Sps Italia Position Paper 2023: tutto quello che serve sapere per una trasformazione digitale di successo nel manifatturiero

di Barbara Weisz ♦︎ Nel documento si parla di cloud, edge , IIoT, data analytics, intelligenza artificiale, robotica. E suggerisce un metodo, che deve partire dall'analisi di costi e benefici. Le imprese devono comprendere le giuste priorità: cosa digitalizzare per prima, ma soprattutto avere ben chiaro gli obiettivi da perseguire. Il focus su Lean Maniufacturing e Hybrid Project Management. Ce ne parlano Oronzo Lucia e Giambattista Gruosso

Quello che bisogna fare è impostare un processo con step e obiettivi definiti, basato su analisi costi benefici, coinvolgendo tutti gli stakeholder. Quello che non bisogna fare è iniziare a digitalizzare senza una strategia e senza porsi il problema di avere competenze e partner adeguati. Le imprese devono dunque digitalizzare, altrimenti corrono il rischio di restare fuori dal mercato (forse, più che un rischio è una certezza), ma si trovano davanti a un mondo, quelle delle tecnologie, in forte evoluzione. Persino gli addetti ai lavori trovano difficoltà nell’adattarsi ai continui cambiamenti, a volte anche paradigmatici. Pur dopo diversi anni dal lancio del Piano Industria 4.0 (2016), che ha particolarmente contribuito alla creazione di un nuovo ecosistema italiano della trasformazione industriale, «nella realtà resta una difficoltà oggettiva da parte delle imprese, dovuta anche alla scarsa comprensione degli strumenti che possono attivare» sottolinea Oronzo Lucia, Executive Manager – Strategic Projects di Fameccanica e membro del comitato scientifico di Sps Italia. Ma l’importante, prosegue, è capire che insieme alle «difficoltà, c’è anche tanto valore».

Proprio per questo, aggiunge Giambattista Gruosso, docente del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del competence center Made 4.0 «abbiamo voluto interpellare persone che lavorano quotidianamente nelle maggiori aziende italiane, e abbiamo lavorato con i capi delle divisioni di ingegneria per capire cosa davvero ne pensano», con l’obiettivo di «mettere sotto forma di suggerimenti l’esperienza decennale di queste aziende». Così è nato il Position Paper 2023 di Sps Italia dedicato a “Strategie, esperienze e percorsi concreti per una trasformazione digitale di successo”. Il documento parla “anche” di tecnologia: cloud e edge computing, industrial internet of things (iiot), data analytics, intelligenza artificiale, robotica. Ma soprattutto inquadra il discorso all’interno di un contesto che parte dalla valutazione dell’esistente e dalla necessità di fare sempre un’analisi costi benefici e di avere un target preciso (cosa si vuole digitalizzare? Perché? Qual è il risultato che l’impresa vuole ottenere?). Sottolinea l’importanza della formazione, del coinvolgimento delle persone nel processo decisionale. Identifica i passi concreti da compiere e, soprattutto, segnala gli errori da evitare. Ad esempio, uno degli errori più comuni attuato è «la mancanza di una strategia» sottolinea Gruosso. Lo fanno soprattutto «le imprese medio piccole. I big hanno maggiori strumenti, persone, possibilità di fare investimenti su larga scala», le piccole e medie imprese invece hanno maggiori difficoltà anche per limiti oggettivi.







Per esempio, la mancanza di competenze interne in grado di gestire la trasformazione digitale. Che, invece sono un aspetto fondamentale. Bisogna coordinarle in tre macroaree, si legge nel position paper: «processo/business, OT e IT. Se una di queste manca, si rischiano omissioni o di generare progetti senza un adeguato ritorno sull’investimento». La sfida numero uno, comunque è preparare i leader aziendali. La survey contenuta nel report mostra invece che, su questo fronte, c’è ancora parecchia confusione. È ormai diffusa la consapevolezza della necessità di aderire alle nuove tecnologie, che però si scontra con la «difficoltà a tradursi in implementazioni i cui esiti siano misurabili e quindi agiscano, se positivi, da volano dell’innovazione». Ed emerge come «la mancanza delle competenze rischi di compromettere il salto tecnologico necessario a mantenerci competitivi». Analizziamo i principali spunti con l’aiuto di Oronzo Lucia, manager di un’azienda internazionale che opera nel settore dell’automazione industriale, e Giambattista Gruosso, che porta invece l’esperienza di un competence center.

 

I passi propedeutici: la digitalizzazione è un mezzo per raggiungere un obiettivo

Oronzo Lucia, Executive Manager – Strategic Projects di Fameccanica e membro del comitato scientifico di Sps Italia

Partiamo dalla considerazione inizialmente proposta sulla necessità di avere un target preciso, declinandola meglio. Qualunque decisione di cambiamento deve «essere dettata non da mode, tendenze o marketing, ma da una valutazione oggettiva del rapporto costi/benefici». Cosa significa? C’è un esempio legato alla manutenzione predittiva delle pompe. Pensiamo a un progetto per un’analisi avanzata delle vibrazioni con l’ausilio eventuale di dispositivi connessi (wireless e cloud). Se applicato in un’industria che produce beni di largo consumo, «dove il costo della manutenzione delle pompe è relativamente basso, un programma di implementazione costerebbe molto di più dei benefici ottenuti e potrebbe non aver senso». Se invece viene realizzato in un’industria chimica altamente automatizzata dove un guasto a una pompa può generare costi elevatissimi, il discorso è diverso. «Oltretutto, l’implementazione del progetto in un contesto dove porterebbe benefici limitati sottrarrebbe risorse ad altri progetti più redditizi».

