Green Deal: uno tsunami normativo sta per impattare sull’industria continentale! Che fare? Con Paolo Gianoglio (Icim Group)

di Marco de' Francesco ♦︎ Macchinari, automotive, chimica, siderurgia e tutti quanti. Le industrie devono avviare un processo strutturato: valutazione e divulgazione di informazioni sull'impatto ambientale. Obbligati alla rendicontazione: enti di interesse pubblico con oltre 500 dipendenti; dal 2025 le grandi imprese europee; dal 2026 le Pmi quotate. In Italia coinvolte 8mila aziende. Le imprese non compliant faticheranno con i bandi pubblici o con il credito bancario. Soluzioni: associazioni imprenditoriali e piani a medio termine

C’è uno spettro che si aggira per l’Europa. È lo tsunami normativo che sta per impattare sull’industria continentale, soprattutto manifatturiera, sulla scorta della strategia europea denominata Green Deal che sta producendo una mole consistente di nuove normative, spesso identificate da sigle e numeri poco familiari: Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), Green Claims Directive, Csddd (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), Eco design for Sustainable Products Regulation. La prima ad avere concreta applicazione saràla direttiva Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive). Questa estende la portata e la platea delle imprese obbligate al bilancio di sostenibilità, e cioè rendicontazione in merito agli aspetti ambientali, sociali e di governance. Rilevano però due grandi cambiamenti rispetti a precedenti normative. Anzitutto, per le aziende non si tratta di essere formalmente compliant: la rendicontazione non è un documento, ma un processo strutturato che coinvolge la raccolta, la misurazione, la valutazione e la divulgazione delle informazioni relative all’impatto ambientale di un’organizzazione. Le aziende obbligate devono implementare metodi, procedure chiare, risorse adeguate, e un’organizzazione precisa per gestire i dati. Anche gli strumenti e i sistemi informatici devono essere adattati per far sì che tutto funzioni bene e in modo efficiente. In secondo luogo, il rendiconto di sostenibilità è parte integrante della relazione sulla gestione del bilancio aziendale: va sottoposto ad assurance da parte di una società di revisione accreditata. Ma quali aziende sono obbligate?

Tecnicamente, sono obbligate alla rendicontazione dal primo gennaio 2024 gli Enti di interesse pubblico (Eip, banche, assicurazioni, società quotate) con oltre 500 dipendenti; dallo stesso giorno del 2025 le grandi imprese europee (più di 250 dipendenti e altri caratteri); dallo stesso giorno del 2026 le Pmi quotate e dallo stesso giorno del 2028 anche le grandi imprese extra-Ue ma operanti nel territorio dell’Unione (e con un fatturato superiore ai 150 milioni e altri caratteri). Solo in Italia tutto ciò riguarda direttamente ben 8mila aziende. Quindi le piccole sono salve? Non proprio: «In realtà le grandi aziende a capo delle filiere chiederanno ai supplier di fornire informazioni e di adeguarsi parzialmente alla direttiva, a prescindere dalle loro dimensioni. L’attività sostenibile dei secondi incide infatti sulle prime, e quindi non può accadere nulla di diverso. Le aziende obbligate, nel rendicontare, devono includere anche dettagli sugli impatti reali, sui rischi e sulle opportunità che coinvolgono l’intera catena del valore, a monte e a valle» – chiarisce Paolo Gianoglio, Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di Icim Group e Amministratore Delegato di Omeco, una delle società del gruppo. Icim Group attraverso le controllate Icim Spa, Icim Consulting e Omeco mette a disposizione delle imprese un unico interlocutore multiservizio in grado di fornire ogni risposta a esigenze di consulenza, formazione, testing e certificazione con riferimento a materiali, prodotti, impianti, processi, competenze, sistemi di gestione, con particolare attenzione ai settori della meccanica, termoidraulica, impiantistica ed energia.







Il presidente è Andrea Orlando. Tra i soci di Icim ci sono importanti aziende ed associazioni. Ad esempio Anima, la Federazione delle associazioni della meccanica varia e affine, il cui direttore generale è il citato Andrea Orlando. Poi Asa, che è l’azienda servizi di Anima; ancora Ucimu, associazione di costruttori di macchine utensili, robot, automazione e ausiliari e Acimit, l’associazione dei costruttori italiani di macchinario per l’industria tessile. Ancora, Ansaldo Energia e il Comitato termotecnico italiano (Cti); e infine Assistal, l’associazione nazionale costruttori di impianti, e Unionmeccanica, l’unione nazionale della piccola e media industria metalmeccanica. E allora cosa devono fare le aziende? Nel caso di mancata compliance, sono previste sanzioni. Anche le aziende non tecnicamente obbligate ma che non forniscano dati possono essere sfavorite, perché potrebbero per ciò non ricevere commesse da quelle obbligate. Dunque, non resta loro che consultare esperti in compliance, e in ciò le associazioni di settore offrono supporto. Dopo essere informate, le aziende devono pianificare a medio termine, seguendo processi accurati. Non è necessario fare tutto subito, ma è importante farlo bene: è fondamentale rispettare i requisiti non solo formalmente, poiché le autorità sono attente al “greenwashing“. Ne abbiamo parlato con Gianoglio.

