Anra, la continuità della filiera agroalimentare al tempo del Covid

di Federica Maria Rita Livelli* ♦︎ La produzione agricola si scontra con le necessità di distanziamento sociale dettate dall’emergenza Coronavirus e con la chiusura di ristoranti e mense. Nella difficoltà attuale è necessario concentrarsi sulla resilienza della supply chain

La crisi pandemica ha evidenziato il rischio di insicurezza alimentare. La fragilità del settore agroalimentare, non solo a livello regionale e nazionale, ma anche a livello globale, è determinata dal fatto che si fonda su una catena complessa e vitale, costituita da numerosi attori ed articolata in fasi interconnesse tra loro, quali la produzione, la trasformazione, la logistica, la distribuzione, la ristorazione, il consumo, senza dimenticare lo smaltimento.

Pertanto, è necessario garantire la resilienza e la sostenibilità della filiera agroalimentare, contrastando tutti quei fattori, come l’aumento dei prezzi di alcuni alimenti, l’indisponibilità di altri, gli impatti della pandemia sui piccoli produttori agricoli e la mancanza di manodopera per i raccolti, tutti elementi che possono causarne la disruption, cosa assolutamente inaccettabile in un momento così critico.







 

La resilienza della filiera agroalimentare 

Gli attori più deboli dalla filiera agroalimentare, i.e. i piccoli produttori, risultano essere quelli maggiormente colpiti dalla pandemia, dato che la loro produzione non può più raggiungere scuole, mercati ed aziende di trasformazione e i ristoranti, che sono in lockdown. Inoltre, le misure di contenimento del Covid-19 obbligano il distanziamento fisico per la sicurezza dei lavoratori, una misura che, come altre, non è semplice da attuare in occasione delle fasi di raccolta o all’interno di strutture come macelli, allevamenti, ecc.

Inoltre, secondo un’indagine svolta dalla Commissione Europea, il 42% dei capi d’aziende agroalimentari risultano avere un’età media elevata, i.e. over 60, mentre solo il 10% dei capi azienda ha meno di 40 anni. Ne consegue che il contagio degli operatori over 60 potrebbe avere conseguenze pesanti in termini di produzione, logistica, trasformazione, e rifornimenti di materie prime. Senza dimenticare che, a causa della globalizzazione del cibo, tutti i Paesi possono subire una supply chain disruption: la minaccia di chiusura delle frontiere in aree di libero scambio come l’Unione Europea potrebbe mettere in pericolo, non solo i valori ed i diritti fondamentali, ma anche l’equilibrio socio-economico dei Paesi esportatori di derrate alimentari; senza dimenticare le restrizioni commerciali per motivi sanitari che potrebbero bloccare intere filiere alimentari, causando l’indisponibilità di cibo in Paesi che sono altamente dipendenti dalle importazioni.

 

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* Federica Maria Rita Livelli è Risk Management & Business Continuity Consultant














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