Innovability, centralità della filiera e… che cosa c’è nel futuro dei lighthouse plant?

di Marco de' Francesco ♦︎ Life cycle engineering, supply chain integrata, formazione continua: sono le sfide degli impianti faro, dimostratori tecnologici per le Pmi. Attualmente sono sei: Ansaldo Energia, Tenova Ori-Martin, Hitachi Rail, Abb Italia, Opificio Digitale (Wärtsilä Italia) e Hsd. La collaborazione con il Mise e la roadmap del Cluster Fabbrica Intelligente per i decisori politici

Come saranno le industrie manifatturiere eccellenti per tecnologia, innovazione  e produttività, nel prossimo futuro? Come funzioneranno? Quali saranno le  loro principali caratteristiche? Per capirlo, è opportuno esaminare l’evoluzione dei Lighthouse Plant, che rappresentano l’archetipo di queste fabbriche: costituiscono l’avanguardia del manufacturing. E ora gli Impianti Faro stanno intraprendendo un cambiamento complesso che può essere descritto con la parola “Innovability” che associa tre importanti trend dell’industria. Anzitutto la transizione digitale a livello di singola fabbrica e di filiera, che va rivisitata per rispondere rapidamente ai cambiamenti improvvisi della domanda e per adattarsi ad interruzioni impreviste. In secondo luogo la sostenibilità industriale, intesa come un insieme di tecnologie e strategie che consentono un minore consumo di risorse produttive critiche. In terzo luogo la centralità della persona: nessun mutamento, nessuna “rivoluzione” tecnologica o transizione green è possibile senza collaboratori adeguatamente formati e posti al centro dei processi, processi pensati e adattati alle persone e non viceversa.

L’idea è che non si possa imboccare solo una o due di queste tre strade: vanno percorse al contempo, perché sono tra di loro interconnesse. I Lighthouse Plant sono stati proposti dal Cluster Fabbrica Intelligente (Cfi) e selezionati dal Mise. Il cluster è l’associazione che – presieduta da Luca Manuelli, Ceo di Ansaldo Nucleare e Cdo di Ansaldo Energia – riunisce tutte le tipologie di portatori di interesse della manifattura avanzata: aziende, università, associazioni, Regioni. Il Cfi ha il compito istituzionale di elaborare scenari di politica industriale da offrire al decisore politico in tema di manifattura avanzata. Lo fa attraverso una Roadmap redatta periodicamente attraverso il contributo dei migliori esperti dell’accademia e dell’impresa e attraverso iniziative che portano i diversi attori allo steso tavolo, che si parli di transizione green, nuovi sistemi di produzione, open innovation o digitale. La prossima RoadMap sarà pubblicata a breve. C’è un legame forte tra il documento e i Lighthouse.







Secondo il docente al dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano nonché presidente del comitato tecnico scientifico di Cfi Tullio Tolio, «gli impianti faro hanno attinto obiettivi appunto da questo documento, declinandoli secondo le caratteristiche del progetto che intendono realizzare». Gli Impianti Faro sono nati per «condurre i naviganti in porti sicuri». Il problema era (ed è) che le piccole aziende faticano ad accedere all’innovazione, per carenza di mezzi e di competenze; l’idea era (ed è tuttora) quella di dar vita a dimostratori tecnologici destinati ad illustrare gli sviluppi di tecnologie “pratiche”, a far constatare a imprese di limitare dimensioni che certe applicazioni sono efficaci. In buona sostanza, sono dimostratori eccellenti, fiore all’occhiello di come in Italia si fa la manifattura. Attualmente sono sei: dal primo (2018) Ansaldo Energia; a quelli del 2019: Tenova Ori-Martin, Hitachi Rail, Abb Italia; agli ultimi: Opificio Digitale (Wärtsilä Italia, 2020) e Hsd (2021).

Flavio Tonelli, membro del comitato tecnico scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente

Secondo il docente di ingegneria meccanica dell’università di Genova nonché membro dell’Ocg e del comitato tecnico scientifico (Cts) di Cfi Flavio Tonelli, «se ne aggiungeranno presto degli altri». Quanto ai risultati conseguiti dai Lighthouse Plant, per Manuelli «gli Impianti Faro sono portati avanti da aziende che operano in settori chiave dell’economia del Belpaese, dalla meccatronica all’energia; hanno, peraltro, definito progetti di altissimo livello scientifico, e di grande impatto sull’ecosistema di riferimento – che non è composto solo di imprese, ma anche di atenei, di centri di ricerca e di start-up. Attualmente, l’attività dei Lhp riguarda 11 stabilimenti di otto regioni diverse; e le filiere ad essi collegate sono in via di integrazione». Per il dirigente del Mise (in materia di politica industriale, innovazione e pmi) Marco Calabrò «sono esempi da imitare: alla fine il Piano Industria 4.0 ha centrato solo in parte gli obiettivi; bisogna dare più evidenza a esperienza come queste, perché contribuiscono alla competitività del sistema-Paese. Dunque si pone un’importante questione di approccio culturale».