D: Che cosa sta accadendo? Perché si parla di iper-regolamentazione?

Paolo Gianoglio, Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di Icim Group e Amministratore Delegato di Omeco, una delle società del gruppo

R: Le grandi imprese già devono rispondere direttamente ai dettami della direttiva Eu Nfrd, che sta per “Non-Financial Reporting Directive” (Direttiva sulla relazione non finanziaria). Richiede alle imprese di una certa dimensione di fornire informazioni non finanziarie nel loro report annuale. L’obiettivo principale della Nfrd è migliorare la trasparenza e la responsabilità sociale delle imprese. Le informazioni non finanziarie includono temi come impatto ambientale, sociale e sulla governance (Esg), rischi legati al cambiamento climatico, rispetto dei diritti umani, e altre questioni rilevanti per la sostenibilità e la responsabilità aziendale. La direttiva mira a garantire che le imprese comunichino in modo accurato e completo i loro impatti non finanziari e la gestione di tali impatti. Dall’anno in corso con la direttiva Csrd si estende la platea degli obbligati al bilancio di sostenibilità: il passaggio coinvolgerà circa 5mila organizzazioni, rispetto alle attuali 200. A livello europeo, l’obbligo di redigere il Bilancio di Sostenibilità è già in vigore per circa 11.600 aziende quotate. La Csrd richiederà a tutte le grandi aziende di fornire informazioni sui loro valori e sulla loro visione della relazione con la società e l’ambiente; ma anche informazioni sulla parità di genere o in tema di anti-corruzione. La rendicontazione sarà soggetta a revisione obbligatoria e dovrà conformarsi ai regolamenti dell’UE sulla Tassonomia, che riguarda le attività sostenibili. Le aziende dovranno anche seguire standard uniformi nella preparazione dei report.

D: Che cos’è esattamente la Rendicontazione? Un documento?

R: Commetterebbe un errore grave e fatale chi la considerasse come un output, come un documento. La rendicontazione è un processo strutturato che coinvolge la raccolta, la misurazione, la valutazione e la divulgazione delle informazioni relative all’impatto ambientale di un’organizzazione. Per fare la rendicontazione è pertanto necessario implementare metodi, procedure, risorse, organizzazione (owner dei dati), strumenti (sistemi informativi), per garantire al processo efficacia ed efficienza (ecologia dei dati). In pratica, la rendicontazione modifica i processi, il modo in cui lavora l’azienda.

D: Ma quali dati devono essere comunicati?

R: Nel definire quali dati ambientali e sociali da misurare e comunicare, è obbligatorio seguire gli standard Esrs, recentemente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea come atti delegati della Csrd.

Uno tsunami normativo sta per impattare sull’industria continentale, soprattutto manifatturiera, sulla scorta della strategia europea denominata Green Deal che sta producendo una mole consistente di nuove normative, spesso identificate da sigle e numeri poco familiari: Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), Green Claims Directive, Csddd (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), Eco design for Sustainable Products Regulation. La prima ad avere concreta applicazione saràla direttiva Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive). Fonte Icim Group

D: E quali sono?

R: Gli Esrs (European Sustainability Reporting Standards) forniscono una struttura e criteri comuni per misurare e comunicare l’impatto ambientale, sociale e di governance delle attività aziendali. Le informazioni da riportare sono quelle che hanno rilevanza (o, mutuando il termine inglese, materialità), secondo il criterio della doppia rilevanza, ovvero le informazioni che riguardano gli impatti che l’impresa può generare su ambiente, persone e comunità, e gli impatti che questioni di sostenibilità (vedi ad esempio il cambiamento climatico) potrebbero avere sul business dell’impresa. Le informazioni riportate devono soddisfare le caratteristiche qualitative fondamentali delle informazioni, vale a dire pertinenza e rappresentazione fedele e le caratteristiche qualitative che migliorano le informazioni, vale a dire comparabilità, verificabilità e comprensibilità.

D: E quindi?