Dicevamo che le piccole imprese fanno più fatica, anche quando hanno capito quale strategia adottare, perché devono necessariamente rivolgersi a partner esterni. Premettiamo che non bisogna mai sottovalutare gli imprenditori: sono abituati a prendere questo tipo di decisioni, difficilmente uno mette in piedi un’impresa di successo, la porta a dimensioni di media grandezza, e riesce a gestirle per decenni, senza avere la capacità di sondare il mercato quando gli serve un prodotto, un servizio, un fornitore, un consulente. Ma aggiungiamo, anzi continuiamo a sottolineare, anche la peculiare complessità di una trasformazione digitale 4.0. La tecnologia del terzo millennio in fabbrica e in azienda abilita cambiamenti profondi, che se ben gestiti vanno a modificare non solo il modo di produrre, ma anche quello di fare business e di organizzare e gestire un’azienda. E questi sono fattori rispetto ai quali ci sono parecchie resistenze. Unite al fatto che i nuovi macchinari e i nuovi software sono costosi, e di conseguenza gli imprenditori (soprattutto quelli piccoli e medi) per natura sono prudenti.

 

Sinergie con tutti gli stakeholder

Quindi, bisogna insistere: la scelta non è se digitalizzare gli impianti e l’azienda o meno. Questo è fondamentale per non correre il rischio di restare fuori dal mercato. La scelta è come farlo in modo efficace. Oronzo Lucia e Gruosso non hanno dubbi sul metodo: confrontandosi e rivolgendosi al mercato. «Anche in base all’esperienza di Made 4.0, direi che la prima cosa è non fare tutto da soli – precisa Gruosso -. Bisogna confrontarsi con altri imprenditori che hanno fatto applicazioni di questo tipo. E affidarsi a professionisti. Le imprese, per risparmiare tendono a fare da sole. Ma implementare la trasformazione deve significare avere un team dedicato. che può per esempio lavorare in sinergia con fornitori e clienti.

La necessità di aderire alle nuove tecnologie si scontra con la difficoltà a tradursi in implementazioni i cui esiti siano misurabili e quindi agiscano, se positivi, da volano dell’innovazione

Costi benefici, il criterio dell’impatto

Uno degli aspetti cruciali è l’analisi costi benefici. È uno dei temi su cui ha lavorato Oronzo Lucia nell’ambito del position paper. «Se c’è un’area di processo estremamente importante per la vita produttiva aziendale e la probabilità di un’implementazione di successo è alta, allora si potranno ottenere grandi benefici». Se invece gli elementi di questa formula (importanza per l’azienda e probabilità di successo) non presentano valori elevati, «forse è bene selezionarne di più significativi». L’impatto, si legge nel report, «diventa quindi l’indice che permetterà di selezionare i casi applicativi più importanti e uno strumento molto utile per convincere e coinvolgere il management». Invece, prosegue l’esperto, «spesso si parte con la scelta di una tecnologia di cui ci si innamora, e non si valuta adeguatamente quanto sia realistica oltre che quanto sia complesso, costoso, manutenibile, il percorso intrapreso».

Altra avvertenza: «pensare che si riesca a ottenere tutto subito è improbabile». In realtà, si legge nel position paper «la linea strategica dovrebbe considerare attività da implementare a breve termine ed attività da pianificare a medio-lungo termine. Alcuni benefici sono ottenibili con poco sforzo prima di passare a piani più impegnativi. L’orizzonte temporale di un processo di digitalizzazione di un’azienda di medie-grandi dimensioni solitamente non è inferiore ai 3/5 anni ed è in continua evoluzione». Per questo, aggiunge Oronzo Lucia, «è necessario un confronto continuo in tutte le sue fasi». E questo è un altro punto importante: bisogna essere flessibili, in tutte le fasi di implementazione delle nuove tecnologie. Un percorso lean, insomma, anche per evitare il rischio di automatizzare le inefficienze.

Se c’è un’area di processo estremamente importante per la vita produttiva aziendale e la probabilità di un’implementazione di successo è alta, allora si potranno ottenere grandi benefici». Se invece gli elementi di questa formula (importanza per l’azienda e probabilità di successo) non presentano valori elevati, forse è bene selezionarne di più significativi

Undici errori da evitare

Ma vediamo nel dettaglio uno schematico decalogo lista sintetica degli errori da evitare.

