Con 40Factory e l’Ai il business diventa… as a service!

di Piero Macrì ♦︎ Gli algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale della scale-up piacentina – fatturato 2021 stimato a 600mila euro – rendono possibile la manutenzione predittiva per Oem e utenti finali. Nel futuro della società smart camera, digital twin “model based” e blockchain per la tracciabilità di prodotto. Tra i clienti Goglio, Mfl Group, Mcm, Ocme e Aqseptence; la collaborazione con Siemens MindSphere. Ne parliamo con Camillo Ghelfi, ceo e co-founder

Intelligenza artificiale per realizzare la “knowledge factory”, la fabbrica fondata sulla conoscenza. Gli algoritmi di machine learning “Made in 40Factory” consentono a costruttori di macchine e utenti finali di sviluppare attività di condition monitoring, supervisionando il funzionamento degli asset di produzione, fino a rendere possibile una manutenzione predittiva: sapere come e perché si verifica un determinato evento ovvero comprendere le dinamiche che causano una deriva meccanica o una rottura di un componente e il rallentamento, o improvviso downtime, della produzione.

Grazie a questi modelli di machine learning, la nuova generazione di codice cognitivo diventa l’ingrediente per impostare modelli di business as a service, superando i tradizionali approcci product-based. Con questa visione, dal 2018, anno della sua fondazione, la Scale Up piacentina 40Factory si è distinta per essere una tra le aziende italiane ad aver sviluppato un gran numero di applicazioni Industrial IoT su piattaforma cloud Siemens MindSphere (ma non solo). Tra i clienti, importanti costruttori di macchine come Goglio, Mfl Group, Mcm, Ocme e Aqseptence, ma anche utenti finali, tipologia di clienti in forte crescita. Per il 2021 si parla di una fatturato intorno ai 600mila euro, con tassi di crescita annuali di oltre il 35%.







«Non siamo una software house» spiega Camillo Ghelfi, ceo e co-founder di 40Factory, «ma una piccola società di ingegneria che sviluppa soluzioni scalabili chiavi in mano. Ci occupiamo della progettazione dell’architettura software. I microservizi di machine learning da noi sviluppati vengono eseguiti su pc industriali che interagiscono con plc e sensori di macchina: estraggono i dati, li aggregano e li inviano su cloud dove vengono sviluppate le app che si compongono di diversi moduli funzionali, personalizzabili in base alle specificità del cliente. L’utilizzatore delle soluzioni può monitorare da remoto e in real time le condizioni di macchina o di processo, effettuare analisi statistiche e visualizzare Kpi su consumi energetici, sulle performance e sulla qualità».

 

Nel futuro di 40Factory, lo sviluppo di algoritmi a supporto di sistemi di visione, digital twin “model based” e blockchain per la tracciabilità di prodotto

Camillo Ghelfi, ceo e co-founder di 40Factory

«Recentemente abbiamo implementato per un nostro cliente una rete di Smart Cameras, in grado di analizzare video e immagini non solo per verificare la qualità dei prodotti, ma per riconoscere via streaming le condizioni critiche di un macchinario o impianto», racconta Ghelfi. Ulteriore obiettivo futuro, lo sviluppo di digital twin basati su simulazione multi-fisica. La possibilità, quindi, di avere algoritmi allenati a intercettare tutta una serie di condizioni critiche prima che la macchina vada in produzione. Come dire, grazie a pattern di dati che sono stati acquisiti in simulazione, l’algoritmo nasce “già imparato”. In questo caso, il digital twin favorisce la creazione di modelli matematici con dati che vengono derivati da sistemi di equazioni e non dai dati raccolti in produzione, creando così algoritmi capaci di rilevare situazioni critiche senza averle mai conosciute nella realtà. Tra i progetti anche applicazioni blockchain dedicate alla tracciabilità e certificazione di prodotto che potranno essere sviluppate con dati acquisiti in ambiente di produzione e lungo tutta la value chain.

