Dal packaging al biomedicale… con tutta l’intelligenza artificiale che ho!

di Barbara Weisz ♦︎ In Italia il mercato dell’Ia raggiungerà entro il 2025 700 mln di euro: +22% di crescita media annua. Il gap nell’utilizzo fra grandi imprese (24,3%) e pmi (5,3%). Fosber: digital twin e servitizzazione per le macchine confezionatrici. Blu Pantheon: soluzioni terapeutiche digitali. La Toscana: solo il 5-6% delle aziende usa dispositivi di Ai. Con Paolo Errico, vp Piccola Industria Confindustria per Innovazione e Transizione Digitale e Marco Gay, presidente Anitec-Assinform. L’evento è parte di un roadshow finalizzato a coinvolgere i territori sull’intelligenza artificiale, organizzato da Piccola Industria Confindustria e Anitec-Assinform

Perchè il digital twin abilita la servitizzazione? Il futuro dei farmaci è digitale? Si potrebbe dire che sono domande da futuro presente. Per parafrasare il titolo del roadshow che Piccola Industria di Confindustria e Anitec – Assinform hanno scelto per l’appuntamento dedicato all’intelligenza artificiale applicata nelle imprese dei territori italiani. Sono domande da futuro presente perchè le risposte arrivano da aziende che da diversi anni stanno lavorando con l’Ai. E possono rappresentare un buon esempio del fatto che mentre il mondo, comprensibilmente, continua a interrogarsi sulle potenzialità ma anche sui rischi legati all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (tutta colpa di ChatGpt), le imprese manifatturiere hanno un vantaggio: l’Ai in fabbrica è entrata non da qualche mese ma da qualche anno, con la robotica e non solo. In forma “evoluta”, ovvero con l’integrazione di tecnologie di machine learning e deep learning che consentono non solo di elaborare dati, ma anche di lavorare in sicurezza e con efficienza in collaborazione con gli operatori umani.

I robot industriali e i cobot che vediamo nelle fabbriche in realtà non “parlano”, come invece fanno Alexa o ChatGpt, anche se ci sono robot umanoidi in grado di sostenere conversazioni. Ma l’evoluzione delle intelligenze artificiali è velocissima anche in fabbrica. Tanto che si parla di passaggio da industria 4.0 a industria 5.0. Cosa significa? «Sostanzialmente è l’evoluzione del 4.0 – ci spiega Marco Gay, presidente Anitec-Assinform – Le tecnologie sono le stesse, che però si sviluppano costantemente, c’è la collaborazione fra uomo e macchina, e abbiamo evoluzioni con un impatto anche Esg importante». In parole semplici, è il passaggio dalla robotica industriale a quella collaborativa. I cobot rappresentano una forma di digitalizzazione degli impianti prodottitivi che si sta rivelando particolarmente adatta al Made in Italy, ad alto tasso di pmi. L’Italia, in base ai dati del Readiness for Frontier Technologies Index delle Nazioni Unite, è 25esima su 166 paesi analizzati. È quindi «in una buona posizione per cogliere le opportunità di tecnologie avanzate, come l’Ia», rileva Paolo Errico, vice presidente Piccola Industria Confindustria per Innovazione e Transizione Digitale, sottolineando in particolare gli «ottimi risultati nella ricerca (decima posizione) e nell’industria (25esima posizione)».







Maro Gay, presidente Anitec-Assinform

Anche sull’intelligenza artificiale non siamo messi male: nel 2021 la percentuale di imprese italiane più avanzate nell’utilizzo dell’Ai era superiore alla media europea (1,4% contro 1,3%). Restiamo però lontani dai paesi capofila, ovvero Danimarca (5,3%) e Paesi Bassi (3%). E, soprattutto, continuiamo a registrate un gap fra la grande industria (24,3%) e le piccole e medie imprese (5,3%). Anche per questo Piccola Industria e Anitec – Assinform stanno attraversando l’Italia con un roadshow dedicato a «Intelligenza artificiale e Pmi: esperienze da un futuro presente», che fino ad oggi ha compiuto tre tappe (Verona, Bari e Firenze). Ma in programma ci sono altri 20 appuntamenti, per cui «andremo avanti anche nel 2024» sottolinea Paolo Errico. L’obiettivo è quello di avvicinare le imprese alle nuove tecnologie, e il metodo prevede la presentazione di dati e di casi specifici, potremmo dire best practices, che fanno leva sulla concretezza tipica dei decision maker aziendali. Industria Italiana ha partecipato alla tappa fiorentina, organizzata in collaborazione con la rete dei digital innovation hub e la partnership di Audi.

