Per Anra è necessario standard internazionale univoco sui rischi di viaggio

Secondo l'associazione le aziende sono ancora troppo poco consapevoli dei potenziali impatti dei rischi di viaggio. C'è bisogno di strumenti che possano tutelare sia il dipendente all’estero, sia il datore di lavoro in patria

Alessandro De Felice, presidente di Anra.

Il Covid ha messo in evidenza un problema che fino a oggi era sottovalutato, quello del travel risk, cioè la gestione dei rischi associati ai viaggi di lavoro. Secondo l’Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali (Anra) le aziende sono ancora troppo poco consapevoli dei potenziali impatti dei rischi di viaggio e, di conseguenza, si trovano impreparate di fronte ad essi, prive di strumenti che possano tutelare sia il dipendente all’estero, sia il datore di lavoro in patria, specialmente dal punto di vista giuridico.

La consapevolezza delle aziende italiane in termini di gestione dei rischi di viaggio non è ancora al livello che ci si aspetterebbe da un Paese così fortemente votato all’export. Secondo l’associazione, uno degli errori più diffusi è quello di focalizzarsi solamente sulla stabilità geopolitica di un paese nel mappare i rischi legati ad uno spostamento, tralasciando aspetti che possono incidere parimenti in termini di sicurezza personale. Il rischio di viaggio non è, infatti, legato solamente al rischio terrorismo o all’instabilità politica di un Paese, ma anche a tutti gli aspetti che ne regolano e influenzano la vita, e che possono essere di natura normativa, religiosa, culturale.







«A presentare le lacune maggiori sono sicuramente le pmi», spiega Mark Lowe, Socio ANRA e risk analyst. «Nella maggior parte dei casi manca una formazione specifica sul travel risk, e i budget ad esso destinati sono insufficienti o nulli. Mancano inoltre figure come quella del Security Officer, specializzato in questa tipologia di problematiche: inevitabilmente, questo espone le aziende a rischi che, ad esempio, compagnie più strutturate non presentano».

In assenza, dunque, di linee guida prestabilite, come può un’azienda accertarsi di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare i propri dipendenti? Da questo cruciale interrogativo, ha preso avvio un tavolo di lavoro internazionale per la definizione di uno standard internazionale univoco sui rischi di viaggio, l’ISO31030 (Travel Risk Management), che vede un totale di 165 Paesi coinvolti, tra i quali l’Italia.

In attesa di questo strumento, per far fronte alla situazione contingente la strategia è quella di affidarsi il più possibile ad una corretta e puntuale mappatura dei rischi, e per quanto riguarda il caso più attuale, ovvero la pandemia, affidarsi agli strumenti che la scienza mette a disposizione, dai tamponi rapidi al passaporto vaccinale, quando e dove sarà disponibile.

«L’Italia è molto ben rappresentata in questo progetto, e questo ci rende molto orgogliosi poiché mostra la forte volontà del Paese di colmare quelle lacune che per lungo tempo l’hanno caratterizzato. ANRA è coinvolta in prima persona nel gruppo di lavoro principale, composto da un totale di 12 persone di cui 3 italiane. Stiamo dando un forte impulso a questo standard, per cercare di creare linee guida chiare affinché le aziende possano sviluppare procedure interne per gestire i rischi di viaggio, che tengano conto anche del quadro legislativo di un Paese come il nostro, per poter essere applicate agevolmente dalle nostre imprese», ha proseguito Lowe.

«In quest’ultimo anno dominato dalla diffusione del Covid-19, di fronte al rischio di contagio le aziende si sono fortemente impegnate nel ricercare ed implementare protocolli di sicurezza, attraverso il sistema dei tamponi, dei test sierologici e delle quarantene, tuttavia una fascia di rischio è sempre rimasta. Tra i settori più esposti, troviamo ad esempio quello logistico, che non ha mai bloccato gli spostamenti per poter garantire gli approvvigionamenti: è accaduto che si siano verificati dei focolai negli hub, nonostante i rigidi protocolli applicati», commenta Alessandro De Felice, presidente di Anra. «La criticità rimane in ogni caso quella della disponibilità delle dosi di vaccino. Molte aziende sono in grado fin da ora di organizzare in maniera rapida ed efficiente l’inoculazione ai propri dipendenti su base volontaria, sia come forma di duty of care sia nel reciproco interesse di sicurezza, per tornare nel modo più rapido possibile a quella socialità del lavoro che manca ormai da troppo tempo».














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