Alfonso Fuggetta, Cefriel: cambiare lo status quo d’impresa! Subito!

di Piero Macrì ♦︎ Per innovare è necessario introdurre un cambiamento nello status quo d’impresa e non limitarsi a ottimizzare quello che già esiste. Ne è convinto Alfonso Fuggetta, ceo del noto centro di ricerca, innovazione e formazione, creato 30 anni fa dal Politecnico di Milano, con la Statale e altri soci privati. E presieduto da Stefano Venturi. In questa intervista, le strategie e visioni del futuro di questo potente motore di innovazione La bilancia smart per le trasfusioni sviluppata con Delcon e la partnership con il Cluster Fabbrica Intelligente per il trasferimento tecnologico. Il focus su Mobility, Cybersecurity, Industry 4.0

Prodotti connessi e intelligenti in grado di raccogliere informazioni per adattare il loro comportamento a un contesto specifico. Servizi che danno vita a vere e proprie piattaforme in grado di soddisfare i bisogni dei clienti. Come sfruttare le opportunità legate alla realizzazione di smart product? Come disegnare e far evolvere un prodotto in un’offerta di servizi? Come migliorare l’usabilità e la customer experience? Insomma, come creare trasformazione digitale per acquisire nuova competitività? Modi e tempi possono essere diversi. Si può essere riformisti oppure rivoluzionari ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso: introdurre un cambiamento nello status quo d’impresa. D’altra parte, non esiste modello che non sia perfettibile. Motore di questo cambiamento è l’innovazione, di progettazione, di produzione, di vendita di beni o di servizi.

Ed è questa la missione di Cefriel, il centro di ricerca, innovazione e formazione, che dal 1988 accompagna le imprese nazionali e internazionali nel loro percorso di crescita. «L’attenzione degli imprenditori è da sempre concentrata sull’ottimizzazione dei processi e servizi esistenti, afferma Alfonso Fuggetta, ceo e direttore scientifico del Cefriel. Si punta a risparmiare sui costi, piuttosto che a investire sull’innovazione di prodotto o di servizio. D’altra parte, ripensare i prodotti in ottica digitale costa fatica poiché significa cambiare il modello di business e, insieme, le catene di fornitura e i potenziali clienti.







Ma non esistono alternative: per rimanere competitivi occorre cambiare passo e dare priorità a innovazione e discontinuità dell’offerta». Un’affermazione, quella di Fuggetta che trova riscontro nell’ultimo rapporto Istat sullo stato delle imprese, dove si sottolinea come la carenza di innovazione sia uno degli storici motivi di debolezza della nostra economia. Tuttavia, come dice Fuggetta, «innovazione non è una parola magica ma un’intenzione precisa, che va perseguita con consapevolezza e competenza. Per ottenerla ci si deve preparare a una maratona. Richiede tempo, sforzo e soprattutto resistenza, perché il percorso da compiere è lungo e complesso». Altro tema su cui si focalizzano i progetti è quello dell’integrazione di filiera e d’impresa. «L’interconnessione, dice Fuggetta, è la base per implementare servizi sempre più evoluti. È il tema degli ecosistemi digitali. Spesso invisibili agli utenti, stanno dietro le quinte, ma sono quelli che consentono alle imprese e alle pubbliche amministrazioni di funzionare meglio e offrire servizi di maggiore qualità».

Finanziamenti europei, formazione e progetti con le imprese: un giro d’affari da 15 milioni

A più di trent’anni dalla nascita, il centro, che ha sede nell’area metropolitana della Bicocca, a Milano, è una realtà di circa 140 persone con un giro d’affari che nel 2021 ha raggiunto i 13,2 milioni di euro. Di questi circa 1 milione deriva da finanziamenti di progetti europei, 2,6 dalla formazione, mentre il resto, circa 10 milioni, viene generato da progetti con le imprese. Tra le collaborazioni più recenti quelle con Allianz, Delcon, Geox, Gilardoni, Fameccanica, Nokia e Sea Milan Airports. «Nel primo semestre 2022 la crescita è stata del 25%, il che ci porta a credere di poter chiudere l’anno con una cifra prossima ai 15 milioni», afferma Fuggetta. Con il passare del tempo il centro si è sempre più orientato all’applicazione delle tecnologie digitali mentre l’attività di ricerca, mai abbandonata, avviene grazie alla collaborazione con il Politecnico di Milano e altri centri europei. Importante anche l’attività di formazione, con percorsi post-laurea per tutti coloro che, all’interno delle aziende – banche, assicurazioni, industria, ma anche società di consulenza – vogliono imparare a sfruttare al meglio l’Ict per fare innovazione di prodotto e di servizio.