La rendicontazione è un processo strutturato che coinvolge la raccolta, la misurazione, la valutazione e la divulgazione delle informazioni relative all’impatto ambientale di un’organizzazione. Per fare la rendicontazione è pertanto necessario implementare metodi, procedure, risorse, organizzazione (owner dei dati), strumenti (sistemi informativi), per garantire al processo efficacia ed efficienza

R: In pratica, sotto un profilo ambientale i dati da trasmettere devono includere quelli relativi a materie, acqua emissioni ed energia; ed occorre considerare i diversi ambiti, come la progettazione, la produzione, la logistica, il commerciale, l’utilizzo e la dismissione. La gestione della circolarità va trattata secondo un metro particolare. Sotto quello sociale, è possibile includere dati derivanti dalla due diligence della filiera.

D: Nella manifattura, si parla di targhe, bollini ed etichette per definire a priori il valore dei consumi ed emissioni delle macchine.

R: In realtà il labelling di sostenibilità vale solo per alcuni tipi di macchine, come quelle con cicli di lavoro relativamente semplici, grandi numeri e clienti consumer. Per le macchine complesse, con utilizzi ad hoc, poco confrontabili con altre macchine, cicli variabili, piccoli numeri, clienti industriali – non è applicabile.

D: E come si fa allora a calcolare l’efficienza energetica delle macchine?

R: Le macchine utensili hanno parti che usano diverse quantità di energia durante il lavoro. I nuovi standard ISO 14955 aiutano a misurarla e a migliorare il modo in cui le macchine sono progettate e funzionano. Ad esempio, la ISO 14955-1, affronta l’efficienza energetica delle macchine utensili durante la loro vita lavorativa. Identifica le principali funzioni e componenti della macchina responsabili del fabbisogno energetico durante la fase di utilizzo. Questi componenti vengono poi confrontati con quelli precedenti o con lo stato dell’arte per il loro miglioramento futuro. Invece la ISO 14955-2 supporta la metodologia di progettazione del risparmio energetico e la ISO 14955-1 fornisce metodi pratici per misurare l’energia fornita alle macchine utensili. E si potrebbe continuare.

D: E per il calcolo della carbon footprint, quali sono i riferimenti?

R: Ad esempio la norma Uni En Iso 14067 è uno standard internazionale che fornisce linee guida per la valutazione delle emissioni di gas serra associate a un prodotto o servizio. In altre parole, definisce un approccio sistematico per calcolare e comunicare l’impatto ambientale, in particolare le emissioni di gas serra, legate a un’entità specifica come un prodotto, un servizio o un processo. Facilitando la comparabilità tra diverse entità e supporta gli sforzi per la gestione e la riduzione delle emissioni. Ma ce ne sono altre, come la Uni En Iso 14026 (in materia di etichettatura e dichiarazioni ambientali) e la Uni En Iso 14064 (in materia di validazione).

D: Qual è la platea di imprese obbligate dalla Csrd?

R: La Csrd costringerà circa 50mila grandi aziende in Europa e circa 8mila in Italia a presentare rapporti sulla sostenibilità. Inoltre, influenzerà molte più aziende, anche piccole, che forniscono servizi o beni a queste aziende principali. Queste imprese più piccole dovranno anche condividere informazioni sul loro impatto ambientale e sviluppare piani per migliorare la loro sostenibilità.

La norma Uni En Iso 14067 è uno standard internazionale che fornisce linee guida per la valutazione delle emissioni di gas serra associate a un prodotto o servizio. Ma ce ne sono altre, come la Uni En Iso 14026 (in materia di etichettatura e dichiarazioni ambientali) e la Uni En Iso 14064 (in materia di validazione). Fonte Icim Group

D: In che senso la normativa influenza le piccole imprese?

R: Tecnicamente le piccole imprese, quelle sotto i 250 dipendenti, e cioè la stragrande maggioranza delle aziende italiane, non sono obbligate a rispettare il Csrd. Ma, nella pratica, le piccole sono parte di filiere guidate dalle grandi, che per assolvere agli obblighi del CSRD chiederanno ai supplier di fornire dati, informazioni, e poi di adeguarsi. Anche le piccole si troveranno così a rispondere dei consumi annui fossili, dell’impatto carbonico. Insomma, a mio avviso a partire dal 2026-27 le aziende grandi imporranno a quelle più piccole un parziale adeguamento al Csrd.

D: Le imprese a suo giudizio sono consapevoli delle difficoltà che incontreranno con la direttiva Csrd?

