Benetton responsabili del crollo del Ponte Morandi per aver intascato i soldi per la manutenzione?

di Filippo Astone ♦︎ La domanda del titolo è la sintesi di un lungo esposto penale che associazioni di cittadini e di imprenditori genovesi hanno presentato alla Procura di Genova. In Italia è la prima iniziativa di questo genere. Siamo venuti in possesso del documento originale e ne pubblichiamo ampi stralci. Il documento è di forte interesse per chiarire che cosa significa fare impresa in Italia, come sono state condotte le privatizzazioni e il danno imprenditoriale generale creatosi. Sono tesi dei presentatori dell'esposto, e non di Industria Italiana, che le espone per dovere di cronaca, con piena disponibilità a pubblicare qualsiasi replica dei Benetton e di tutte le società interessate

Luciano Benetton, uno degli azionisti di riferimento di Edizione Holding, capofila della catena di controllo di Autostrade

I firmatari sono Comitato zona arancione Ponte Morandi; Cna Genova; Cna Liguria; Usarci Sparci – unione sindacati agenti e rappresentanti di commercio italiani; Trasporto Unito; Assiterminal. Il team di legali comprende Ruggiero Cafari Panico; Andrea Raffaele Caruso; Andrea Ganzer; Andrea Mortara.

L’ipotesi sulla quale si chiede alla Procura di indagare è, sostanzialmente, che gli incrementi tariffari destinati alla manutenzione siano stati usati per remunerare gli azionisti o, addirittura, per ripagare i debiti contratti dagli azionisti stessi per finanziare l’opa che ha consentito loro il possesso dell’azienda autostradale senza investire direttamente nemmeno un euro. Inoltre, si chiede di investigare su reati connessi e sulle responsabilità dei politici che hanno consentito tutto questo.







La concomitanza di dati e riflessioni «dà corpo all’ipotesi che il crollo del ponte non sia stato un tragico ed imprevedibile evento inseritosi per mala sorte su di un terreno di conduzione virtuosa, ma l’ordinaria, prevedibile e accettata conseguenza di una gestione viziosa del servizio autostradale che si è palesata con effetti disastrosi nell’infrastruttura più fragile, vale a dire il Ponte Morandi».

ll Ponte Morandi dopo il crollo, visto da Est, panoramica ( foto di Michele Ferraris)

Le domande che, con molta semplicità, si pongono gli esponenti sono «le seguenti: a monte di questa tragedia e dei successivi disservizi qualcuno ci ha guadagnato? Dietro i problemi di degrado e mancata implementazione dell’infrastruttura, così diffusi e allarmanti, è possibile che vi fosse un disegno sistematico con obiettivi finanziari? Fino a che livello si estendono le responsabilità in seno al gruppo che controlla la società Autostrade per l’Italia? Come è stato possibile che le autorità deputate al controllo abbiano permesso tutto questo? Quali sono stati e che natura hanno avuto i rapporti tra concedente e concessionario?»

All’esito dello studio preliminarmente condotto, l’ipotesi che dei cittadini e delle associazioni imprenditoriali presentatarie dello studio «è che le problematiche infrastrutturali che si sono manifestate con il crollo del Ponte Morandi e con i disservizi del dicembre 2019 abbiano origine in una specifica scelta di gestione aziendale tesa ad ottenere precisi obiettivi finanziari a scapito dell’interesse pubblico».

In particolare «si ha il timore che Aspi – non solo in violazione dello standard generale di prudenza ma in violazione di precise disposizioni europee (artt. 14 e 106 TFUE) – sia stata sistematicamente gestita con un’organizzazione tale da determinare una contrazione dei costi necessari per la corretta ed adeguata manutenzione dell’infrastruttura ricevuta in concessione e, più in generale, per l’erogazione del servizio secondo standard di qualità e quantità minimi, come prescritto dall’art. 14 TFUE. Ciò in ragione di un indirizzo gestionale di carattere prevalentemente finanziario».

Il ponte di Genova, ex Ponte Morandi

Secondo l’ipotesi degli esponenti (..) « è stata garantita una remunerazione agli azionisti sicuramente superiore a quella prevista dalla Convenzione e dall’art. 106 TFUE. Si ipotizza che la forma con cui tale remunerazione è stata garantita non sia esclusivamente quella della distribuzione degli utili, ma vada ricercata anche nell’ammortamento del debito assunto a fronte del conferimento del ramo d’azienda autostradale da parte della controllante (prima Newco 28 S.p.A, oggi Atlantia S.p.A.) a seguito dell’acquisto del restante 53,8% delle azioni (su questi punti si rinvia all’atto allegato)».

Insomma, «Ciò che si chiede alla Procura è proprio di valutare se lo sfruttamento di una componente di tariffa non “agganciata” agli oneri ed investimenti per erogare il servizio possa aver dato luogo ad illeciti di carattere penale, come gli esponenti temono».