Tullio Tolio, presidente del Comitato Scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente

Solo che gli obiettivi degli Impianti Faro sono destinati a modificarsi sulla scorta delle variazioni di contesto. La pandemia, ad esempio, ha messo in luce la fragilità dei sistemi di approvvigionamento internazionali e quella delle filiere “asimmetriche”, che scontano una grande differenza di competenze e uno scarso scambio di informazioni tra l’azienda che guida la catena del valore e tutte le altre. Su pressione della legislazione europea, poi, si è accelerata la corsa alla transizione green, che si declina in prescrizioni, ma anche in possibili finanziamenti per le imprese che intendono intraprendere il percorso della decarbonizzazione, del risparmio energetico, della riduzione del consumo di materie prime, in buona sostanza impegnate a ridurre la propria impronta sull’ecosistema. Il Pnrr, infine, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) definito dal governo, prevede un pacchetto di investimenti e riforme che possono avere importanti ricadute sul fabric nazionale. Proprio negli ultimi due anni, dunque, sono nate nuove esigenze, nuove sfide e nuove opportunità per la manifattura italiana, che i Lighthouse Plant sono chiamati ad intercettare e ad interpretare. Di qui l’integrazione della loro missione, con l’Innovability. In realtà, come vedremo, gli Impianti Faro hanno già fatto dei passi in avanti in almeno una delle direzioni che integrano l’innovability. Inoltre, secondo Tullio Tolio, «i Lighthouse Plant hanno già autonomamente sviluppato più di un’idea sulla filiera, sulla sostenibilità e sulle competenze». Di tutto questo si è parlato giorni fa presso il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, che ha ospitato la prima riunione del “Lighthouse Plant Club” che, per Tullio Tolio, «raccoglie gli Impianti Faro insieme al mondo della ricerca, alle filiere di riferimento e altri; e non solo per ragionare sui risultati raggiunti dai Lighthouse Plant, ma anche per discutere delle prospettive e opportunità e sfide nei prossimi anni, alla luce dei programmi di sostegno dell’intervento pubblico. Insomma, nel Club sono presenti coloro che effettivamente “stanno facendo le cose”».

I Lighthouse Plant: un modello evolutivo

Un momento dell’assemblaggio della turbina GT36 di Ansaldo Energia

Gli impianti Faro costituiscono un modello evolutivo. In un certo senso, si può dire che il cambiamento sia parte della loro missione. Mutano le tecnologie che i Lhp devono diffondere, in quanto strutture esemplari, presso le filiere e gli ecosistemi di riferimento. Sotto questo profilo, il Cfi si avvale della collaborazione dei Pathfinder, partner tecnologici chiamati ad immaginare il futuro e le traiettorie delle tecnologie manifatturiere di cui si occupano, aiutando la community del cluster a prendere la giusta direzione. Questa attività è peraltro destinata ad incidere sulla citata Roadmap di Cfi. Attualmente, i Pathfinder sono Sap, Cisco, Deloitte, Siemens ed Ey. Inoltre, il Cfi e singoli Impianti Faro hanno dato vita ad iniziative come l’XFactory Open Innovation Challenge (Xfoic), che consente a realtà più piccole e giovani di formulare le loro idee per risolvere problematiche dei Lhp.  Secondo il docente al dipartimento di ingegneria civile dell’università di Pavia Ferdinando Auricchio, che ha partecipato ed è stata selezionata nella challenge di Abb, va rafforzato il rapporto tra aziende e università. Inoltre, si aggiorna il quadro normativo entro il quale la manifattura è chiamata ad operare. Si pensi soltanto al Green New Deal, e cioè all’insieme di proposte della Commissione Europea per trasformare le politiche continentali su clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).

