La recessione… che non c’è. E il merito è dell’industria!

di Laura Magna ♦︎ Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del Pil del nostro Paese: dal -0,2% al +0,6% per il 2023. L’industria ha fatto da traino: grazie al machinery e al valore aggiunto. Crescono pmi manifatturiero ed export. In futuro previsto miglioramento attività produttive grazie a calo energia e inflazione. Ne parliamo con Marco Fortis

La recessione in Italia? Non c’è, e il merito è dell’industria. Adesso che anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del Pil del nostro Paese (dal -0,2% al +0,6% per il 2023), nessuno sembra avere più dubbi. Ma qualcuno diceva da mesi che non sarebbe andata secondo i foschi auspici dei più pessimisti, come il professor Marco Fortis, economista e docente dell’Università Cattolica di Milano e Direttore e Vicepresidente della Fondazione Edison. Noi lo abbiamo intervistato in più occasioni, l’ultima volta qui e oggi lo abbiamo interpellato nuovamente per commentare i dati, positivi e sorprendenti sull’Italia, in particolare su produzione industriale, lavoro e Pil.

«Non così sorprendenti – dice Fortis – se ci si fosse basati sull’osservazione delle dinamiche che si sono succedute negli ultimi venti anni nell’industria del nostro Paese si sarebbe potuto intercettare il cambiamento in corso e cogliere i numeri che oggi emergono». Per far fronte alla concorrenza cinese sui prodotti mass market, l’industria italiana ha puntato su un genere di produzione diversa a maggior valore aggiunto. Questo ha spostato l’ago della bilancia della composizione della manifattura a favore di settori come meccanica, farmacia ed elettronica che hanno guadagnato terreno a scapito di tessile, abbigliamento e mobili. Il professor Fortis ha condotto un’analisi – non ancora pubblicata e di cui ha fornito alcune anticipazioni a Industria Italiana – che misura questo cambiamento e con esso il reale valore dell’economia italiana, al di là delle variazioni in valore assoluto. «La nostra è un’economia basata sulla manifattura, fatta di export. E ha subito uno choc enorme con la pandemia e con la guerra che hanno causato lockdown e interruzioni della catena del valore: tuttavia ha resistito perché nei venti anni precedenti si era ristrutturata diventando più flessibile e resiliente e dunque capace di reagire rapidamente agli choc».







Italia: differenze tra i previsori, ma nessuno vede recessione (PIL, variazioni % annue)

L’economia italiana che si regge sull’industria: i numeri e l’analisi di Confindustria

Lo dimostra la dinamica della produzione industriale: a dicembre 2022 in aumento del +1,6%, rispetto a previsioni ben inferiori, come per esempio il +0,2% di Bloomberg e il -0,1% di Reuters. Un’inversione di tendenza rispetto ai due mesi precedenti che indica proprio quei caratteri di flessibilità e resilienza di cui sopra. Il dato sulla produzione industriale è stato trainato dal machinery, il che segnala anche la ripresa degli investimenti. La conferma arriva anche il Centro Studi di Confindustria nelle sue ultime previsioni flash: il Pmi manifatturiero è risalito in area di espansione (50,4 da 48,5) e quello dei servizi anche più in alto (51,2 da 49,9). Ovvero è tornata la fiducia (d’altronde gli ordini calano meno e le scorte si sono lievemente ridotte). Le aspettative delle imprese sulla domanda sono tornate positive (+10,4 sul primo trimestre il saldo delle risposte, -4,8 per fine 2022); e cresce la quota di aziende che prevede un aumento degli investimenti nei primi sei mesi (20,0 da 14,4).

A fine 2022, la manifattura italiana e il PIL limitano i danni

Nei prossimi mesi, le cose potrebbero ancora migliorare per le attività produttive, in considerazione anche del calo del prezzo dell’energia (il gas a 56 euro/mwh e il petrolio a 83 dollari al barile) e della minor inflazione, in Italia passata al +9,2% a febbraio; dal +10,1% a gennaio; e dal +11,8% a ottobre. Se l’inflazione scende la Bce potrebbe fermare il suo ciclo di rialzi dei tassi (non a marzo per cui Lagarde ha già annunciato una stretta di ulteriori 50 punti base, ma appena più avanti). E dunque le attese sono di minori costi sul credito alle imprese, probabilmente già a partire dall’estate: a dicembre scorso i tassi erano in media al 3,55%, da 1,18% a fine 2021, rileva Confindustria e la quota di imprese industriali che ottiene credito solo a condizioni più onerose era cresciuta al 42,9% (da 7,3%).