Non mancano, come si è detto, i riferimenti alla politica succube dei Benetton: « L’amministrazione italiana parrebbe essere stata debole (per non dire succube) nei confronti del gruppo Benetton. Al di là di considerazioni di segno politico, si rimette alla Procura il quesito su come sia stata possibile per anni una lettura della concessione che avrebbe innalzato la remunerazione del concessionario con le modalità citate e ridotto i presidi di sicurezza e di servizio pubblico»

 

Stralci del documento originale

L’esposizione verrà condotta nel rispetto del seguente indice

  • CAPITOLO I
  • L’iniziativa che si pone all’attenzione della Procura
  • CAPITOLO II
  • Le criticità emerse nel divenire del servizio pubblico;
  • i profili della sovracompensazione tariffaria;
  • le diffuse problematiche di manutenzione delle tratte autostradali;
  • la costruzione di un capitale regolatorio in violazione dell’art. 106 TFUR (e del contratto) con le connesse azioni sulla composizione della tariffa.
  • CAPITOLO III
  • I possibili profili di illecito penale.
  • CAPITOLO IV
  • Le responsabilità sotto il profilo soggettivo
  • CONCLUSIONI
  • NOTA ILLUSTRATIVA

 

CAPITOLO 1

 L’iniziativa che si pone all’attenzione della Procura

Marco Bucci, sindaco di Genova

Il 14 agosto del 2018 crollava il Ponte Morandi, infrastruttura centrale nello snodo viario di Genova, della Liguria e di tutto il Nord Ovest del Paese. Il crollo determinava la morte di 43 persone e generava danni immediati e riflessi di notevoli proporzioni su tutta la Val Polcevera, il quartiere di Sampierdarena e in generale nel Ponente della città.

Il valore infrastrutturale del Ponte Morandi determinava uno stravolgimento della viabilità cittadina e autostradale con riflessi impressionanti sulle attività economiche e sulla vita quotidiana di moltissime persone, in città, nella regione e nelle zone limitrofe.

Nell’autunno del 2019 si verificavano numerosi disservizi che paralizzavano diversi tratti della rete autostradale ligure. In relazione ad alcuni di essi comparivano sulla stampa notizie relative ad una serie di procedimenti penali pendenti presso la Procura di Genova, tra cui il Proc. Pen. n. 314/2019 RGNR nel cui ambito venivano applicate anche misure cautelari. (….)

All’art. 2 della Convenzione unica sono elencate le tratte in gestione, tra cui figurano quelle che attraversano il territorio ligure e in particolare:

  1. A10 Genova – Savona (45,5 Km);
  2. A12 Genova – Sestri Levante (48,7 Km);
  3. A7 Genova – Serravalle (50 Km);
  4. A26 Genova Voltri (ora Genova Prà) – Gravellona Toce (244,9 Km).

Buona parte della rete autostradale del territorio ligure è gestita da Autostrade per l’Italia, che viene ad essere addirittura l’unico gestore dei tratti che collegano Genova con i territori circostanti.

I fatti ut supra sinteticamente esposti hanno determinato un infarto delle infrastrutture a servizio della città di Genova con riflessi diretti su tutta la Liguria (e probabilmente su tutto il Nord Ovest e la Pianura Padana).

Le imprese associate agli enti che sottoscrivono il presente atto hanno subito le conseguenze di tale interruzione di servizio pubblico essendo costrette ad un incremento dei tempi di trasporto che si è riverberato su di un calo di fatturato e su di un aumento dei costi, generando, in taluni casi un arresto della crescita, in altri un vero e proprio impoverimento.

Rispetto a tale freno allo sviluppo, il crollo del Ponte Morandi si pone come uno degli eventi (il più tragico sotto molteplici aspetti) che hanno determinato il collasso della rete autostradale a servizio della città, affiancandosi alle altre interruzioni del servizio individuate in premessa, cui fanno da corollario i quotidiani disservizi che caratterizzavano, prima dell’emergenza pandemica, la gestione delle autostrade intorno a Genova  e la cui attualità si ripropone anche nei giorni in cui viene depositato il presente esposto.

È legittima (e in un certo senso doverosa) l’esigenza di fare chiarezza sulle ragioni che hanno condotto a tale “infarto” e che ruotano attorno alla società Autostrade per l’Italia[1] (d’ora in poi anche solo ASPI o Autostrade), al suo gruppo di controllo ed al loro rapporto con le autorità pubbliche di regolazione che merita di essere approfondito.

Il quadro di vasto e diffuso, per non dire sistematico, disservizio che interessa la Liguria è già oggetto di attenzione della Procura e troverà conferma con l’acquisizione dei tabulati relativi allo stato delle infrastrutture autostradali che servono la città nel periodo fra il mese di ottobre 2019 e il mese di febbraio 2020.