Innovazione di prodotto in ambito biomedicale. Il caso Delcon

La bilancia smart per le trasfusioni sviluppata da Delcon e Cefriel

Un esempio d’innovazione, realizzato con il contributo di Cefriel, è il progetto che ha vinto l’ultima edizione del compasso d’oro, premio istituito nel 1954, nato da un’idea di Gio Ponti, che ha lo scopo di mettere in evidenza il valore e la qualità dei prodotti del design italiano. Il progetto riguarda un prodotto biomedicale utilizzato in centri trasfusionali per la raccolta del sangue. «Lo abbiamo sviluppato insieme a Delcon, azienda italiana specializzata nella progettazione e produzione di dispositivi medicali e software per la filiera del sangue. «Un’azienda medio piccola, racconta Fuggetta, insieme alla quale abbiamo studiato come funziona il processo di raccolta del sangue ripensando completamente il prodotto, anche da un punto di vista dell’usabilità e dei fattori di forma. Il digitale è servito per dotarlo di funzioni e servizi sofisticati». Nello specifico, la bilancia per le donazioni di sangue realizzata per Delcon è stata progettata per rispondere alle esigenze del New York Blood Center che, vista la grande diffusione di centri trasfusionali itineranti a bordo autobus, aveva la necessità di dotarsi di sofisticate apparecchiature da utilizzare in mobilità.

Trasferimento di know-how per rendere permanente l’innovazione d’impresa

Aiutare le aziende nell’acquisire competenze e know-how per usare l’Ict come leva abilitante l’innovazione. In questa attività, la differenza sostanziale rispetto a una società di consulenza è rappresentata dall’integrazione tra ricerca, formazione e innovazione e dalla missione istituzionale di trasferimento di know-how nelle aziende. «Con queste ultime, dice Fuggetta. l’obiettivo è trasferire conoscenza per rendere il cliente indipendente, dotarlo di capacità autonome per cambiare la dinamica dell’impresa e la sua presenza sul mercato». Il ciclo di vita dell’innovazione digitale che le imprese intraprendono con il centro si basa più fasi: dall’analisi di mercato e definizione della strategia all’ideazione, progettazione e prototipazione fino allo sviluppo e al rilascio in produzione. Una volta completato il percorso di innovazione, le aziende sono completamente autonome nel proseguire i loro obiettivi. Concretezza e pragmatismo sono le parole chiave che caratterizzano le attività. «Se i progetti digitali non cambiano la vita dell’azienda non servono a nulla, afferma Fuggetta. Dobbiamo sempre domandarci in quale modo il progetto di innovazione può avere un impatto positivo, tangibile e utile».

Trasferimento tecnologico. La partnership con il Cluster Fabbrica Intelligente

Tullio Tolio, docente al Politecnico di Milano e presidente del Comitato Tecnico Scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente

Per Cefriel, la sfida più grande è entrare in contatto e stabilire un dialogo con gli imprenditori e i portatori di conoscenza e nuove competenze. «Solo ragionando in una logica d’insieme insieme si può arrivare a capire qual è il modo per utilizzare al meglio le tecnologie digitali, dice Fuggetta. Tutto ciò richiede sforzi e investimenti significativi». È in questa prospettiva che il centro è diventato membro sostenitore del Cluster Fabbrica Intelligente. «Con il Cfi condividiamo l’obiettivo di affiancare le aziende manifatturiere nell’intraprendere percorsi di innovazione, attuando una strategia basata su ricerca, innovazione e formazione, spiega Fuggetta. Il Cluster, nato nel 2012, è l’associazione che si propone di dare voce al manifatturiero italiano, settore che, ricordiamo, rappresenta un punto di forza dell’economia dell’Italia (è la seconda manifattura europea e la settima al mondo). Per raggiungere questa finalità elabora la Roadmap sugli scenari futuri delle tecnologie manifatturiere da porgere al decisore politico per preparare adeguate azioni di politica industriale.

