Autostrade per l’Italia, arrestati l’ex ad Castellucci e altri cinque manager

di Marco Scotti ♦︎ A oltre due anni dal crollo del Ponte Morandi è stata emessa l’ordinanza che ha portato in carcere il manager, cui vengono addossate le responsabilità del disastro. Ma è davvero così? E perché la scelta è arrivata solo ora? Che cosa succederà adesso all’estenuante trattativa tra Atlantia e la Cdp?

L'ex amministratore delegato di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci

Attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture: sono i due gravissimi capi d’accusa che hanno portato all’arresto dell’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, e di altri cinque top manager in relazione alla tragedia del Ponte Morandi. Il cedimento strutturale sul Polcevera era avvenuto il 14 agosto del 2018 ed era costato la vita a 43 persone. L’iscrizione nel registro degli indagati dell’amministratore delegato era un atto dovuto prima ancora che ovvio. Ma ci sono alcuni punti che ancora non tornano.

Primo: perché proprio ora? Sono trascorsi più di 24 mesi dal disastro e Castellucci non è più ai vertici di Aspi da gennaio del 2019, liquidato con 13 milioni di buonuscita dopo un rapporto più che decennale. Secondo gli inquirenti, nonostante siano trascorsi 21 mesi dall’allontanamento di Castellucci, il manager avrebbe continuato a intrattenere rapporti stretti con la società, in particolare rallentando le operazioni di sostituzione delle barriere fonoassorbenti ritenute a rischio distacco su tutta la rete autostradale italiana.







Proprio in merito alle barriere, la Guardia di Finanza parla di “numerosi e gravi elementi indiziari e fonti di prova”. Secondo gli inquirenti c’era la “consapevolezza della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza stradale, con rischio cedimento nelle giornate di forte vento (fatti peraltro realmente avvenuti nel corso del 2016 e 2017 sulla rete autostradale genovese) e la consapevolezza di difetti progettuali e di sottostima dell’azione del vento, nonché dell’utilizzo di alcuni materiali per l’ancoraggio a terra non conformi alle certificazioni europee e scarsamente performanti”.

Il ponte di Genova, ex Ponte Morandi

Autostrade ovviamente si è difesa, prendendo le distanze dal manager ed emettendo una nota in cui si mostra pienamente “compliant”. “La totalità di queste barriere – si legge nel documento – è già stata verificata e messa in sicurezza con opportuni interventi tecnici tra la fine del 2019 e gennaio 2020, nell’ambito del generale assessment delle infrastrutture messo in atto dalla società su tutta la rete autostradale. Per tali infrastrutture è stato parallelamente definito a inizio 2020 un piano di sostituzione di intesa con il Dicastero concedente, articolato in tre fasi. Una prima fase propedeutica agli interventi, attualmente in corso. Una seconda fase, che prevede la sostituzione delle barriere nei punti maggiormente esposti a impatto acustico, pianificata dalla seconda metà del 2021. Una successiva terza fase completerà invece la sostituzione sugli altri punti. La spesa per la totalità degli interventi di sostituzione, pari a circa 170 milioni di euro, è già stata autorizzata dal Consiglio di Amministrazione di ASPI dell’aprile 2020 e sarà a completo carico della società”.

Tutto perdonato? Mica troppo. Perché mentre la magistratura, con i suoi tempi un po’ lunghi, ha arrestato Castellucci e gli altri cinque dirigenti – ma in questi 27 mesi a nessuno è venuto in mente che ci fosse l’eventuale rischio di inquinare le prove? – rimane aperto il contenzioso tra Atlantia e il governo per la storia delle concessioni. E l’arresto dei cinque dirigenti segna un punto per entrambi. Per lo stato, che ha buon gioco nel dire che i lavori di manutenzione non sono mai stati svolti correttamente e che o i Benetton abbassano le pretese o si andrà verso la revoca unilaterale delle concessioni; per la holding della famiglia trevisana che può affermare con serenità di aver cambiato marcia dopo l’allontanamento di Castellucci, di fatto rendendolo capo espiatorio dell’intera vicenda e segnando una discontinuità con il recente passato. La verità sta, ovviamente, nel mezzo. Non può essere tutta colpa del manager, non possono i Benetton non aver visto quello che stava succedendo.

Luciano Benetton, uno degli azionisti di riferimento di Edizione Holding, capofila della catena di controllo di Autostrade

Il tema più urgente, a questo punto, al di là del ruolo di Cdp, dei fondi, di Macquarie e degli altri, riguarda soprattutto la vicenda della manleva legale. Perché se i Benetton, come sembra, continueranno a non sentirci da questo orecchio, allora lo Stato, i fondi e la newco stessa rischieranno di andare incontro a una serie infinita di ricorsi e di richieste di risarcimento. Un delirio giudiziario prima ancora che un boccone avvelenato per qualsiasi potenziale investitore. Dunque urge sistemare questi aspetti, anche perché, con i tempi della giustizia, si rischia di andare avanti per un decennio tra archiviazioni e nuovi fascicoli.

La tragedia del Ponte Morandi è una delle pagine più nere della storia contemporanea nostrana, un disastro evitabilissimo se solo si fossero fatte le dovute verifiche e ispezioni. Non è il caso, non è il “cigno nero”, era un evento prevedibile che poteva essere evitato. Il ruolo dello Stato deve essere quello di evitare qualsiasi nuovo Morandi, scegliendo nuovi concessori o, al limite, avocando a sé infrastrutture così strategiche.














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