La concomitanza di questi dati e riflessioni dà corpo all’ipotesi che il crollo del ponte non sia stato un tragico ed imprevedibile evento inseritosi per mala sorte su di un terreno di conduzione virtuosa, ma l’ordinaria, prevedibile e accettata conseguenza di una gestione viziosa del servizio autostradale che si è palesata con effetti disastrosi nell’infrastruttura più fragile, vale a dire il Ponte Morandi.

Il carattere sistemico di tale patologico indirizzo aziendale sembra trovare una conferma (e al tempo stesso un effetto) nei gravi ed intollerabili disservizi registrati tra il novembre 2019 e il gennaio 2020, che hanno comportato il gravissimo sostanziale isolamento della Liguria nella direttrice nord (Masone sulla A26, Vignole sulla A7), nella direttrice Est (Albenga sulla A 10) e nella direttrice Ovest (Rapallo/Sestri/Deiva), fatti che peraltro, stando alle notizie giornalistiche, sono oggetto di altre indagini della procura.

Le domande che, con molta semplicità, si pongono gli esponenti, ed in genere l’opinione pubblica, sono dunque le seguenti: a monte di questa tragedia e dei successivi disservizi qualcuno ci ha guadagnato? Dietro i problemi di degrado e mancata implementazione dell’infrastruttura, così diffusi e allarmanti, è possibile che vi fosse un disegno sistematico con obiettivi finanziari? Fino a che livello si estendono le responsabilità in seno al gruppo che controlla la società Autostrade per l’Italia? Come è stato possibile che le autorità deputate al controllo abbiano permesso tutto questo? Quali sono stati e che natura hanno avuto i rapporti tra concedente e concessionario?

Queste sono le ipotesi di lavoro su cui si è mosso in prima battuta un gruppo di cittadini del quartiere di Certosa, riunitisi nel Comitato Zona Arancione Ponte Morandi. (….)

Proprio per la particolare sensibilità su tutte le questioni inerenti il crollo del ponte, il Comitato dava mandato, stimolava e favoriva l’opera di un gruppo di legali e tecnici che analizzassero origini e sviluppo della concessione ad ASPI al fine di verificare eventuali profili di responsabilità in capo all’amministrazione concedente, alla società concessionaria e ai suoi azionisti.

Nel momento in cui si dava avvio a questo lavoro, il Comitato – avendo intuito che le proporzioni del problema andavano oltre il crollo del Ponte Morandi, ma abbracciavano la generale fruizione del servizio autostradale nella regione – coinvolgeva nel percorso alcune associazioni di categoria con cui esistevano consolidati contatti e che si valutava potessero essere interessate ad un approfondimento, in ragione della fruizione frequente dell’autostrada per l’esercizio delle attività commerciali:

  • CNA Genova, che ha tra i suoi soci diverse aziende di trasporto ed ha al suo interno una divisione che si occupa proprio di autotrasporto denominata FITA;
  • USARCI SPARCI Liguria, importante sindacato degli agenti di commercio.

Durante l’approfondimento dello studio emergeva che all’origine della concessione, nella sua prosecuzione e financo negli ultimi e recenti passaggi, erano state poste in essere iniziative di carattere finanziario in cui si sospetta possano essere ravvisabili elementi di illiceità anche di carattere penale, ragione per cui se ne chiede la verifica da parte della Procura.

Venivano quindi coinvolti i rappresentanti di diverse categorie produttive della città, fino ad abbracciare una fetta consistente della società civile genovese e ligure che ha fatto propria la presente iniziativa, considerato che, laddove l’ipotesi prospettata venisse confermata dalle indagini della Procura, tutti gli aderenti alle associazioni di categoria risulterebbero persone offese e danneggiati.

Si tratta, oltre al comitato e alle associazioni già menzionate, degli altri soggetti che propongono il presente esposto e vale a dire Assiterminal e Trasporto Unito.

 

CAPITOLO II.

Le criticità emerse nel divenire del servizio pubblico; 

i profili della sovracompensazione tariffaria;

le diffuse problematiche di manutenzione delle tratte autostradali;

la costruzione di un capitale regolatorio in violazione dell’art. 106 TFUR (e del contratto) con le connesse azioni sulla composizione della tariffa.

All’esito dello studio preliminarmente condotto, l’ipotesi che si sottopone all’attenzione della Procura è che le problematiche infrastrutturali che si sono manifestate con il crollo del Ponte Morandi e con i disservizi del dicembre 2019 abbiano origine in una specifica scelta di gestione aziendale tesa ad ottenere precisi obiettivi finanziari a scapito dell’interesse pubblico.

