio risvolto: da un lato sono certamente a rischio tutte le manifatture che trattano la Cina come principale fornitore di componenti e materiali, perché il Dragone privilegerà le forniture interne prima di esportare (proprio perché deve produrre all’interno e sviluppare un mercato locale). Dall’altro lato però i nostri produttori di macchine hanno di fronte a loro la grande opportunità di conquistare un mercato nascente e potenzialmente enorme. Non è semplice, perché dovranno dotarsi di una rete commerciale e soprattutto dovranno poter garantire assistenza e post vendita in loco. Ma è possibile.







Ne abbiamo parlato con Giuliano Noci, Ordinario di Strategia & Marketing al Politecnico di Milano e Prorettore del Polo territoriale cinese dell’Ateneo milanese. E con Marco Bettin, Direttore Generale di Italy China Council Foundation – Iccf.

 

Le relazioni Italia-Cina: sono forti e continueranno a essere rilevanti

«Nonostante la pandemia, le relazioni economiche italo-cinesi avranno un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro», scrive Italy China Council Foundation – Iccf nel suo ultimo rapporto annuale. La Cina rappresenta ancora la nona destinazione per l’export italiano con una quota, in leggera crescita nel 2021, del 3%. Secondo Istat, nel 2021 la categoria di macchinari e apparecchiature già nel 2021 ha rappresentato la principale voce dell’export del nostro Paese verso la Cina, raggiungendo i 4,2 miliardi di euro (+13% sul 2020 e +10% sul 2019). Si è registrata una crescita considerevole nell’export di prodotti alimentari italiani, arrivando a un valore di quasi 470 milioni di euro, con una crescita del 70,9% rispetto al 2019 e del 28,3% rispetto al 2020. Il settore dei mobili ha rappresentato un altro caso di successo dell’export italiano in Cina, collocandosi al primo posto a livello globale, superando nettamente competitor come Germania, Giappone e Stati Uniti. L’Italia si è inoltre collocata al terzo posto a livello europeo nell’esportazione di prodotti farmaceutici in Cina con una quota del 7%, preceduta da Francia (11%) e Germania (31%).

la Cina rappresenta ancora la nona destinazione per l’export italiano con una quota, in leggera crescita nel 2021, del 3%. In particolare, l’Italia rappresenta da sempre uno dei principali mercati di approvvigionamento per la Cina di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e in cuoio, prodotti di cui è stata, nel 2021, rispettivamente la
prima e la seconda esportatrice verso la Cina tra i Paesi membri dell’UE

«Storicamente e come background – dice Marco Bettin, Direttore Generale di Italy China Council Foundation – Icff – l’Italia ha sempre saputo mantenere relazioni con partner e Paesi a livello internazionale, mentre la Cina si è distinta come mercato di sbocco strategico. Il nuovo corso degli ultimi decenni ritengo possa anche identificare la Cina come potenziale partner per lo sviluppo dell’attività internazionale delle nostre imprese, in particolare le Piccole e Medie imprese, che potrebbero avere benefici da collaborazioni con controparti cinesi in mercati terzi, certamente l’Asia, ma anche quelli dislocati idealmente lungo la Nuova Via della Seta». I dati forniti dalle Dogane Cinesi hanno confermato la crescita dell’interscambio Italia-Cina nei primi sei mesi del 2022 – più 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, per un totale di 40,127 miliardi di Usd – con un import dalla Cina salito del 37% ma un export verso la Cina calato del 13%. Sulla stessa linea l’interscambio Cina-Mondo a +11% circa 3.000 miliardi di Usd, con import ed export entrambi in aumento, rispettivamente al 6% e al 14%. Nel mese di giugno le esportazioni cinesi hanno registrato il tasso di crescita più alto nei primi sei mesi dell’anno, per contro le importazioni con un +1% a/a hanno segnato un profondo calo. La Cina è un importante acquirente di materie prime – dal petrolio al carbone al mais – e questo è un duro colpo per un’economia globale già colpita dai timori di recessione. Ciò significa che quest’anno la Cina potrebbe non dare un contributo importante come negli anni passati alla domanda globale. [Elaborazione Centro Studi Iccf su dati General Administration of Customs China]

Nel 2021 l’Italia si è distinta tra gli altri Paesi europei per l’esportazione verso la Cina di prodotti alimentari, prodotti chimici
e farmaceutici, macchinari, e mobili

