Tre mostri si affacciano sul Recovery Plan Italiano: niente di veramente specifico per la manifattura, clientelismo, crisi di governo

di Filippo Astone ♦︎ I 196 miliardi dell'Europa dovrebbero servire solo per alimentare la crescita economica, finanziando ciò che la traina maggiormente: l'industria. Perché il Paese soffre di una stagnazione endemica e il già enorme debito pubblico pre-esistente sta crescendo a dismisura per l'emergenza Covid. Ma nelle bozze non ci sono misure ad hoc per i settori produttivi (no piano per la siderurgia e non si parla di componentistica auto, machinery e packaging, chimico farmaceutico) finanziati solo indirettamente con le tecnologie abilitanti 4.0 e 5G e la "rivoluzione verde". I 17,1 miliardi di investimenti in parità di genere e coesione sociale lasciano intravedere solo clientelismo sprecone e demagogia. E si parla addirittura di cambiare esecutivo, proprio adesso...

Mentre è in corso la discussione politica su come usare i 196 miliardi del Recovery Fund dell’Unione europea per dar corpo al Recovery Plan italiano, ci sono almeno tre filoni di notizie inquientanti, filoni che nel titolo di questo articolo abbiamo voluto chiamare mostri.

Il primo riguarda l’assenza di provvedimenti specifici per l’industria manifatturiera, che certo verrà finanziata indirettamente (tecnologie abilitanti 4.0 e 5G, “rivoluzione verde“, edilizia e infrastrutture) ma senza nulla di specifico (così risulta dalle bozze che circolano) per l’industria in sé: manca ad esempio un piano per la siderurgia e non si fa parola dei tre pilastri che reggono la nostra economia: componentistica auto; chimico e farmaceutico; machinery e packaging.







Il secondo filone di notizie inquietanti che emerge dalle bozze sono i ben 17,1 miliardi che dovrebbero andare a Parità di genere, coesione sociale e territoriale e che hanno tutta l’aria di non essere destinati a efficaci strumenti di crescita economica ma a demagogia e clientelismo meridionale, con il rischio di fare la fine del reddito di cittadinanza.

Il terzo filone è la sempre più probabile crisi di Governo, proprio nel momento in cui dobbiamo farci validare dall’Unione Europea il più grande piano di risorse straordinarie per la crescita dal Piano Marshall in poi.

 

I soldi dell’Europa devono andare solo nello stimolo alla crescita economica. Il rischio è enorme! Perché siamo deboli, fragili e arretrati

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

Va ricordato che le risorse del Recovery Fund non dovrebbero essere destinate a soddisfare le necessità generali dell’economia e della società italiane, ma agli investimenti maggiormente produttivi di crescita economica, che è assolutamente necessaria per due ordini di motivi: poter ripagare l’enorme stock di debito che stiamo accumulando per finanziare tutti i ristori e tutte le misure post-covid e che si aggiunge al già enorme debito pubblico esistente; recuperare la situazione di stagnazione che stava facendo sprofondare l’economia italiana già da ben prima del Covid. Nei prossimi anni, basterà non rispettare di pochi punti i piani di crescita, anche per poco tempo, e saremo esposti senza difese alle speculazioni di mercati finanziari, che potrebbero facilmente portarci a uno scenario disastroso di tipo Argentino. In precedenza, senza crescita saremo rimasti stagnanti ed esposti a un lento declino. Domani, senza crescita andremo rapidamente in default, e lo pagheremo tutti amaramente.

Siamo deboli, fragili, arretrati. Ed è anche per questo che l’Italia è il Paese europeo che sta pagando più di tutti il peso economico del lockdown. La contrazione attesa del nostro pil nel 2020 del Covid e del lockdown è infatti del 9,5%, rispetto all’8,2% della Francia; al 6,5% Germania; al 6,5% degli Stati Uniti e all’8,3% del Regno Unito. La nostra fragilità, insomma, ci ha reso i più esposti d’Europa. Ci batte perfino, anche se per un soffio, la Spagna, che perderà il 9,4% di pil.

