Big data e intelligenza artificiale scuotono l’economia! E la politica industriale?

di Piero Formica* ♦︎ Big data, Ia e digital twin stanno trainando il cambiamento e stimolando la crescita economica. Servirebbero sussidi e sostegni finanziari, ma In Italia la politica industriale ha bisogno dell’innovazione del pensiero per essere reinventata

Il vento della rivoluzione digitale cresce d’intensità. Prima l’hardware digitale e internet, poi i servizi basati su internet ed ora i grandi dati (Big Data) combinati con l’intelligenza artificiale (IA). Siamo chiamati a confrontarci con macchine in grado di svolgere compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la percezione visiva, il riconoscimento del parlato, il processo decisionale e la traduzione linguistica. Queste macchine interpretano una massa di dati, imparano da essi e fanno leva sulle informazioni acquisite per risolvere i problemi più disparati in maniera sempre più precisa. All’età dell’adolescenza dei Big Data e dell’IA, i “gemelli digitali”, che vogliono trasformare stili di vita e modi di lavorare, come sta reagendo il mondo industriale?

L’affollamento delle infrastrutture digitali con Bologna nell’epicentro

Le premesse sono promettenti. Da Bologna, le imprese volgono lo sguardo con un occhio ai “gemelli” e con l’altro allo sviluppo umano attraverso la neonata Ifda (International Foundation for Big Data and Artificial Intelligence for Human Development). Ci sono poi il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf) che si avvale del computer “Leonardo”, tra i primi 10 al mondo per capacità di calcolo, gestito dal Cineca, e il Bologna Big Data Technopole dove viene ospitato il Competence Center Industria 4.0. Alla ricca sorgente felsinea dei “due gemelli” accoreranno scienziati che, per esempio, usano i dati dei cellulari per tracciare la diffusione del coronavirus, mentre altri dati che segnalano i consumi e misurano gli effetti delle condizioni meteo e dei cambiamenti climatici sull’agricoltura vengono utilizzati nell’analisi economica. Vi ricorreranno anche gli ambientalisti che intervengono a salvaguardia della natura e gli umanisti per disegnare nuovi e diversi profili del lavoro nelle imprese, nella sanità e nelle amministrazioni pubbliche.







Con la potenza scatenata dall’azione dei gemelli Big Data e Intelligenza Artificiale, è la politica industriale la forza trainante del cambiamento?

Cineca

Per catalizzare la crescita economica, aumenta il numero di quanti caldeggiano una politica industriale a sostegno dell’economia dei dati, ritenuta un forte volano di sviluppo economico e sociale. Così Wikipedia riassume il significato della politica industriale: «sforzo strategico ufficiale per incoraggiare lo sviluppo e la crescita di tutta o parte dell’economia, spesso focalizzata su tutto o parte del settore manifatturiero. Il governo adotta misure volte a migliorare la competitività e le capacità delle imprese nazionali e a promuovere la trasformazione strutturale. Le infrastrutture di un Paese (compresi i trasporti, le telecomunicazioni e l’industria dell’energia) sono uno dei principali fattori abilitanti dell’economia in generale e quindi hanno spesso un ruolo chiave nella politica industriale». Il pacchetto di misure comprende sussidi alle industrie esportatrici, l’imposizione temporanea di barriere commerciali nei settori chiave, il sostegno alla collaborazione tra le imprese e alla diffusione delle nuove tecnologie. Per entrare nel settore dei semiconduttori, Taiwan ha concesso abbondanti risorse finanziarie agli istituti di ricerca e ha stimolato l’acquisizione di tecnologia straniera. Il risultato più rimarchevole è Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Limited (Tsmc), dal 1987 la fonderia di semiconduttori più importante al mondo che ha modellato un fiorente ecosistema di clienti e partner globali. Anche gli Stati Uniti hanno nutrito la ricerca, nella difesa e nello spazio (programma Apollo). La Germania ha privilegiato l’industria automobilistica concedendole sussidi e con investimenti azionari.