In particolare si ha il timore che Aspi – non solo in violazione dello standard generale di prudenza ma in violazione di precise disposizioni europee (artt. 14 e 106 TFUE) – sia stata sistematicamente gestita con un’organizzazione tale da determinare una contrazione dei costi necessari per la corretta ed adeguata manutenzione dell’infrastruttura ricevuta in concessione e, più in generale, per l’erogazione del servizio secondo standard di qualità e quantità minimi, come prescritto dall’art. 14 TFUE. Ciò in ragione di un indirizzo gestionale di carattere prevalentemente finanziario.

Tale impostazione amministrativo/finanziaria, inosservante degli obblighi di servizio pubblico del concessionario, connotata dalla confusione fra obbiettivi industriali ed obbiettivi pubblicistici,

  • ha condotto allo spostamento del tempo degli interventi strutturali sul nodo di Genova, previsti sin dal 1989, che sarebbero stati finalizzati a ridurre il flusso veicolare sulle arterie già presenti (a cominciare proprio dal Ponte Morandi, per giungere ai tratti investiti dai disservizi dell’autunno 2019), favorendone il degrado, senza che venissero attivate misure di adeguata manutenzione o surroga, per le quali erano peraltro disponibili le risorse tariffarie;
  • ha favorito remunerazioni sproporzionate rispetto al servizio erogato, in violazione dell’art. 106 TFUE, conseguite anche e soprattutto attraverso le tariffe sostenute dai cittadini,
  • si è saldata con un diffuso degrado dell’infrastruttura, con conseguente esposizione al pericolo di tutti gli utenti e con l’emersione di frequenti disservizi (inquadrabili come vere e proprie interruzioni) nel corso degli ultimi anni, culminati con il crollo del Ponte Morandi del 14 agosto 2018 e seguito dagli eventi dell’autunno 2019.

L’insieme di questi dati pone una correlata problematica ove si ponga mente al ruolo della pubblica amministrazione deputata a gestire il rapporto con il concessionario. Quale è stato l’atteggiamento di fronte a queste anomalie? Quali erano i rapporti tra concessionario e soggetto deputato al suo controllo? Nel caso le ipotesi avanzate fossero confermate, emergerebbe un fallimento e forse addirittura un’abdicazione da parte del soggetto pubblico rispetto ai suoi obblighi di regolazione e controllo, di fatto validando le scelte di un concessionario di oggettiva forza economica, con cui è venuto a maturare un rapporto che pare presentare ombre su cui si ritiene sia giusto fare luce.

In particolare, il sospetto che si nutre, la cui valutazione si rimette alla Procura, è che tale sistematica contrazione dei costi di intervento sull’infrastruttura possa essere stata il frutto di una deliberata scelta, che avrebbe avuto quale snodo la composizione degli elementi posti alla base dei piani economico finanziari nel tempo allegati alla concessione di gestione autostradale e la correlata individuazione della tariffa che lo Stato autorizza il concessionario ad applicare e che i cittadini e le imprese pagano.

Per comprendere il significato e la portata di questa affermazione può risultare utile richiamare il concetto di “compensazione degli oneri di servizio pubblico”, ai sensi dell’art. 106 TFUE[1], ossia dell’insieme delle risorse necessarie nel tempo per remunerare il capitale utile per erogare il servizio di interesse generale.

Questo insieme verrà definito nel corso dell’esposto con gli altri termini con cui viene normalmente chiamato anche, in modo atecnico:

  • RAB – acronimo di regulatory asset base,
  • CIN – acronimo di capitale investito netto,
  • capitale regolatorio.
Paola De Micheli – Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti

Punto di riferimento per l’individuazione dei principi che presiedono alla materia delle concessioni autostradali è la sentenza Altmark, cui di recente si è affiancata la Decisione della Commissione n. 2435/2018/UE.

Alla luce di questi pronunce, per i servizi di interesse economico generale di carattere autostradale la “compensazione degli oneri” copre tutti i lavori ossia la manutenzione, l’implementazione e la valorizzazione dei beni demaniali ricevuti in concessione. E ciò è strumentale a consentire la fruizione del servizio da parte degli utenti secondo determinati standard di sicurezza e qualità. D’altro canto, il concessionario riceve in gestione un bene demaniale, la rete autostradale, che alla scadenza della concessione dovrà restituire al concedente, cioè lo Stato.

In ragione di questo è necessario, per il tempo in cui vige la convenzione, specificare quale sia l’ammontare degli investimenti che nel corso del tempo il concessionario ha compiuto a vantaggio dell’infrastruttura, anche perché tali investimenti determinano un valore che (al netto degli ammortamenti) con la fine della concessione rientra nella disponibilità del soggetto pubblico concedente.

Lo Stato, in base al diritto europeo, per consentire e favorire tali investimenti prevede che il denaro utilizzato per finanziarli sia rimborsato e remunerato, cioè che sia versato al concessionario un premio che si aggiunga ai costi previsti[3].