 

Il Paese più indebitato d’Europa: 42 mila euro ciascuno, lattanti inclusi

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Il cancelliere tedesco Angela Merkel, presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea

Con il Covid l’Italia ha consolidato e rafforzato la posizione di Paese più indebitato d’Europa e fra i più indebitati al mondo. Le risorse necessarie a sostenere l’economia nella fase di lockdown faranno crescere il debito pubblico italiano a fine 2020 a quota 2.540 miliardi, cifra che aumenterà ancora nel 2021 e nel 2022 e in tutti gli anni successivi. In pratica, ogni cittadino italiano ha un reddito pro capite medio di 26 mila euro ed è intestatario di una quota di debito pubblico pari a 42 mila euro. Niente male. I 2.540 miliardi italiani sono superiori ai 2.516 della Francia, ai 2.364 della Germania e ai 2.248 del Regno Unito. Ma se si guarda al rapporto debito/pil il confronto è ancora più penalizzante. In Italia è pari al 158,9%, rispetto al 116,5% della Francia, al 75,6% della Germania, al 102,1% del Regno Unito, addirittura al 62,1% dell’Olanda. Ma ci batte perfino la Spagna, con il 115,6%.

 

L’allocazione delle risorse ipotizzata per il Recovery Plan

Di fronte a questo, le bozze del Recovery Plan made in Italy prevedono sei settori articolati in 17 cluster. Il primo settore, a cui dovrebbero andare 48,7 miliardi, viene chiamato Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e cultura e racchiude una parte di finanziamenti alle tecnologie che abilitano il manifatturiero. I cluster di questo settore sono tre: digitalizzazione della pubblica amministrazione (10,1 miliardi), digitalizzazione e competitività delle imprese (35,6 miliardi), cultura e turismo (3,1 miliardi).

Il secondo settore, destinatario di 74,3 miliardi (la fetta più grossa) si chiama Rivoluzione verde e transizione ecologica e anch’esso, in forma indiretta, racchiude finanziamenti alla manifattura. Qui ci sono quattro cluster: impresa verde ed economia circolare (6,3 miliardi), transizione energetica e mobilità locale sostenibile (18,5 miliardi), efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (40,1 miliardi), tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica (9,4 miliardi).

Il terzo settore viene chiamato Infrastrutture per una mobilità sostenibile, prevede 27,7 miliardi di finanziamenti, divisi in due cluster: Alta velocità di rete e manutenzione stradale 4.0 (23,6 miliardi) e Intermodalità e logistica integrata (4,1 miliardi).

Quarto settore è Istruzione e ricerca, con 19,2 miliardi, che vengono divisi in due cluster: potenziamento della didattica e diritto allo studio (10,1 miliardi) e Ricerca per l’Impresa (9,1 miliardi).

Quinto e più discutibile settore: Parità di genere, Coesione sociale e territoriale, destinatarie di ben 17,1 miliardi. Qui i cluster purtroppo sono ben quattro: Parità di genere (4,2 miliardi), Giovani e politiche del lavoro (3,2 miliardi); Vulnerabilità, inclusione sociale, sport e terzo settore (5,9 miliardi), Interventi speciali di coesione territoriale (3,8 miliardi).

Sesto settore, la Salute, con 9 miliardi. Qui i cluster sono due: assistenza di prossimità e telemedicina (4,8 miliardi); innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria (4,2 miliardi).

Risorse disponibili attraverso il Next Generation UE e politiche di rilancio. Fonte PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

 

Primo mostro: niente di specifico per l’industria, e soprattutto per i settori trainanti

Certo, come si è appena detto, l’industria viene finanziata attraverso forti incentivi agli investimenti nelle tecnologie abilitanti 4.0 e 5G e per mezzo di sostegni alla “rivoluzione verde” che in molti casi passeranno da processi di produzione industriale, dagli impianti per l’idrogeno alla fabbricazione di elettronica per la smart mobility. Ma non basta assolutamente. Ci vuole più coraggio. Siamo la seconda siderurgia d’Europa, per esempio, ma nelle bozze del Piano di Recovery Plan la siderurgia non viene neppure citata. Eppure, la grandezza della produzione d’acciao italiana (indispensabile per la nostra bilancia dei pagamenti, e come supporto a una manifattura che genera direttamente quasi il 20% del pil e indirettamente quasi il 60%) fu resa possibile, nel 1948, proprio da un piano di politica industriale pubblica, il Piano Sinigaglia. Siamo grandi nell’aerospaziale, ma anche questo non viene citato nelle bozze. E soprattutto, l’industria italiana si regge su tre grandi pilastri: la componentistica auto (50 miliardi di ricavi, 2200 aziende, 160 mila occupati, come di recente abbiamo ricordato tante volte proprio su Industria Italiana); la costruzione di macchine utensili, macchine per il packaging e per un’infinità di usi industriali; il chimico-farmaceutico.