Come affermato da Tullio Tolio, presidente del Comitato Tecnico Scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente, nel corso di una recente presentazione del Cluster, «L’attività di roadmapping si basa sulla definizione di visioni e strategie per la ricerca e l’innovazione con lo scopo di individuare gli scenari di sviluppo del manifatturiero con un orizzonte temporale di medio/lungo periodo». In sintesi, la Roadmap per la ricerca e l’innovazione strategica pluriennale, oggi giunta alla seconda edizione, costituisce un documento di posizionamento ufficiale per il manifatturiero, condiviso da tutti i membri del Cluster. Le strategie sono formalizzate in Linee di Intervento (Li) che rappresentano macro-scenari di sviluppo. Nello specifico, il Cefriel, in qualità di membro sostenitore, ha contributo alla stesura delle linee guida per indirizzare tematiche di studio nel breve e lungo termine, focalizzandosi, in particolare, sui sistemi per la valorizzazione delle persone nelle fabbriche.

Cefriel ha contribuito alla stesura della linee guida per la roadmap del Cfi, focalizzandosi in particolare sullo sviluppo delle persone all’interno delle fabbriche (L13).

Ricerca, innovazione, formazione. Le tre componenti abilitanti la trasformazione digitale

Mobility, Cybersecurity, Industry. 4.0. In Cefriel la ricerca permette di acquisire e sviluppare solide competenze al fine di portare soluzioni innovative in tutti i progetti. Partendo dai bisogni del mercato e adottando un approccio multidisciplinare, il centro partecipa all’ideazione dei prodotti e dei servizi, alla loro realizzazione e messa in esercizio attraverso un processo ripetibile e misurabile nel tempo. E per quanto riguarda la formazione esiste una perfetta complementarietà con il Politecnico. «Loro sono concentrati sulla preparazione curriculare, noi facciamo la formazione post-laurea e post-esperienza, in alcuni casi con master che nascono su mandato dell’ateneo, spiega Fuggetta. Cefriel partecipa inoltre ai bandi di ricerca che sono finanziati a livello europeo. Tuttavia, come dice il manager, «per il momento non ci è permesso partecipare ai bandi Pnrr in quanto sono rivolti a grandi imprese, università e centri di ricerca che fanno riferimento al Mur. Vediamo, potrebbe essere che in una seconda fase le aziende assegnatarie dei finanziamenti istituiscano nuovi bandi. Solo in quest’eventualità potremmo accedere a risorse che nascono dal piano di rinascita nazionale».

Nell’ambito delle attività di R&S, Cefriel opera in quattro ambiti: ricerca di base, ricerca applicata, support allo sviluppo sperimentale e partecipazione ai progetti co-finanziati. Tre i domini di ricerca: mobility, cybersecurity e industry 4.0

Innovazione e resilienza, due facce della stessa medaglia

Stefano Venturi, presidente di Cefriel

Per Cefriel l’innovazione è importante per stare al passo con le tante sollecitazioni che giungono dall’esterno o dall’interno dell’impresa, per essere allineati alle condizioni e ai mutamenti del mercato. Innovazione fa dunque rima con resilienza, sono le facce di una stessa medaglia. Il contributo che il centro può offrire alle aziende si inserisce in un’ottica di open innovation. «Prodotti e processi di nuova generazione non possono nascere dalle sole ed esclusive conoscenze di un’azienda, dice Fuggetta. Le idee, il know-how e le tecnologie abilitanti sono di rado presenti all’interno del perimetro aziendale. Nascono e si sviluppano altrove. Essere disponibili a una contaminazione è la chiave di volta per poter introdurre il seme dell’innovazione, che significa anche assunzione di rischio e accettazione delle sfide». La trasformazione digitale non può quindi avvenire per inerzia, va pianificata e programmata. Digitalizzare i processi, creare nuovi prodotti e servizi. Nel manifatturiero, per esempio, la vera sfida consiste nella costruzione di una smart factory, una dimensione d’impresa fisica con una perfetta integrazione nel digitale. E per realizzarla è necessario rivedere le competenze, comprendere le skill che non sono core e quelle che in una prospettiva digitale diventano invece irrinunciabili.