A inizio 2023, recuperano la fiducia e le prospettive sulla domanda

Fortis (Cattolica): «L’Italia non ha un problema di conti pubblici e l’export aumenta soprattutto in valore aggiunto»

Marco Fortis, economista dell’Università Cattolica e direttore della Fondazione Edison

Sono tutti dati che emergono adesso, ma che sarebbero potuti essere previsti se si fosse fatto un ragionamento sulla qualità più che sulle quantità. Anche su parametri diversi. Le probabilità che la situazione si normalizzi sul fronte dei tassi per esempio, è aumentata anche, come suggerisce Fortis, dal fatto che non esiste un problema di conti pubblici. Un’affermazione che può sembrare choccante ma che ancora una volta è suffragata dall’analisi dei numeri. «La Francia ha un debito pubblico di 3mila miliardi finanziati per 2/3 da stranieri: ovvero 300 milioni di euro in più in valore assoluto dell’Italia che peraltro dipende da compratori stranieri solo per 1/3 – dice Fortis – senza considerare che abbiamo una storia di avanzi primari, prima degli interessi, come nessun Paese in Europa. Il debito pubblico è aumentato negli ultimi venti anni per via degli interessi che dipendono da spread assegnati al Paese per vicende reputazioni e che non corrispondono alla realtà economica e industriale».

E non basta. Ci anche altri dati positivi: nel 2022 l’export italiano è aumentato del 7,7% in volume, con Usa e Francia i primi mercati per contributo alla crescita; gli articoli farmaceutici e chimico-medicinali hanno fatto da traino. Confindustria avverte di un possibile rallentamento a gennaio, «in base ai giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere». Ma secondo Fortis rileva che a fronte di un aumento moderato in volume ci sia un aumento significativo «in valore aggiunto: +19,9% – continua il professore – e rispetto al 2015 le esportazioni sono aumentate in valore aggiunto del 51% contro circa il 20% di Francia e Germania». Valore aggiunto è la parola chiave: ed è la forza della nostra industria e il traino della nostra economia. Che infatti al momento ha evitato la recessione tanto annunciata e attesa e la dinamica del primo trimestre 2023 fa vedere rosa sull’intero anno.

Scarsità di manodopera in aumento

Il valore aggiunto è l’arma segreta dell’industria e il volano dell’economia italiana

Il valore aggiunto è stato costruito, come dicevamo all’inizio, in venti anni di competizione globalista. «Con l’emergere delle produzioni cinesi con l’apertura del Paese al Wto nei primi anni 2000 – spiega Fortis – queste produzioni si sono sostituite progressivamente a quelle omologhe italiane, per esempio nel campo dell’abbigliamento, nei mobili, nelle calzature ma anche nella componentistica. Anche nell’export: i principali mercati del mondo hanno iniziato a comprare scarpe e capi di abbigliamento ma anche componenti, nella fascia a basso valore aggiunto. Le manifatture italiane però producevano sia beni a basso valore sia oggetti di grande pregio e dotati di tecnologia avanzata. Non potendo competere sui primi, hanno virato sui secondi». E questo ha aumentato il valore medio dei singoli settori, ma anche la qualità della manifattura nel suo complesso. «Nel 2000 il Pil era fatto dalle mere quantità – spiega Fortis – ma nel momento in cui queste quantità sono state spazzate via dalla globalizzazione, al loro posto non è stato lasciato un vuoto, ma produzioni diverse, nella chimica, nella meccanica, nella farmacia. Siamo entrati nell’era del Pil fatto da produzioni a maggior valore aggiunto».