Abb Dalmine, linea di produzione con Agv ( courtesy Abb)

Secondo il piano, le net carbon emission vanno azzerate entro il 2050. Un terzo dei 1800 miliardi di euro di investimenti del piano per la ripresa di Next Generation Eu e il bilancio settennale dell’Ue finanzieranno il Green Deal europeo. A proposito di Next Generation Eu, l’ingente “pacchetto di stimoli” è uno strumento temporaneo studiato dall’Eu «per uscire più forti dalla pandemia, trasformare le economie dei Paesi aderenti, creare opportunità e posti di lavoro». Si parte, cioè, dai citati cambiamenti generati dal Covid-19, la disaggregazione delle filiere internazionali (che ha comportato colli di bottiglia nei commerci e aumento dei prezzi delle materie prime), nonché l’interruzione della produzione con il lockdown. Va ricordato che proprio su questo tema, Cfi ha redatto il documento “Produrre un Paese resiliente”, dove sono confluiti i contributi di una task force di 50 esperti. È diretto al decisore politico, e individua tre categorie di interventi: anzitutto quelli immediati, per favorire l’accelerazione della digital transformation con l’acquisizione di beni strumentali, software, metodologie, e con l’adeguamento di soluzioni esistenti. Poi, quelli di medio termine specifici, e cioè quelli che, grazie alla R&I, possono dar vita a soluzioni per gestire l’emergenza. Infine, quelli di medio termine a carattere sistemico, per dotare il Paese di un sistema di manifattura di pronto intervento, in grado di produrre subito beni e strumentazioni utili nell’emergenza in tempi ridotti e in grandi volumi.

Anche il citato Pnrr è un fattore importante di mutamento del contesto regolamentare; ed è anche una possibile fonte di finanziamento per la manifattura e per i Lighthouse. Non è il tema di questo articolo; ma anche Industria Italiana ha affrontato la questione in questa intervista: secondo il prof. Tonelli «con il Pnrr si corre il rischio di finanziare progetti-fotocopia». Le risorse stanziate dal Piano sono ingenti, pari a 191,5 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i 30,6 miliardi del Fondo Complementare. Ma il piano è “frammentato”: è infatti articolato in sei missioni, «che a loro volta raggruppano 16 Componenti per realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia dell’esecutivo; e queste ultime si declinano in 47 Linee di intervento per progetti relativi ad ambiente, energia e transizione ecologica».

Come si realizza un lighthouse plant?

Il giudizio del Mise sui lighthouse plant e sulla loro attività

Marco Calabrò, dirigente del Mise

Secondo Marco Calabrò, «gli Impianti Faro rappresentano un successo da replicare, non solo per la capacità di sviluppare tecnologia e competenze, ma soprattutto per quella di coinvolgere il territorio e gli ecosistemi. È un aspetto che il Mise tiene in grande considerazione. Con i Lighthouse si è tracciata la strada della logica di filiera». I lighthouse per Calabrò sono importanti anche per la diffusione delle competenze, tema che per il Mise rappresenta una sfida fondamentale: «Queste ultime costituiscono la leva per il salto culturale delle imprese, senza il quale il 4.0 è limitato nelle sue potenzialità, relegato nel miglioramento dei beni produttivi, ma senza sfruttare il maggiore impatto che potrebbe avere. I tentativi finora portati avanti sulla strada dell’acquisizione di competenze non hanno riscosso, finora, una grande fortuna. Ma al Mise è in corso un importante confronto in materia, e stiamo valutando diverse opportunità». Calabrò ha anche affermato di appoggiare la linea del Cluster, quanto a limitare i “progetti-fotocopia” cercando semmai convergenza: «Il Mise si sta impegnando per scongiurarne la presentazione. Certo, non è semplice né utile essere presenti in tutti i tavoli; ma alla fine con il Pnrr si faranno 40-50 progetti, e la diversificazione è importantissima».

Innovability: le tre big challange per i lighthouse plant

1) Impianti faro più circolari, efficienti e flessibili

Luca Manuelli nel plant di Tenova – Ori Martin

Quanto alla sostenibilità industriale, si chiede ai Lhp di essere efficienti, circolari, flessibili, adattivi negli obiettivi e di produrre un footprint meno significativo. L’ottica di lungo termine è quella del life cycle engineering: riutilizzo, re-manufacturing e riciclo di prodotti, recupero di componenti e materiali alla fine del ciclo di vita o provenienti dai processi di manutenzione.