 

Con il machine learning le macchine evolvono a un livello di intelligenza superiore

Creare le condizioni che permettono di portare sul mercato soluzioni a valore non s’improvvisa. Eppure, per quanto complesso, è del tutto fattibile. Lo dimostra la storia di 40Factory. Da parte degli Oem, la chiave di volta per la trasformazione digitale della macchina industriale è avere il coraggio di uscire dalla propria “comfort zone”, aprendo le porte all’expertise digitale che nasce al di fuori del perimetro aziendale. Avere un rapporto e un confronto aperto con startup, università, centri di ricerca e con tutte quelle realtà che agiscono sul territorio con funzioni di trasferimento tecnologico e che coinvolgono una pluralità di soggetti, privati e pubblici, è la “conditio sine qua non” per essere protagonisti della nuova dimensione digitale. Un concetto che è stato più volte ribadito nel corso dell’evento dello scorso 28 settembre “Macchine Connesse”, organizzato da 40Factory (vedi qui e qui). In un mondo dominato dalla velocità esponenziale del progresso tecnologico serve avere un’apertura mentale e una disponibilità a condividere esperienze e conoscenze. Come un qualsiasi organismo, un’impresa sopravvive se riesce a gestire i cambiamenti, altrimenti è destinata ad avere un ruolo sempre più marginale, fino a scomparire. È il concetto di resilienza, di cui si fa interprete l’intelligenza artificiale: in virtù della sua logica dinamica, caratterizzata dalla capacità di apprendere, permette alle macchine di evolvere a uno stato di intelligenza superiore.

 

Intelligenza artificiale come tecnologia abilitante la servitizzazione

Foto di gruppo 40Factory all’evento Macchine Connesse

40Factory è l’algoritmo Industrial IoT che permette a Oem di utilizzare applicazioni che abilitano la servitizzazione ovvero il modello “prodcut as a service”. Ma per realizzare la digitalizzazione occorre ragionare in termini di open innovation, con l’obiettivo di colmare il gap tra competenze elettro-meccaniche e competenze edge, cloud e di intelligenza artificiale. Programmare un plc non è più sufficiente. Siamo nell’era della post automazione industriale. Serve estendere il dominio di competenze all’area emergente dell’Industrial IoT, un’infrastruttura che integra il front end di macchina, con l’edge e il cloud, il cui fine è analizzare i dati di produzione per fornire a operatori di macchina e a responsabili di plant informazioni abilitanti processi decisionali. Ecco, quindi, che il mondo del machinery deve saper esprimere velocità e resistenza: saper cogliere l’attimo e disporre di una strategia per traghettare l’impresa verso il futuro.

 

Creare “disruption” e mettere in discussione l’as is del machinery

Per Ghelfi, 40Factory è una leva d’innovazione per creare ecosistemi di trasformazione digitale d’impresa. La strategia d’innovazione può essere declinata in modi diversi in funzione della specificità aziendale, poiché ogni realtà è diversa dalle altre. Tipicamente, la creazione di un team digitale all’interno delle imprese del manifatturiero, siano esse costruttori di macchina o utenti finali, deve prevedere la collaborazione o l’integrazione di risorse esterne. Serve predisporre un team digitale o, nell’ipotesi più audace, creare una divisione interna o uno spin-off. L’importante è che sia un’entità che possa muoversi fuori dagli schemi convenzionali, senza essere vincolata alla rigidità dello status quo organizzativo, tipico di aziende più strutturate. Il motivo è semplice: per far sì che il cambiamento sia reale, occorre creare disruption, ovvero introdurre elementi di rottura con l’”as is”. Non a caso, tra i clienti con cui collabora 40Factory, quelli che hanno avuto più successo sono coloro che hanno deciso di dedicare risorse esclusive all’innovazione digitale e alla servitizzazione: un layer aziendale on top a quello tradizionale che dialoga con realtà esterne con l’obiettivo di realizzare velocemente prodotti innovativi.