L’inflazione totale continua a scendere, ma la core resta in aumento

I parametri su cui si basa la misurazione del Pil? Tutti da rivedere

E dunque l’analisi del Pil nel nostro Paese andrebbe rifatta da zero a partire dall’osservazione del fatto che le proporzioni e i pesi stavano mutando completamente. «Questo non è accaduto in Germania, dove la composizione e i pesi relativi dei diversi settori produttivi sono gli stessi che nel 1995. Da noi i settori tradizionali hanno invece perso il 10% del loro peso sul Pil, soprattutto nelle produzioni a basso valore aggiunto. Allora, è vero, non abbiamo recuperato i livelli del 2019 e da venti anni il Pil è rimasto più o meno fermo, ma il Pil di oggi è del tutto diverso dal Pil di fine anni ‘90». Allora la nostra manifattura rispetto al ‘95 produce le stesse quantità ma il valore aggiunto è aumentato del 55% «mentre in Francia il Pil manifatturiero è aumentato del 30%, quindi la Francia è cresciuta di più in termini reali, ma non in valore dove l’incremento è del 20%». Ed è proprio questo che fa dell’Italia un modello più resiliente, che poi industria 4.0 ha anche accelerato. «In media oggi i settori dinamici differenziati, ovvero la meccanica, i prodotti in metallo, l’elettronica, i mezzi di trasporto, gomma, plastica e pharma pesano il 14% in più del ‘95 e contano per i 2/3 dell’industria; mentre tessile abbigliamento e calzature hanno perso peso e così i settori che si basano su economie di scala, come automotive, chimica ed editoria. È il quarto capitalismo che è in Italia ma non in Germania e in Francia». Ed è la ragione per cui l’Italia ha superato meglio la crisi del lockdown: perché la produzione si basa su oggetti a elevata specializzazione in piccoli lotti, il che fa dell’industria un sistema meno vulnerabile perché differenziato, «basato su grandi valori singoli e un numero limitato di quantità – continua il professore – se invece guardiamo a settori dove le quantità sono importanti, come l’agroalimentare e il tessile, ancora una volta, ci differenziamo per cose che sappiamo fare solo noi. Ed è per tutti questi motivi che ero certo che la nostra industria sarebbe uscita a gonfie vele dal Covid».

Come stanno Germania e Francia?

Nessuno aveva capito il potenziale di rapida ripresa dell’Italia, che oggi è accresciuto anche dal Pnrr da spendere. «Quando usciranno i dati del Pil la crescita italiana stimo che segnerà un +11% rispetto alla 2020. E per chi dice che la crescita è drogata dai bonus edilizi, i numeri non sono d’accordo: dai bonus deriva solo il 2% di quell’11% stimato, il resto è generato dai consumi delle famiglie e dagli investimenti in macchine delle aziende. Gli altri paesi non sono riusciti a crescere così tanto, noi nel quarto trimestre 2022 siamo dell’1,8% sopra il livello del quarto trimestre 2019, la Germania è sopra dello 0,1%, la Spagna sotto dello 0,9%. Alla faccia dell’Italia lumaca che non sarebbe uscita dalla crisi mai. Da questa crisi siano usciti più facilmente e ci siamo ripresi più velocemente». Un potenziale che è ancora non include tutto il sommerso che è ciò che dà vita al profondo divario territoriale e al importante digital divide tra Nord e Sud. «Eurostat ha appena diffuso le sue stime sul valore dei redditi nel Sud di Spagna e Italia, che risulta del 75% inferiore rispetto alla media dell’Europa: sono cifre che occultano il reale valore del Pil del mezzogiorno e che impediscono a questa parte del paese di fare investimenti che sarebbero necessari per raggiungere i livelli del nord – conclude Fortis – La collettività ha meno servizi perché la sua economia in gran parte sommersa non viene valorizzata e non viene trasferita in termini di flusso fiscale che permettere l’assegnazione delle risorse e alle autorità regionali e locali di realizzare infrastrutture fisiche e digitali». Se si riuscisse a far emergere anche questo valore, probabilmente l’Italia tornerebbe a svettare tra le prime cinque potenze economiche mondiali.

Il rialzo dei tassi è atteso proseguire a breve e terminare a fine anno













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