I numeri della componentistica automotive in Italia Osservatorio sulla componentistica automotive italiana di Anfia (presidente Paolo Scudieri) e della Camera di commercio di Torino

Nel pharma, in particolare, l’anno scorso siamo diventati il primo Paese produttore d’Europa, superando Paesi che hanno un’industria farmaceutica ben più grande della nostra, come Francia, Germania, Svizzera. E riuscendo a conquistare tale primato per la nostra grande capacità produttiva, che fa si che moltissime multinazionali straniere vengano a fabbricare i loro prodotti farmaceutici proprio in Italia. Tutto questo pone la necessità cogente di programmi di politica industriale specifici per questi settori, e che vadano al di là delle tecnologie abilitanti, che comunque sono importantissime. E, come abbiamo scritto tante volte, occorre una politica industriale moderna (basata quindi sulle conoscenze e sulla ricerca e sviluppo, facendo perno sulle università e su tante eccellenze nella ricerca di cui non possiamo che essere fieri, come ad esempio l’Istituto nazionale di fisica nucleare o l’Istituto italiano di tecnologia) che abbia un’idea di Paese da qui a cinque e dieci anni e metta in campo tutte le risorse disponibili per attuarla.

L’industria del pharma in Italia. Fonte Farmindustria

 

Secondo mostro: ben 17,1 miliardi per parità di genere, coesione sociale e territoriale. Evidente clientelismio

Il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte

L’enorme quantità di quattrini destinati a questi campi desta indignazione. Sono tutti obiettivi che si potrebbero comunque raggiungere con la crescita economica alimentata da investimenti nell’industria, nelle tecnologie e nella scienza.

La parità di genere è un tema nobile, ma come abbiamo scritto tante volte andrebbe raggiunta incentivando le giovani donne a iscriversi a facoltà in cui si studiano materie Stem (acronimo di Science, technology, economic and mathematics) che vedono ancora oggi, purtroppo, la preponderanza di studenti di sesso maschile. Sono quelle materia a generare la classe dirigente di domani e gli impieghi meglio pagati. E sono anche le materie in cui il mercato del lavoro (nonostante l’elevata disoccupazione italiana, altro record negativo in Europa, con percentuali sempre superiori all’11%) abbisogna di competenze che non si trovano, tanto da doverle importare dall’estero e dai Paesi in via di Sviluppo in particolare. A che cosa serve spendere 4,2 miliardi di euro (in larga parte a debito, tra l’altro) in quest’area? A chi andranno? Perché? Il rischio, forse la certezza, è di fare solo una mega-concessione alla moda del momento, ai discorsi di poco valore tipo Me-Too che vanno per la maggiore in televisione e sui media spazzatura senza nessuna connessione con il Paese reale.

Il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanell
Il ministro dello sviluppo economico, Stefano Patuanelli

Altro spreco quasi certo sono i 3,2 miliardi ipotizzati nelle bozze del Recovery Plan per giovani e politiche del lavoro. L’idea che si possa creare lavoro con politiche per il lavoro, con i centri per l’impiego, con i Navigator e con altre scempiaggini è una delle più gigantesche corbellerie del nostro tempo. Il problema non è di far incontrare la domanda di lavoro con l’offerta di lavoro! Il tema dovrebbe essere creare lavoro con lo sviluppo economico, che oggi è reso possibile solo da industria, tecnologia, scienza. Se cresce l’industria, ci sono anche, automaticamente, più posti di lavoro per i giovani. Cresce anche la coesione sociale e perfino la parità di genere!

E i 5,9 miliardi per vulnerabilità, inclusione sociale, sport e terzo settore? Davvero? Veramente? Qui non c’è nemmeno bisogno di commenti. Così come per gli Interventi speciali di coesione territoriale (3,8 miliardi). Evidentemente la lezione del reddito di cittadinanza non è bastata. E si vuole fare una ulteriore maxi concessione al clientelismo.

 

Terzo mostro: la molto probabile crisi di Governo

Mentre il Paese affonda sotto i colpi del lockdown, del Covid, della recessione, del debito. Mentre dobbiamo mostrare credibilità all’Europa per ottenenere l’approvazione del Recovery Plan e così avere le risorse indispensabili a piani di crescita che ci permettano di sopravvivere e di pagare debiti mostruosi. Mentre c’è tutto questo da affrontare, di che cosa si parla? Di che cosa si parla? Di far cadere l’esecutivo attuale e di sostituirlo, con altri sempre a guida Conte o con nomi nuovi come Nicola Zingaretti e Luigi di Maio. La speranza è che ci si fermi.














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