«Quanto accaduto negli ultimi due anni ha sicuramente lasciato il segno sulla Cina ma anche sul nostro rapporto con questo Paese – continua Bettin – Tuttora esistono delle difficoltà oggettive per recarsi in Cina e questo continua ad avere conseguenze per le nostre aziende. Non tanto per quelle già presenti in loco, che sono lì e continuano a lavorare, anche grazie ai moderni mezzi di comunicazione che permettono di mantenere i rapporti nonostante il movimento di persone tra i nostri due Paesi sia ancora estremamente rallentato. Una situazione non particolarmente agevole per loro ma comunque non ne impedisce l’operatività». Tutto ciò ha invece avuto un forte impatto su quelle imprese che nel Paese non sono ancora arrivate perché è sicuramente più complicato iniziare una qualche forma di relazione e lanciare nuove iniziative a distanza, senza potersi recare nel Paese. «Ciononostante – prosegue Bettin- continuiamo a sperare che ben presto si possa tornare a ripristinare una situazione di normalità, anche perché la Cina oggi è un Paese maturo, che non rappresenta solamente un importante mercato/opportunità per le imprese, ma assume anche il ruolo di player fondamentale per la gestione e gli equilibri del mercato globale. In questo contesto è importante la salvaguardia degli interessi di tutti e la garanzia di un contesto che possa presentare regole ed obiettivi precisi».

Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati tutta una serie di mutamenti in seno ai consumatori cinesi, alcuni già in atto prima della pandemia, in primis la crescente preferenza per i canali digitali rispetto a quelli fisici, ed altri dovuti in parte alla chiusura dal resto del mondo, all’impossibilità di viaggiare, alla maggior qualità della produzione locale e al costante arricchimento di nuove aree all’interno del Paese, tra gli altri

Il contesto: il XX Congresso del Partito Comunista rafforza la leadership di Xi Jinping e traccia la nuova strategia di crescita di Pechino

Già inserita in un sentiero di progressivo rallentamento strutturale prima della pandemia (6,7% di media annua tra il 2015 e il 2019), nel prossimo triennio il Pil cinese dovrebbe crescere non oltre il 5% annuo, secondo il Centro Studi Iccf su dati National Bureau of Statistics of China. Oggi l’economia cinese è maggiormente matura, ma è carente sul fronte della flessibilità e della diversificazione che consente alle economie occidentali di gestire e assorbire tassi di crescita più ridotti. Per dare nuova linfa vitale ai propri fattori di crescita, così da raggiungere gli obiettivi di sviluppo socioeconomico di lungo termine, dovrà inoltre affrontare una serie di sfide: il degrado ambientale, l’invecchiamento della popolazione, la disoccupazione giovanile (che a giugno ha toccato nella fascia di età 16-24 anni il tasso record del 19,3%) e il crescente indebitamento delle famiglie. Maggiori investimenti nell’innovazione, un’ulteriore apertura agli investimenti dall’estero, una costante valorizzazione del settore privato nonché ulteriori progressi nelle riforme istituzionali potranno aiutare il Paese ad affrontare queste sfide.

Il sostegno finanziario del Governo per il settore della R&S era diminuito drasticamente nel 2020, quando il Paese si è trovato a far fronte alla chiusura e alle interruzioni legate alla pandemia da Covid-19; le aziende sono comunque riuscite a mantenere un importante tasso di crescita, poco oltre la soglia del 10%. Una crescita così pronunciata in R&S è attribuibile alla costante ripresa economica registrata nel corso del 2021, a maggiori driver e incentivi per l’innovazione

Ha aperto nuovi scenari anche il XX Congresso del Partito Comunista che si è concluso lo scorso 22 e che ha determinato la consacrazione e l’ulteriore accentramento del potere nelle mani del presidente Xi Jinping (a cui è stato attribuito lo status di dirigente del popolo, di cui solo Mao Zedong aveva goduto in passato). «Un terzo mandato di Xi Jinping alla testa del Partito Comunista era largamente prevedibile – si legge in un report dell’asset manager Gemway, a firma di Stefano Franchi, Head of Business Development Italy – ma il livello di controllo ottenuto dall’attuale Presidente è totalmente inedito. E fa seguito a un contesto geopolitico sino-americano deteriorato dalla decisione americana di imporre forti restrizioni all’importazione in Cina di tecnologie elettroniche avanzate». La tecnologia sarà al centro della politica economica di Xi, che già ha aumentato la spesa nazionale per la ricerca e lo sviluppo a 2.800 miliardi di yuan, rendendola la seconda più alta al mondo. Non solo: negli ultimi cinque anni, la Cina ha effettuato il suo primo volo spaziale con equipaggio, ha partecipato all’esplorazione lunare e marziana, ha sviluppato sonde per le profondità marine e terrestri, ha prodotto supercomputer, aerei di linea, tecnologie nuclearibiomedicine. E ora per aumentare il suo ruolo di leader tecnologico intende potenziare l’istruzione promuovendo lo studio delle materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics); dedicare attenzione allo sviluppo dei talenti (anche quelli internazionali che Xi vuole attrarre) e centralizzare la mobilitazione e l’allocazione delle risorse, per rafforzare il sistema di laboratori nazionali e premiare la ricerca nei settori strategici.