Al di là delle definizioni, lo stesso ordinamento europeo prevede che il servizio autostradale – inquadrabile come servizio di interesse economico generale (categoria individuata e disciplinata all’art.106 del TFUE e che può accostarsi a quello che nell’ordinamento interno è il servizio pubblico) – debba essere remunerato considerando i costi sostenuti per lo svolgimento del servizio, maggiorati di un utile ragionevole.

Il principio così sintetizzato ha trovato una compiuta definizione nella citata “storica” sentenza Altmark ( C-280/00 del 24 luglio 2003) che ha fornito i criteri che devono guidare la corretta interpretazione delle norme nazionali e soprattutto degli atti concessori: nel caso di servizi di interesse economico generale (tanto più  quelli affidati senza l’esperimento di una gara come è il caso della concessione ad Aspi), i ricavi riconosciuti al concessionario non devono andare oltre quanto necessario per la restituzione dei costi sostenuti, maggiorati di un utile ragionevole.

Il costo del capitale regolatorio (leggasi i costi capitalizzabili sostenuti e da sostenere) costituisce, unitamente ai costi operativi non capitalizzabili, la base di calcolo per l’individuazione della tariffa autostradale che lo Stato permette al concessionario di applicare.

Tuttavia la tariffa non è incrementabile all’infinito ma deve mantenere un livello socialmente sostenibile (definizione rinvenibile nella decisione della Commissione Europa 2435/2018) con alcune conseguenze:

  1. se i ricavi hanno un limite, anche gli oneri imposti sul concessionario (in termini di lavori e servizio) hanno un limite correlato. In altri termini, gli investimenti e le manutenzioni non possono essere incrementati all’infinito, perché ciò comporterebbe aumenti della tariffa non sostenibili socialmente e quindi non tollerabili;
  2. quel che poi si ipotizza nel caso di ASPI (e che potrebbe avere un collegamento con quanto emerso nelle indagini sulle manutenzioni autostradali, così come riportate dai giornali) è che gli investimenti già previsti nel nodo di Genova (la c.d. Gronda o Bretella Voltri-Rivarolo), per 1,8 miliardi di euro, non siano stati effettuati ma, la tariffa, che presupponeva ex ante tali investimenti (art. 18 Convenzione Unica, espressamente ricognitivo della tariffa della Convenzione del 1997), sia rimasta invariata;
  3. di conseguenza i ricavi conseguiti, che dovrebbero riflettere gli investimenti e le manutenzioni sull’infrastruttura, sarebbero stati impiegati anche per compensare costi non correlati alla compensazione degli oneri ex art. 106 TFUE, ma per favorire, a vario titolo, la società controllante, con il risultato che la tariffa anziché essere utilizzata per lavori sulle opere potrebbe essere stata utilizzata, almeno in parte, per rimborsare altre poste economiche, comunque non legate all’erogazione del servizio, bensì  a beneficio degli azionisti di controllo;
  4. è evidente che tale ipotesi dovrebbe trovare ulteriori riscontri tecnico-contabili cui la Procura potrà procedere e che gli stessi esponenti si riservano di individuare. Si può sin d’ora specificare che l’utilizzo dei ricavi sia avvenuto in modo contrastante con quanto consentito dall’art. 106 TFUE.

Quel che si ipotizza sia accaduto è che la società, sotto gli occhi delle amministrazioni concedenti, abbia utilizzato – in violazione dell’art. 106 TFUE – una parte dei proventi della tariffa (quindi una parte dei ricavi di esercizio, e non degli utili) per rimborsare e remunerare costi relativi al debito originariamente contratto dagli acquirenti di Autostrade (la società Newco28 emanazione del Gruppo Benetton che era proprietaria delle quote per il tramite della società Edizione) per acquistare il 53,8% delle azioni di Autostrade reperibili sul mercato.

Tali azioni, comprate a seguito del lancio di un’offerta pubblica di acquisto volontaria (cosiddetta OPA), si andavano ad aggiungere al 30% già originariamente acquistato dalla società Schema 28 (anch’essa riferibile al Gruppo Benetton per il tramite della società Edizione) direttamente dal precedente proprietario, vale a dire lo Stato in persona dell’IRI, all’esito della privatizzazione di Autostrade.

Tale acquisto è stato il frutto di un’operazione societaria complessa (che si ricostruirà nell’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente esposto e che sarà integrato con ulteriori relazioni di carattere tecnico sotto il profilo contabile, societario ed amministrativo), che ha condotto alla nascita della Società Autostrade per l’Italia.