 

Un modello scalabile, ripetibile e nativamente digitale per un futuro “service based”

Il modello industriale di 40Factory è stato creato con una logica di scalabilità e ripetibilità. Parafrasando il mondo del machinery, l’app è un manufatto attorno al quale possono essere associate tutta una serie di moduli funzionali personalizzabili. «Rispetto ad altri competitor il nostro valore differenziante è quello di essere nativamente digitali, poter sviluppare soluzioni from scratch, libere da qualsiasi condizionamento pregresso, afferma Ghelfi. In questo mercato c’è chi arriva dal basso e chi arriva dall’alto: chi ha iniziato a lavorare su applicazioni IoT a partire da competenze It, tipicamente maturate su applicazioni enterprise Erp o Crm, e chi ha iniziato a lavorare partendo da competenze OT, di conoscenza di macchina o di impianto. Sta di fatto che, tranne eccezioni, né gli uni né gli altri, hanno dimostrato di avere grandi capacità nel trasferire con successo, e in autonomia, le nuove emergenti tecnologie digitali nell’ambiente di produzione».

Secondo Ghelfi esistono innumerevoli possibilità per sfruttare in modo più intensivo ed estensivo l’intelligenza artificiale. L’importante è indagare una dimensione “service based”. In questo scenario si aprono infinite possibilità, non solo di condition monitoring e manutenzione predittiva, ma di intralogistica, di progettazione del layout di fabbrica, di gestione di performance e di processo.

 

Dove vogliamo arrivare con 40factory, la start-up dell’AI per il mondo della manifattura

L’utilizzatore è disposto a condividere i dati nel cloud nel momento in cui sono chiari i vantaggi e i benefici

La maggior parte dei fermi di produzione non sono tanto causati dalla macchina ma dal modo e il contesto in cui viene utilizzata. Essenziale, per farla lavorare meglio, è analizzare i dati nello specifico contesto di funzionamento. Un approccio di questo genere permette a Oem ed end user di affrontare il next level: trasferire la macchina in produzione in base a una subscription basata sulle performance. Vale a dire, se parliamo di un’azienda di packaging, pagare per numero di imbustamenti e confezionamenti. «Spesso si dice che gli utenti finali siano restii a condividere propri dati nel cloud. È un falso problema: l’utilizzatore finale è disposto a cedere i dati nel momento in cui ha chiaro quali sono i benefici. E’ la stessa logica per cui le piattaforme digitali si sono affermate nel mondo consumer: il valore percepito ha messo in secondo piano il rischio legato alla cessione dei dati. Su questo aspetto, nel mondo b2b, si deve lavorare meglio. I costruttori di macchine devono esplicitare meglio i vantaggi: ci vuole chiarezza e trasparenza».

 

I tempi per allenare un algoritmo e metterlo in produzione

Le soluzioni di 40Factory, una tra le aziende italiane ad aver sviluppato un gran numero di applicazioni Industrial IoT su piattaforma cloud Siemens MindSphere (ma non solo). Tra i clienti, importanti costruttori di macchine come Goglio, Mfl Group, Mcm, Ocme e Aqseptence, ma anche utenti finali

Quanto deve essere allenato un algoritmo di machine learning prima che vada a regime e faccia il suo dovere? «Per un algoritmo di anomaly detection il ciclo di apprendimento è di circa 3 mesi, dice Ghelfi. Per uno di manutenzione predittiva, con previsione di un possibile guasto, i tempi si allungano, poiché si devono acquisire i dati nel momento in cui quel particolare evento si verifica. In alternativa, e questa è la strada maestra, si ricorre alla simulazione in stile digital twin. In questo caso posso utilizzare il modello virtuale per compiere delle simulazioni, di una rottura o guasto di un componente e, previa acquisizione di tutti i dati di contesto, portare in produzione l’algoritmo, che avrà così in memoria le variabili di funzionamento che anticipano il possibile failure».

 

L’algoritmo si adatta per gestire il condition monitoring di macchine con cicli di lavoro diversi e frequenti cambio formato

«L’algoritmo di anomaly detection è addestrato a cogliere le relazioni tra centinaia di variabili diverse. Se questo rapporto si modifica vuol dire che la macchina sta derivando. Quindi, anche nei casi di cambio formato è in grado di individuare anomalie di funzionamento. Va da sé che il “training set” dell’algoritmo va riacquisito per ogni nuovo articolo lavorato, permettendo di specializzarsi per quel tipo di lavorazione. Gli algoritmi – conclude Ghelfi – sono addestrati a gestire contesti di lavoro diversi. È inevitabile lavorare in questa logica poiché sono pochissime le macchine che oggi nascono per fare una sola cosa nella vita».














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