2) Rivisitare le filiere per renderle più integrate, innovative e resilienti

L’idea è quella di realizzare filiere integrate e resilienti grazie alla raccolta e all’esame
dei dati utilizzando tecnologie come ad esempio l’intelligenza artificiale e il machine learning e creare digital twins di filiera che consentano di trovare più rapidamente alternative in caso di interruzioni. Infatti un sub-obiettivo è definito “supply adaptive”: l’idea è quella di ridisegnare la catena di approvvigionamento per rispondere rapidamente ai cambiamenti improvvisi della domanda e per adattarsi in modo resiliente a interruzioni impreviste, qualunque ne sia la causa. Altro sub-obiettivo che presuppone l’integrazione di filiera è l’implementazione del modello “zero defects”: l’Impianto Faro assume iniziative per garantire alti standard di qualità e un’importante riduzione dell’incidenza dei difetti. Attualmente lo “zero assoluto” non è conseguibile, tuttavia, coinvolgendo le aziende a monte e a valle della catena del valore e convogliando i dati di componenti mission critical e quelli dei test di qualità in un solo data lake – in modo da intercettare le imperfezioni e puntare al miglioramento continuo – sono attesi consistenti avanzamenti in questo campo.

Animare i percorsi tecnologici delle aziende del manifatturiero e leggere le esigenze delle imprese del territorio: sono due tra i principali compiti del Cfi. Che si avvale dell’aiuto dei Cluster regionali – come il Cla –, dei lighthouse plant e dei pathfinder

3) La centralità della persona

Wärtsilä Italia è capofila del progetto Opificio Digitale – Smart Manifacturing Ecosystem

Quanto alla centralità della persona, a causa della fortissima accelerazione delle tecnologie implementate, da un lato si rende necessaria un’attività di re-skilling di up-skilling, in collegamento con università e centri di ricerca con continua riqualificazione, un Long Life Learning Training, dall’altro ripensare i beni o meglio le loro interfacce più adattabili agli operatori. Secondo Manuelli «l’attenzione all’evoluzione delle competenze è uno degli elementi che può conferire efficacia al Recovery Plan». Inoltre, si chiede al Lhp di puntare sull’inclusività. Occorre dunque porre in essere una strategia per promuovere la coesistenza e la valorizzazione delle differenze (di genere, orientamento religioso o sessuale, etnia, età o abilità fisiche e psichiche differenti) sul posto di lavoro, creando contesti sensibili alle diversità – intesa come un fattore di generale arricchimento. Infine, per attrarre competenze evolute, occorre una adeguata politica sui salari.

Il percorso dei lighthouse plant

La sede di Hsd

A cosa ambiva inizialmente il programma Lighthouse Plant? In realtà gli obiettivi originari sono ancora attuali, nel senso che si tratta di mete che non si possono mai conseguire in via definitiva, perché sono sempre oggetto di miglioramento. Tonelli stila la lista: «Anzitutto, mettere a disposizione delle piccole e medie imprese soluzioni sviluppate negli Impianti Faro, per imprimere alle prime una accelerazione di sviluppo; in secondo luogo, favorire la creazione di progetti di filiera, partendo da soluzioni capaci di coprire lacune tecnologiche di un possibile ecosistema di innovazione; infine, aumentare le potenzialità di quest’ultimo, con meccanismi di open innovation».

A ciò, l’ex presidente del Cluster Gianluigi Viscardi aggiunge un altro elemento: «Le Pmi faticano ad accedere ai finanziamenti, che invece si possono ottenere più facilmente coinvolgendole in piani condivisi con società più strutturate». Quanto ai numeri, gli Impianti Faro sono stati finanziati, nel complesso, con 130 milioni di euro, dei quali 30 finanziati dal Mise e 10 dalle singole Regioni interessate. Per ora 40 aziende sono state coinvolte nei progetti dei Lighthouse, e 400 startup hanno partecipato alle citate sfide di open innovation (XFoic). Oltre al fatto chee attività dei Lighthouse riguardano 11 stabilimenti in otto regioni diverse. Cfi organizza diverse attività di networking collegate agli Impianti Faro: 30 eventi con più di mille partecipanti, oltre 50 articoli all’anno sui siti web, oltre 20 newsletters, e 50 social post. Quanto ai risultati secondo Tullio Tolio, gli effetti dell’attività dei Lighthouse non sono destinato a concludersi nei tre anni previsti dagli accordi di innovazione, perché «gli Impianto Faro sono abilitatori per successivi sviluppi». Innescano, cioè, dei meccanismi a lungo termine di ottimizzazione e di miglioramento delle filiere.














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