Visione di lungo termine e risultati di breve periodo. La roadmap progettuale di Cefriel

Definire una strategia di medio e lungo termine è il primo passo per accelerare il cambiamento. «Non ci si può soffermare sui dettagli più insignificanti mentre si sta parlando di strategia complessiva, afferma Fuggetta. Perdersi in particolari inutili rallenta soltanto il lavoro. Quando ci si accorge che c’è qualcosa che non va, occorre chiedersi per prima cosa come semplificare ciò che si è progettato». Essere consapevoli dell’obiettivo da raggiungere è quindi fondamentale per non distrarsi e non sbagliare strada. È anche il modo per semplificare tutte le piccole decisioni operative quotidiane, perché tutto prende forma in funzione di un obiettivo principale. «Una buona strategia di innovazione digitale non deve partire dalla tecnologia ma dall’analisi funzionale dei processi, sottolinea l’ad. Nell’affrontare il cambiamento si deve poi essere capaci di muoversi velocemente, ma solo dopo aver impostato una corretta strategia d’azione». Insomma, per Cefriel, visione di lungo termine e risultati di breve periodo devono essere in relazione. «La roadmap delineata nella fase preliminare del progetto deve essere implementata mettendo insieme quick win e visione di lungo periodo», osserva Fuggetta.

Secondo Cefriel ol ciclo di vita dell’innovazione digitale che le imprese intraprendono si basa su otto principali fasi: dall’analisi di mercato, definizione della strategia all’ideazione, progettazione e prototipazione fino allo sviluppo e al rilascio in produzione della soluzione. Cefriel aiuta le aziende nell’intraprendere il percorso complessivo o le affianca in alcune fasi specifiche

Transizione digitale. Nella classifica Desi, su 27 paesi Ue, l’Italia al ventesimo posto (nel 2021)

Il digitale è la leva per migliorare la produzione, ma deve essere anche visto come il motore per generare nuovi modelli di business e dare vita a una trasformazione profonda, che modifica il rapporto tra clienti, prodotti e aziende e apre a nuove forme di valore aggiunto, as a service, per esempio. Eppure, la transizione digitale è lenta ad affermarsi. Secondo il Desi (Digital Economy and Society Index), l’indice ideato dalla Commissione Europea per misurare i progressi compiuti dai Paesi Ue in termini di transizione digitale, la digitalizzazione delle pmi in Italia è a livelli inferiori alla media europea, anche se nel 2021 l’Italia si è collocata al 20esimo posto fra i 27 Stati membri dell’Ue, rispetto al 25esimo dell’edizione precedente. Una posizione ancora molto bassa che indica come non ci sia stata alcuna “rivoluzione digitale”. Uno dei nodi del nostro paese sembra essere quello delle competenze. Nel Desi 2020 l’Italia era ultima nella dimensione del capitale umano e quest’anno è 25ma su 27 Stati. Inoltre, solo il 15% delle imprese eroga ai propri dipendenti formazione in materia di tecnologia informatica, cinque punti percentuali al di sotto della media Ue. «Manca la consapevolezza delle potenzialità del digitale e la capacità di tradurre quest’ultimo in progetti reali, dice Fuggetta. È un problema culturale e di know-how. Riguarda un po’ tutti. E poi soffriamo ancora di un gap infrastrutturale. In molte aree del paese, è spesso complicato avere una connettività in fibra ottica, che magari arriva all’angolo di strada ma non entra nelle imprese o nelle abitazioni. Il problema va affrontato in modo radicale. Fibra e 5G devono entrare in ogni abitazione e impresa. Devono essere disponibili come la corrente elettrica e l’acqua».