La planimetria del Tecnopolo di Bologna

La Cina che incombe, i problemi sorti (non solo per le epidemie) nelle catene di approvvigionamento, le preoccupazioni per il mal funzionamento – c’è chi dice per il fondamentalismo – del mercato hanno dato nuovo impulso alla politica industriale. Non mancano, però, coloro che vedono nella politica industriale un terreno scivoloso. Si potrebbe cadere nella trappola della pianificazione messa a punto dall’IA e dai Big Data. Guai a dimenticare – si argomenta – che forza trainante del cambiamento restano le idee delle persone. Nessuno può pianificarle. E le persone hanno bisogno di sentirsi liberi, non soffocati dalla burocrazia dei poteri pianificatori, per creare cose nuove e stimolanti. Donne e uomini mescolando scienza e poesia generano idee e le mettono alla prova. Se le premesse sono allettanti, che cosa dobbiamo attenderci? Primo: che ci si adoperi, per esempio, affinché i dati che corrono veloci non siano un dannoso fast food. Apertura e trasparenza dei dati contano più della velocità. Secondo: che gli esseri umani non diventino mucche dalle quali mungere i dati personali. Per non essere “mucche-da-dati” (un’immagine efficace dello storico Yuval Noah Harari), c’è da investire nel potenziale della mente, non solo nella speditezza dei dati. Un ammasso di dati non è scienza, come un mucchio di pietre non è una casa, sosteneva il matematico Henri Poincaré. Terzo: che le scuole non lascino indietro nessuno allorché si apprestano ad affrontare attitudini e capacità degli studenti nel mondo digitale.

Nel caso dell’Italia, la politica industriale ha bisogno dell’innovazione del pensiero per essere reinventata

Leonardo Cineca (rendering)

Le forti raffiche di vento dell’innovazione hanno causato violentissime mareggiate che hanno spazzato via tante imprese. Per salvare questo o quel settore, nei circoli della politica, delle associazioni di categoria e dei sindacati si è ripresa a coltivare l’illusione che la politica industriale con la presenza dello Stato azionista sia il muro antivento da costruire. Il tradizionale approccio italiano alla politica industriale prefigura la triangolazione degli interessi dei politici, degli imprenditori e dei sindacalisti. Il consenso maturato tra costoro farebbe emergere le linee guida per tracciare i percorsi che i settori industriali coinvolti nel negoziato dovrebbero battere. La natura organica dell’innovazione resta preclusa a quest’approccio. Ciò che è in gioco, in nome dell’innovazione, è la spartizione della spesa pubblica tra gli interessi forti. Esperti di settore in veste di consiglieri dei gruppi politici e in quanto consulenti dei gruppi di interesse si appropriano dei benefici collaterali.

Rimediare ai fallimenti privati sostenendo gli imprenditori improduttivi col denaro pubblico è il modo di conciliare, raggruppandoli insieme, gli interessi dei politici con quelli delle cosiddette parti sociali portatrici di interessi particolari. La voce di tutti costoro è così forte da occultare la realtà. L’illusione porta a credere che l’approccio top-down della politica industriale con i suoi burocratici interventi regolatori sia in grado di governare l’innovazione sottomettendola alle sue direttive. La realtà fa vedere corpi estranei, mai vista prima, che entrano nei tessuti imprenditoriali trasformandoli radicalmente. Si tratta di imprese, sorte dal nulla. Questi imprevedibili attori sono gli invasori che in modo contro-intuitivo, sfruttando enormi opportunità non intraviste dalle imprese esistenti, penetrano nei settori industriali ridefinendoli. Il muro antivento di una siffatta politica industriale è un’illusoria salvaguardia dell’economia. Mentre la creatività e la passione dei singoli invasori funzionano come un mulino a vento che sfrutta le forti raffiche dell’innovazione per dare nuova energia all’imprenditorialità. Innovare il pensiero circa la politica industriale vuol dire mobilitare e gestire fondi per la ricerca e le innovazioni di qualità. Lo si fa migliorando la cultura e la pratica della ricerca, disegnando ambienti favorevoli alla sua conduzione e rafforzandone la gestione e il coordinamento.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 20 dicembre 2022)














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