L’inserimento indebito di questa posta si collega, in direzione biunivoca, con il meccanismo di calcolo della tariffa, che deve sempre essere “agganciata” ai costi o agli investimenti, nel senso che la tariffa si giustifica, almeno in parte, in quanto destinata a rimborsare e remunerare, durante la vita della concessione, il capitale investito nell’infrastruttura e riconosciuto come tale. Nel momento in cui alcune componenti della tariffa vengono sganciate dal capitale investito, non trovano giustificazione alcuna e finiscono per essere ingiustamente poste sulle spalle dei cittadini e delle imprese che fruiscono del servizio:,la tariffa dovrebbe essere calcolata solo sulla base di costi e investimenti effettivi, cioè dell’insieme delle risorse necessarie all’erogazione del servizio.

Nel caso di ASPI quel che si ipotizza sia avvenuto è proprio un’operazione sulla composizione della tariffa e sul suo collegamento con i lavori da eseguire.

In particolare, nella convenzione del 1997 la componente principale della tariffa era basata su una quota forfettaria garantita per ogni chilometro di tratta autostradale. Tale tariffa faceva, tra l’altro, riferimento ad un programma di investimenti (corrispondenti ad un capitale da investire, anche se tecnicamente in allora non ancora definibile RAB) che prevedeva importanti e costosi interventi tra cui la Gronda di Genova (allora Bretella Voltri Rivarolo) e le opere collaterali, per un valore di 1,8 miliardi di euro. Questo era il terreno su cui venne progettata la privatizzazione e costituiva il quadro economico di riferimento sulla cui base veniva acquistata da Schema28 la prima tranche pari al 30% di azioni che venivano vendute da IRI.

Una volta entrata nella proprietà di Autostrade, Schema 28 otteneva l’approvazione nel 2002 di un atto aggiuntivo che prevedeva lo “spostamento” di una serie di opere, tra cui i lavori del nodo di Genova (Gronda o Bretella Voltri-Rivarolo, per euro 1,8 mld).

Tali opere erano originariamente destinate ad essere finanziate con i proventi della tariffa forfettaria, ma, proprio con tale atto aggiuntivo, venivano a costituire la base per il calcolo di una nuova ed ulteriore componente di tariffa che prevedeva, oltre al rimborso dei costi, una quota di remunerazione del capitale pari al 7,18%.

Questa nuova componente tariffaria non si andava però a sostituire alla tariffa base, ma si affiancava ad essa, con il risultato che la tariffa forfettaria (originariamente destinata a finanziare quelle opere successivamente incluse nel IV atto aggiuntivo del 2002 e “coperte” con la nuova componente tariffaria) risultava sganciata da investimenti e quindi dal capitale regolatorio.

Tale componente finiva per rappresentare una sorta di “serbatoio” continuamente alimentato dai pedaggi e che si trovava a disposizione di ASPI senza un diretto collegamento con i lavori eseguiti e i costi del servizio, come, invece, l’art. 106 TFUE imporrebbe.

Secondo l’ipotesi degli esponenti, con tale “serbatoio” è stata garantita una remunerazione agli azionisti sicuramente superiore a quella prevista dalla Convenzione e dall’art. 106 TFUE. Si ipotizza che la forma con cui tale remunerazione è stata garantita non sia esclusivamente quella della distribuzione degli utili, ma vada ricercata anche nell’ammortamento del debito assunto a fronte del conferimento del ramo d’azienda autostradale da parte della controllante (prima Newco 28 S.p.A, oggi Atlantia S.p.A.) a seguito dell’acquisto del restante 53,8% delle azioni (su questi punti si rinvia all’atto allegato).

Tale “sganciamento” della tariffa forfettaria base dagli obblighi di investimento si sarebbe protratta nel tempo in tutti i rinnovi di concessione, sino alla trattativa attualmente in corso, in cui il problema pare essere emerso senza che però si abbia conoscenza degli esiti di tale presa d’atto, proprio nel momento in cui viene adottato il nuovo atto regolatorio da parte dell’Autorità di regolazione dei trasporti che impone di applicare il legame tra investimenti e tariffa a tutta la vita della concessione, come imposto dal d.l. 109/2018.

Gli esponenti auspicano che la Procura possa verificare la fondatezza della seguente ipotesi:

  • successivamente al 2002 (dopo l’approvazione del IV atto aggiuntivo con lo “spostamento” di una serie di opere in un nuova componente tariffaria), nel corso degli anni, sarebbe entrata nel patrimonio di Autostrade, tramite la tariffa base forfettaria, una somma oltremodo significativa che, provenendo dalla tariffa stessa, avrebbe invece dovuto essere utilizzata per attività strettamente connesse all’erogazione del servizio autostradale a cominciare dalla custodia dell’infrastruttura.
  • Occorre quindi accertare se, nel momento in cui il fabbisogno manutentivo ha fatto emergere drammatiche necessità di ulteriori investimenti – per conservazione o rinnovamento di tratte autostradali che si trovavano in condizioni inidonee all’erogazione del servizio -, quelle risorse provenienti dalla tariffa base (ormai sganciate da specifici investimenti ma comunque destinate all’infrastruttura secondo i principi dell’art. 106 TFUE) avrebbero potuto essere utilizzate proprio per tali interventi straordinari e al tempo stesso necessari ed urgenti, così come la vicenda del Ponte Morandi ha plasticamente dimostrato.
  • Quei denari (pubblici in quanto provento di tariffa) potrebbero invece avere percorso altre strade e trovato diverse destinazioni, con il risultato che le risorse per le manutenzioni si sono rivelate inferiori all’effettivo fabbisogno.

 

A latere di questa ricostruzione è naturale chiedersi come sia stato possibile che per anni il concessionario abbia realizzato – e le istituzioni preposte al controllo abbiano avallato – una gestione che ha sortito diversi effetti:

  • consentire un margine di remunerazione che, secondo alcuni calcoli che ci si riserva di illustrare dal punto di vista contabile, potrebbe avere raggiunto il 25% annuo rispetto ai costi degli investimenti effettivamente sostenuti e programmati;
  • mettere a rischio la regolare manutenzione della rete; e ciò in quanto le tariffe dovevano servire per remunerare un capitale che, non essendo corrispondente agli effettivi lavori, ma includendo anche una indebita posta di restituzione di un debito (quello per l’acquisto delle azioni) risultava sproporzionato.

Solo nel 2019, nell’ambito della nuova negoziazione della convenzione, il problema sarebbe emerso a seguito dei rilievi mossi dai dirigenti dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) e del Ministero dell’economia. Sarà agevole per la Procura accertare gli elementi emersi a seguito di tale verifica.

Ciò che si chiede alla Procura è proprio di valutare se lo sfruttamento di una componente di tariffa non “agganciata” agli oneri ed investimenti per erogare il servizio possa aver dato luogo ad illeciti di carattere penale, come gli esponenti temono.

Se l’ipotesi fosse confermata, la gestione del servizio pubblico di cui trattasi (art. 106, Tfue) sarebbe stata inquinata da diverse anomalie:

  1. l’operazione che ha portato alla nascita di ASPI, lecita sul piano del diritto societario (secondo lo schema delle operazioni di c.d. leveraged buy out), produce effetti illeciti nel momento in cui il debito o i relativi oneri finanziari sono usati ed imputati alla stregua di capitale investito nella infrastruttura;
  2. influisce direttamente sulla tariffa con ulteriori conseguenze:
    • la tariffa pagata dai fruitori dell’autostrada è, almeno in parte, sganciata dai lavori eseguiti e utilizzata da Autostrade per rimborsare e remunerare una posta che non dovrebbe essere rimborsata, con il paradosso che di fatto i fruitori dell’autostrada stanno pagando ad ASPI il costo sostenuto dai suoi azionisti per acquistare la società;
    • se così è, consegue il sospetto che l’operazione abbia influenzato (per non dire inquinato) la complessiva gestione della società, riverberandosi in maniera significativa soprattutto in ragione dello spostamento, dalla Convenzione del 1997 all’Atto aggiuntivo del 2002, degli investimenti sul nodo di Genova mai realizzati. Ciò potrebbe introdurre un collegamento con il crollo del Ponte Morandi e con i disservizi sulla rete (connessi ai diversi danni all’infrastruttura emersi nel 2019).

Rispetto ai passaggi ut supra esposti, si potrà rinvenire nella relazione allegata una traccia di ricostruzione che giustifica la presentazione del presente esposto e la richiesta di un approfondimento da parte della Procura.

 

Capitolo III

I possibili profili di illecito penale.

Come si sarà compreso il presente esposto si pone al convergere di due quadri di fatto:

  • da un lato le evidenze circa i diffusi problemi di manutenzione che hanno condotto al crollo del Ponte Morandi e ai disservizi sopra elencati e che costituiscono oggetto di approfondimenti della Procura;
  • dall’altro la ricostruzione degli eventi che hanno caratterizzato la gestione della convenzione da un punto di vista economico finanziario.
Il premier Giuseppe Conte

(….) I rilievi penalistici però non si arrestano all’inquadramento degli esiti finali delle condotte. È possibile che, per conseguire gli scopi di cui sopra, siano stati posti in essere comportamenti che, a loro volta, integrano dei reati. In particolare, versando in tema di una concessione pubblica, il profilo principale attiene il rapporto con l’autorità deputata al controllo della gestione della concessione nell’interesse dei cittadini. Nel caso di specie potrebbe essersi verificato quel fenomeno definito nell’ambito del diritto dell’economia come “cattura del controllore”: dal punto di vista economico il soggetto controllato, vale a dire il concessionario, diviene talmente forte da condizionare il controllore rispetto alla gestione della concessione. Se tale “cattura” si traduce in violazioni di legge o atti frodatori ecco che tali condotte potrebbero avere rilievo penale ed in particolare:

  • nel caso di comportamenti di dissimulazione del vero, si avranno delle possibili truffe ai danni dello Stato, mediante la produzione di falsi;
  • nel caso invece in cui i comportamenti siano apertamente contrari alle normi vigenti ed il relativo controllo da parte di chi era deputato a farlo sia stato omesso in violazione di legge, ci troveremmo di fronte ad atti di abuso di ufficio da parte del controllore. Ove poi fosse che, a fronte di tali abusi, i funzionari addetti ai controlli abbiano ricevuto dei vantaggi economici, ci troveremmo di fronte a dei fatti di corruzione. (..)

Non vi è dubbio, tuttavia, che, al di là dei profili penalistici, si è assistito ad una costante e devastante violazione delle regole essenziali di trasparenza e buona amministrazione, accompagnata dall’azione di un soggetto pubblico che ha di fatto rinunciato all’esercizio del potere di controllo ed ha delegato al concessionario ogni aspetto della gestione.

Utile in questo senso sarebbe la ricostruzione degli organigrammi della società ASPI e dei suoi soci, nonché degli uffici pubblici preposti al controllo del servizio, al fine di verificare se, come potrebbe apparire ad un primo esame, sia maturato tra concedente e concessionario un rapporto malato.

Gli scriventi intendono valutare l’opportunità di esperire sul punto indagini difensive nonché avanzare un’istanza di accesso agli atti presso l’Autorità di Regolazione dei Trasporti.

Il video del crollo del Ponte Morandi. Fonte La Repubblica

Capitolo IV

Le responsabilità sotto il profilo soggettivo

L’operazione descritta nelle pagine precedenti postula un’area di responsabilità piuttosto ampia.

  1. ASPI e i suoi controllori: il gruppo Benetton
  • Il sospetto degli esponenti è che il centro decisionale delle scelte di gestione sia stato (e sia ancora) esterno ad ASPI o, per meglio dire, vi sia stata una commistione fortissima che ha determinato un tipo di organizzazione aziendale che può definirsi – prendendo a prestito la categoria dal diritto commerciale – come una sistematica e preordinata ingerenza (una vera e propria c.d. “tirannia”) del socio di controllo sulle scelte di gestione degli amministratori della società controllata, compiuta in possibile violazione delle norme che presiedono al corretto governo societario. Se questa ipotesi fosse corretta, il rilievo penale sarebbe evidente sotto il profilo dell’amministrazione di fatto: l’ingerenza della controllante (in questo caso Atlantia) sulla controllata (ASPI) conduce ad una concentrazione sul socio (Atlantia) della gestione del soggetto industriale (ASPI), con il risultato che possono ricondursi alla holding le scelte operative compiute da Autostrade. È quindi possibile che, mediante una “abusiva” attività di direzione e coordinamento, le esigenze finanziarie della controllante abbiamo sistematicamente prevalso su quelle della controllata;
  • il gruppo Benetton (di cui è espressione la società Edizione proprietaria del pacchetto di controllo di Atlantia) costituisce una impresa industriale (art. 101 TFUE) presente nelle infrastrutture attraverso aeroporti, autostrade e servizi connessi. Ipotizzano gli esponenti che le decisioni di Aspi siano state adottate nel contesto del gruppo industriale, fortemente integrato, con obiettivi non coincidenti con l’erogazione di un servizio pubblico.

2. La gestione del rapporto con la politica e l’amministrazione pubblica. L’abuso        dei rapporti politici e con le amministrazioni pubbliche

  • Il gruppo Benetton ha costantemente intrattenuto rapporti con una politica ed una amministrazione che, laddove venisse confermata la ricostruzione prospettata, risulterebbe essere stata totalmente inadeguata.
  • L’amministrazione italiana parrebbe essere stata debole (per non dire succube) nei confronti del gruppo Benetton. Al di là di considerazioni di segno politico, si rimette alla Procura il quesito su come sia stata possibile per anni una lettura della concessione che avrebbe innalzato la remunerazione del concessionario con le modalità citate e ridotto i presidi di sicurezza e di servizio pubblico.
  • I dirigenti del ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno svolto un ruolo decisivo che va esplorato.
  • Peraltro proprio questa debolezza del soggetto pubblico nei confronti del concessionario emerge dagli esiti dell’indagine che la Corte dei Conti ha sviluppato nel dicembre del 2019 e che molto ha influito nello sviluppo dello studio che ha condotto alla redazione del presente esposto che gli esponenti intendono completare con ulteriori approfondimenti anche in sede di indagini difensive. (….)














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1 commento

  1. I familiari delle vittime del ponte Morandi non permetteranno che finirà tutto a tarallucci e vino.

    Finirà come la strage di Viareggio.

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