R: Devono fare i conti con la realtà. Le aziende non si sono mai rese conto veramente che questa regolamentazione diventerà obbligatoria, e che il problema della compliance va affrontato lasciandosi il tempo necessario per superare la complessità. Il rischio è che accumulino un ritardo fatale, e che poi non siano più in grado di affrontare il problema nei tempi previsti dalla legge. E le conseguenze non sono soltanto le sanzioni: le imprese non compliant faticheranno con i bandi pubblici o con il credito bancario. Le aziende devono capire l’indirizzo europeo, che è molto chiaro; è necessario un impegno comune, a partire dalla politica, per fornire alle imprese innanzitutto formazione e consapevolezza.

Il labelling di sostenibilità vale solo per alcuni tipi di macchine, come quelle con cicli di lavoro relativamente semplici, grandi numeri e clienti consumer. Per le macchine complesse, con utilizzi ad hoc, poco confrontabili con altre macchine, cicli variabili, piccoli numeri, clienti industriali – non è applicabile. Fonte Icim Group

D: Cosa ci si deve aspettare dallo tsunami normativo? Quali conseguenze per la manifattura?

R: Per la manifattura? Difficoltà e costi. Ma la manifattura ha sempre dimostrato di saper reagire e risalire la china. Ora si tratta di fare in modo che un potente appesantimento si trasformi in un’opportunità. Chi si adeguerà per primo otterrà vantaggi in termini di immagine, di competitività; gli altri andranno al traino, faranno più fatica e subiranno maggiori spese.

D: E cosa deve fare un’azienda manifatturiera?

Le grandi imprese già devono rispondere direttamente ai dettami della direttiva Eu Nfrd, che sta per “Non-Financial Reporting Directive” (Direttiva sulla relazione non finanziaria). Richiede alle imprese di una certa dimensione di fornire informazioni non finanziarie nel loro report annuale. L’obiettivo principale della Nfrd è migliorare la trasparenza e la responsabilità sociale delle imprese

R: Deve riferirsi a qualcuno che sia competente in materia di compliance, che le spieghi le cose, e che la indirizzi per implementare quanto necessario con costi adeguati. Sotto questo profilo, anche le associazioni imprenditoriali possono essere utili. Poi, una volta informate, le aziende devono studiare dei piani a medio termine; non si tratta di fare “tutto subito”, ma di fare le cose per bene, partendo dal principio che non è una questione di “carta”, ma di processi; e che le regole sono scritte per essere sempre più restrittive. I requisiti non vanno assolti a livello nominale, e il greenwashing è sotto la lente di ingrandimento delle autorità competenti. Il bilancio di sostenibilità è poi parte integrante del bilancio: scrivere cose false è reato. Insomma, non si possono commettere errori.

D: Come stanno affrontando questa questione le associazioni che riuniscono aziende manifatturiere?

R: Le faccio l’esempio di Anima. È una Federazione confindustriale (peraltro socia di Icim Group; Ndr) formata da 34 Associazioni e gruppi merceologici e conta più di 1.000 aziende associate: tutte insieme, hanno un fatturato di 55,5 miliardi con una quota export del 60% e 221.700 dipendenti. I macrosettori rappresentati da Anima sono: edilizia e infrastrutture; movimentazione e logistica; produzione alimentare; produzione di energia; produzione industriale; sicurezza e ambiente. Ora, Anima si è attivata perché le imprese comprendano la questione della regolamentazione e seguano i relativi processi. Il cambiamento climatico è un fatto consolidato: l’industria meccanica non vuole respingere il percorso di transizione ma, anzi, esserne protagonista. La richiesta non è cessare gli interventi, ma di affrontare la questione con un approccio pragmatico che possa mettere l’industria nelle condizioni di fare la sua parte. Perciò, Anima ha individuato quattro priorità che devono servire da punti cardinali nel processo di definizione delle politiche a favore della transizione green.

D: Quali sono queste quattro priorità?

R: Prima di tutto, è importante che le regole non cambino improvvisamente durante il percorso verso la transizione verde, garantendo stabilità normativa. Le imprese fanno decisioni basate su una visione a lungo termine, e cambiamenti repentini possono causare problemi, come già accaduto con Industria 4.0. e il Superbonus. In secondo luogo, bisogna concentrarsi sulla neutralità tecnologica, spostando l’attenzione dal tipo di tecnologia utilizzata al vettore energetico. Terzo, la trasparenza e il monitoraggio sono essenziali per evitare distorsioni di mercato e impatti negativi su aziende e consumatori. Pubblicare report trasparenti sui progressi nella sostenibilità rende tangibile l’impegno delle aziende a livello competitivo. Infine, la protezione del mercato rispetto alle nuove normative europee richiede uno sforzo aggiuntivo per mantenere la competitività del settore, evitando distorsioni che potrebbero minacciare interi settori industriali.














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