• Non avere una chiara strategia.
• Mancanza di consenso e impegno della leadership.
• Concentrazione sulle tecnologie e non sulle persone e/o il vantaggio competitivo.
• Farsi guidare dalle tendenze.
• Trascurare il contributo dei clienti e dei fornitori.
• Voler fare tutto “da soli”.
• Sottovalutare le competenze interne.
• Non considerare la sicurezza dei dati.
• Mancanza di flessibilità.
• Carenza di comunicazione.
• Sottovalutazione della complessità.

Come si vede, è una riproposizione schematica di spunti approfonditi con gli esperti. Tendenzialmente, «ci sono tipologie di errori accorpabili – spiega Oronzo Lucia – I primi sono strettamente collegati, la strategia parte dall’alto». I successivi dipendono a loro volta dall’impostazione iniziale, anche se qui interviene poi la tipologia di azienda. Per esempio, «un system integrator o un Oem farà meno fatica ad avere un approccio corretto e a sviluppare la digitalizzazione interna di conseguenza, perché oltre a disporre di competenze tecnologiche ha le persone che lavorano in azienda con una mentalità digitale per i processi. Farsi attirare troppo dai trend tecnologici succede spesso a chi non ha le competenze adeguate».

 

Due strategie: Lean Manufacturing e Hybrid Project Management

Un buon punto di partenza, dal punto di vista dell’impostazione, è l’adozione di una strategia di Lean Manufacturing, metodologia di gestione della manifattura che mira a eliminare gli sprechi e migliorare l’efficienza dei processi produttivi. Questo deve essere un passaggio propedeutico alla trasformazione digitale. Poi, si può iniziare a creare quella fiducia di tutti gli stakeholder che evita una serie di errori sopra elencati (sottovalutazione competenze interne, concentrazione sulle tecnologie e non sulle persone). Qui sono importanti il ruolo della formazione, e favorire un change management efficace, ovvero in grado di determinare un’evoluzione culturale che coinvolga le risorse interne all’organizzazione, ma che sia anche in grado di rivolgersi verso l’esterno ad istituzioni, scuole di formazione e università.

E siamo all’evitare di fare tutto da soli. Come sottolineava Oronzo Lucia, a maggior ragione per aziende in cui la tecnologia non è parte integrante come del core business. Ad esempio, segnala il report, «è rilevante sapere se l’azienda dispone delle competenze tecniche necessarie per valutare, selezionare e implementare le nuove tecnologie oppure no. Nei due casi le scelte di percorso saranno sicuramente diverse». Un’altra metodologia che viene proposta è l’Hybrid Project Management, con cicli di sviluppo dei progetti rapidi e interattivi, caratterizzati da forte collaborazione tra gruppi e risposta flessibile ai cambiamenti. Integrati poi con piani di milestone tradizionali che garantiscono il controllo di progetto da un punto di vista di tempi e costi. La suddivisione di alcune fasi di progetto in cicli progressivi di sviluppo può consentire la conclusione anticipata del progetto nel caso in cui i risultati ottenuti siano considerati già soddisfacenti, risparmiando tempi e risorse.

La linea strategica dovrebbe considerare attività da implementare a breve termine ed attività da pianificare a medio-lungo termine. Alcuni benefici sono ottenibili con poco sforzo prima di passare a piani più impegnativi

Ora si può parlare di tecnologie

Il docente al dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano Giambattista Gruosso

Poi, arrivano le tecnologie. Sembra un controsenso che un progetto con al centro la trasformazione digitale debba prevedere tutti questi passi, alcuni propedeutici, altri in itinere, altri ancora organizzativi, prima ancora di iniziare a parlare di tecnologie. Ma è un concetto fondamentale, che vale sempre la pena di sottolineare. Il position paper elenca le tecnologie abilitanti della trasformazione dell’azienda. Alcune le abbiamo già citate: cloud computing, edge computing, industrial internet of things (Iiot), data analytics, intelligenza artificiale. Altre, sono meno popolari: Software Modulare, per cui un’applicazione viene progettata suddividendola in moduli (servizi), ciascuno dei quali creato come componente indipendente ma in grado di connettersi e comunicare con gli altri (interoperabile).

Containerizzazione del software, che raggruppa il codice e tutti i relativi componenti necessari (librerie, framework e altre dipendenze), in modo che risultino autosufficienti nel loro funzionamento. Il software è confinato in un ‘container’ che lo rende indipendente dal sistema operativo che lo ospita. È una tecnologia estremamente flessibile, «garantisce scalabilità e replicabilità dei sistemi che possono crescere, ridimensionarsi ed evolvere a seconda delle necessità seguendo l’approccio modulare a microservizi». Ma qual è la tecnologia del futuro, quella veramente disruptive? Non ci sono dubbi, risposta univoca da parte di entrambi gli esperti: l’intelligenza artificiale. Attenzione però, avverte Gruosso: «l’AI ha bisogno di gradini sottostanti: cloud, raccolta dati, digitalizzazione. Tutto quello che c’è prima è abilitante. Se ho un’azienda già adeguatamente preparata e anche dotata tecnologicamente, allora posso pensare a implementare l’AI». Alla luce di quanto appena esposto, è importante introdurla e implementarla correttamente.














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