L’Italia è sempre stata indietro nell’Indice Desi ma negli ultimi anni si sono visti dei passi avanti. Del 2020 il Bel Paese era al 25° posto (su 27) mentre nel 2021 si è posizionata 20esima. Nel 2022 ha scalato un’ulteriore posizione, ottenendo il 19° posto. Il trend è positivo, ma c’è ancora molto lavoro da fare, in particolare per colmare il gap infrastrutturale

Innovare o adattarsi con qualche aggiustamento e andare avanti?

«Quanto evidenzia il Desi è sicuramente fonte di preoccupazione, dice Fuggetta. Tuttavia, e per fortuna, lo scenario è molto variegato. Ci sono aziende che spingono sull’innovazione, altre che rimangono al traino. Non è tanto questione di grandi o piccole medie aziende e non è vero che sono solo le grandi e muoversi, accade anche nelle pmi. Certo, queste ultime hanno più difficoltà di accesso al credito. Diciamo che esistono ancora troppe aziende convinte del fatto che, tutto sommato, siano sufficienti un po’ di aggiustamenti per continuare a fare quello che hanno sempre fatto. È un difetto di conservazione, che va di pari passo con quello di segno opposto: l’entusiasmo su tecnologie che spesso sono il nulla assoluto. In generale, posso dire che la situazione è molto differenziata. Vi sono aziende che investono bene, con innovazione serie di medio e lungo periodo, altre, e qui non dipende tanto dall’avere o meno i soldi, che dicono, “ma chi me lo fa fare?”».

Cefriel, una storia che nasce nel periodo magico dell’industria e della ricerca Ict italiana

Alfonso Fuggetta, ceo e direttore scientifico del Cefriel

Cefriel è nato nel 1988 dall’intuizione di Marisa Bellisario (l’allora amministratore delegato di Italtel, storica azienda delle telecomunicazioni che sotto la sua direzione arrivò a fatturare 1.300 miliardi di lire), di Maurizio Decina (professore del politecnico e primo direttore scientifico del centro) e di Francesco Carassa (capo del progetto Sirio, il primo satellite lanciato nello spazio nel 1977 e presidente nei primi anni 90 dell’Agenzia Spaziale Europea). Inizialmente si chiamava Consorzio per la Formazione e la Ricerca in Ingegneria Elettronica”. Il senso dell’iniziativa? Costruire un ponte tra università e industria nel campo della ricerca applicata e della formazione dei ricercatori industriali nel settore dell’Ict. «Era un’epoca in cui esistevano una ricerca e sviluppo diffuse. I nostri interlocutori – racconta Fuggetta – erano la Bull di Pregnana, l’Olivetti, l’Italtel. Era un momento magico, esisteva una produzione Ict italiana». I soci industriali che lo fondarono (oltre al Politecnico e all’Università di Milano, Regione Lombardia, Comune di Milano e Assolombarda), furono Italtel, Telettra, Ibm, Pirelli e Bull. Vennero poi gli anni ’90 e molte aziende scomparvero o si ridimensionarono. Ma al tempo stesso l’Ict divenne pervasivo, entrò nelle aziende “non Ict”, conquistò un ruolo, una visibilità e un mercato molto più ampi e profondi. Nato per aiutare le aziende Ict nei settori della ricerca e della formazione dei ricercatori, il Cefriel si trasformò quindi per essere a servizio delle imprese di ogni settore e delle amministrazioni pubbliche. Un percorso che, come afferma Fuggetta, «ha reso Cefriel sempre più complementare alle università e sempre più simile a realtà internazionali come i centri del Fraunhofer, che svolgono un ruolo di cerniera tra attività accademiche di ricerca e sviluppo e applicazione industriale. Cefriel cambierà ancora. Per innovare bisogna essere sempre in movimento, imparare dagli errori, studiare i cambiamenti di contesto, valutare nuove opportunità e sfide. Mai essere contenti di quel che si è».














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