Nel 2021, i settori che hanno ricevuto il maggior sostegno hanno incluso l’esplorazione spaziale, la fisica nucleare, la scienza quantistica e l’ingegneria biologica. È doveroso ricordare che la spesa per R&S in Cina è ancora lontana da quella degli Stati Uniti che nel 2020 hanno totalizzato 664 miliardi di Usd: circa il 3,45% del Pil

Giuliano Noci: cambiare paradigma per ridurre gli squilibri strutturali

Ma se vuole realizzare questi obiettivi dichiarati, la Cina deve innanzitutto cambiare completamente paradigma perché l’entità degli squilibri accumulati nell’economia è tale che se non vengono risolte alcune questioni il rischio di una bolla è concreta. Squilibri che sono: un livello di indebitamento elevatissimo, oltre il 300% del Pil; un settore immobiliare prossimo alla bolla e in cui sono confluiti molti risparmi delle famiglie. «Questi elementi rendono impossibile il ricorso a manovre di stimolo infrastrutturale che hanno generato la recente e vorticosa crescita cinese – dice Noci – L’export è sempre meno in grado di sostenere il Pil cinese in quanto pandemia e guerra commerciale hanno strutturalmente ridotto il ritmo degli interscambi mondiali. E infine, la domanda interna (secondo NBS, il consumo delle famiglie valeva circa il 38,5% del Pil nel 2021, ben inferiore al 52% dell’Unione Europea e al 68% degli Stati Uniti, ndr) non è un elemento di traino del Pil». Questi squilibri strutturali sono alla base del rallentamento e sono quelle che obbligano il paese a cambiare ruolo. E fanno sì che non possa più essere la fabbrica del mondo: «la crescita del costo dei fattori di input (persone, in primis) e il rischio politico associato la rendono una destinazione meno attrattiva rispetto al passato per molte imprese straniere. Dunque, deve far evolvere la propria produzione aumentandone il valore aggiunto. Per centrare questo obiettivo deve incrementare la sua quota di automazione: se non lo fa andrà in guai seri. E l’attenzione dichiarata da Xi Jinping è che il sistema cinese diventi leader tecnologico mondiale», spiega il professor Noci.

Nel periodo 2021-2035 Pechino vuole centrare l’obiettivo di portare il valore aggiunto delle industrie ad alta intensità di brevetti al 13% del Pil. Nel 2021, le aziende cinesi hanno depositato 8.596 domande di brevetto nei Paesi lungo la Belt and Road Initiative, con un aumento su base annua del 29,4%; a loro volta, i Paesi toccati dalla BRI hanno depositato 25 mila domande brevettuali in Cina

Questa esigenza avrà due effetti: «La Cina ha fame di tecnologia e sarà molto aperta alle imprese straniere che possono procuragliela: non è un caso che il governo centrale di Pechino abbia già chiesto di sbloccare tutto il tema dei visti per manager stranieri. Ne potranno beneficiare tutti i produttori di meccanica occidentali. Ovviamente è del tutto potenziale: per vendere in Cina bisogna avere competenze specialistiche e una rete di assistenza locale e tante altre cose. Ma l’occasione è ghiotta: se vuole avere un futuro la Cina deve aumentare la produttività, avendo problemi di manodopera e per farlo deve dotarsi di automazione». D’altro canto, poiché la Cina non sarà più la fabbrica del mondo si potrebbe stabilizzare un parziale shortage di componenti e forniture per gli importatori occidentali. «Questo dipenderà – precisa Noci – dalle politiche industriali, perché sarà privilegiato lo sbocco interno. Le imprese dovranno soddisfare la domanda interna e poi potranno esportare, questo impatto però di vedrà in un medio termine».














Articolo precedenteEmergenza supply chain! Serve un nuovo paradigma di filiera, o saranno guai… Con Bain
Articolo successivoWebuild, commessa ferroviaria (con Salcef) da 291 mln in Romania






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui