Bcg: il covid ha dato un’accelerata all’open banking

Durante la pandemia un terzo dei clienti italiani ha utilizzato canali alternativi alla banca per servizi finanziar. L'87% condividerebbe i dati bancari in un ecosistema aperto

Stefano Valvano, managing director & partner di Bcg

La pandemia ha trasformato le abitudini degli italiani, che dalle banche chiedono sempre più velocità, capacità di risposta ed elevati livelli di servizio. Non solo: durante l’emergenza sanitaria si sono appoggiati anche a fornitori di servizi finanziari diversi dalle banche, mostrando interesse per l’Open Banking. Questo è quanto emerge dal Global commercial banking client survey di Boston Consulting Group, un sondaggio condotto su 750 clienti delle banche commerciali globali in Australia, Canada, Cina, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Italia.

Dall’analisi della rilevazione italiana, la buona notizia per le banche è che i clienti sentono di essere stati sostenuti durante la pandemia dai loro istituti: dall’inizio dell’emergenza Covid19 hanno soddisfatto le esigenze nel 91% dei casi sui depositi, nell’89% sul credito, nell’81% sui programmi sponsorizzati dallo Stato e nel 76% sul trade finance. Gli utenti continuano a apprezzare il rapporto umano e la dimensione locale della banca. E la relazione è diventata più stretta durante la crisi Covid19: il rapporto con la banca principale nel 45% dei casi è rimasto uguale, nel 35% si è rafforzato e solo nel 19% dei casi si è indebolito.







Sotto la superficie, preferenze e aspettative dei clienti stanno cambiando rapidamente, ridisegnando il panorama competitivo e mettendo a rischio i modelli tradizionali di servizio delle banche commerciali. Dall’inizio della pandemia ben il 52% dei clienti italiani ha preso in considerazione di cambiare banca, principalmente per motivi legati al servizio. E il 2% ha effettivamente cambiato istituto nel periodo della rilevazione (un dato che si traduce in un tasso di abbandono volontario annualizzato di circa il 4% dei clienti). I motivi principali di abbandono della propria banca sono stati l’impossibilità di soddisfare le esigenze dei clienti nelle operazioni (nel 36% dei casi) o i tempi di risposta troppo lenti (35%), ma anche l’impossibilità di contattare qualcuno con cui parlare (20%) o esigenze di credito insoddisfatte (20%).

Nuovi standard di servizio. Gli operatori non bancari stanno progressivamente diventando “mainstream”, definendo nuovi standard per l’eccellenza del servizio. Il 34% dei clienti italiani ha utilizzato una società non bancaria negli ultimi 12 mesi, un numero significativo, che fotografa l’aperta competizione in atto. Ma l’indagine mette anche in discussione l’opinione comune secondo cui gli istituti non bancari competerebbero con gli attori tradizionali principalmente offrendo crediti “più facili” (standard di rischio inferiori, disponibilità più rapida) e solo alle pmi: i clienti, anche aziende di grandi dimensioni, utilizzano servizi non bancari per una varietà di esigenze e si dicono soddisfatti dell’esperienza.

Le principali ragioni per cui i clienti italiani hanno scelto canali non bancari, infatti, sono sia i tempi più rapidi nel credito che la più ampia varietà di servizi (identificati entrambi dal 38% dei rispondenti), poi la possibilità di accesso al credito (35%) e la presenza di competenze digitali sul servizio (18%). L’aspetto più critico per gli operatori tradizionali è che i soggetti non bancari superano ampiamente le banche in termini di qualità del servizio: quattro clienti su dieci (38%) hanno giudicato l’esperienza con un fornitore non bancario migliore di quella con la banca, solo il 24% peggiore.

Verso l’open banking. Un’alta percentuale di clienti (circa nove su dieci) si dice disposta a condividere i dati delle proprie operazioni per una richiesta di prestito, anche se la maggior parte lo farebbe solo in cambio di un vantaggio come processi più rapidi o sconti. E l’87% dei clienti italiani è interessato condividere i propri dati per entrare a far parte di un ecosistema bancario aperto. Ma nella scelta verso a chi condividerli, la preferenza va indiscutibilmente sulla banca principale, indicata dall’67% degli intervistati, mentre solo una minoranza, il 27%, si affiderebbe a un’azienda non bancaria, evidenziando un vantaggio intrinseco di fiducia per gli operatori storici in questo ambito.

Il futuro della banca. L’indagine delinea il futuro del modello di servizio della banca commerciale a livello globale. Il trend è chiaro: il 24% dei clienti italiani si è registrato per la prima volta a un prodotto o servizio bancario digitale durante la pandemia e il 34% si è iscritto per la prima volta ad un portale di mobile business o app di corporate banking, il 50% oggi afferma di avere maggiori probabilità di utilizzare il digital banking in futuro. Ma la crescente domanda digitale non significa che i rami fisici siano diventati irrilevanti: solo il 23% dei clienti dichiara di avere meno probabilità di entrare in una filiale in futuro.

«Le banche devono adattare rapidamente il loro modello di servizio a un ibrido che preveda il coinvolgimento dei clienti con modalità sia fisiche che digitali e virtuali, per non perdere terreno rispetto ai concorrenti», spiega Stefano Valvano, managing director & partner di Bcg. «Nel breve termine questo significherà correggere le carenze evidenziate dalla pandemia, bilanciando attentamente l’interazione digitale e virtuale senza perdere gli elementi locali e umani che costituiscono il vantaggio competitivo naturale rispetto alla concorrenza non bancaria. Nel lungo termine, le banche dovranno coltivare un ecosistema di partner che soddisfi l’intera gamma di esigenze finanziarie dei clienti e sfruttare i dati (interni ed esterni) per migliorare portare prodotti e servizi».














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