Il “format” dell’evento è costante: prima parte dedicata agli interventi istituzionali (nel caso specifico, Maurizio Bigazzi, Presidente Confindustria Toscana e Confindustria Firenze, Fabrizio Bernini, Presidente Digital Innovation Hub Toscana e Confindustria Toscana Sud, oltre a Paolo Errico e Marco Gay), e a un keynote speech sull’intelligenza artificale (Roberto Saracco, Coordinatore Gruppo di lavoro “Intelligenza Artificiale” Anitec-Assinform), e a seguire una tavola rotonda tutta dedicata ai casi concreti. Per esempio, l’evoluzione delle tecnologie 4.0 in un gruppo internazionale come Fosber (leader nella progettazione, produzione ed installazione di linee ondulatrici complete e macchinari per il cartone ondulato), il prodotto innovativo per migliorare le caratteristiche dei materiali plastici di 3DNextech, le tecnologie innovative di Mathema, i software intelligenti per prodotti biomedicali di Blu Pantheon. Mettiamo insieme i dati di mercato che riguardano le prime tre Regioni italiane toccate dal roadshow (come detto, percorrerà l’intera Italia), e qualche spunto emerso dai casi pratici: perchè e come il digital twin abilita la servitizzazione, quali cambiamenti l’intelligenza artificale è destinata a portare nel settore biomedicale, oppure come si fa a far funzionare un’azienda che sviluppa software formata da dieci persone che vivono in dieci paesi diversi (una riunione in presenza ogni tre mesi).

 

Intelligenza artificiale: il mercato al 2025

Il mercato dell’intelligenza artificiale nel 2020 ha segnato «una crescita del 22% per cento, arrivano a quota 422 milioni di investimenti diretti, che diventeranno 700 nel 2025», sottolinea Marco Gay. Quindi, il trend proseguirà allo stesso ritmo, ma soprattutto questi sono solo gli «investimenti diretti, che hanno un moltiplicatore sul mercato di almeno cinque volte. Quindi, si parla di miliardi di euro di crescita economica solo per il nostro paese». Gli ultimi anni su questo fronte sono stati fondamentali, pur con due crisi economiche (il Covid prima e il caro energia alimentato dalla guerra Russia-Ucraina poi). E questo, grazie al Piano Industria 4.0, ovvero «la prima grande politica industriale italiana da 30 anni a questa parte». Il presidente di Anitec – Assinform ne ha sperimentato l’impatto in prima persona.

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale

«Ho iniziato a parlare di Industria 4.0 in Italia nel 2016», racconta. E all’inizio, la reazione prevalente fra gli imprenditori era di sottovalutazione del fenomeno (tendenzialmente, pensavo che non fosse utile al proprio business produttivo). È stato il Piano a spingere sull’acceleratore, grazie agli incentivi ma non solo (i digital innovation hub, così come i competence center, sono nati con il Piano). Questo non significa essere al traguardo. «È ancora necessario fare politica industriale sui territori», e questo impegna in primo luogo le associazioni datoriali. E a livello politico, «non possiamo sprecare il Pnrr», nuova occasione di crescita. Bisogna anche correggere il tiro rispetto ad alcuni elementi, ad esempio in tema di competenze. Senza le quali, è difficile compiere il fondamentale passaggio dal prodotto digitale al sistema interamente digitale.

La digital readiness delle imprese italiane: sono ricettive, ma parliamo ancora di piccoli numeri

Ma restiamo al mercato. In base ai dati Istat, nel 2021 il 6,2% delle imprese con almeno dieci dipendenti ha dichiarato di utilizzare sistemi di Intelligenza artificiale, contro una media dell’8% nell’Unione europea. Come detto, c’è un visibile divario fra piccole imprese, al 5,3%, e grandi imprese, 24,3%. Il ritardo delle pmi riguarda principalmente l’uso di strumenti di Machine Learning (18,5% contro la media del 23,5%) e di Rpa, robotic process automation (28% contro la media del 30,5%). Ma la percentuale di imprese più avanzate nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale è superiore alla media europea (1,4% contro 1,3%). I paesi più virtuosi sono Danimarca, 5,3% e Paesi Bassi al 3%. In sintesi: le imprese italiane sono ricettive su questo fronte, ma parliamo ancora di piccoli numeri: gli spazi di crescita sono notevoli. In Toscana (dati Confindustria), un’impresa su cinque ha raggiunto un livello di digitalizzazione alto o molto alto. Ma i dispositivi di intelligenza artificiale sono ancora poco diffusi (solo il 5-6% delle imprese ne utilizza almeno uno, nella maggior parte dei casi per l’automazione dei flussi di lavoro».

Sia Bigazzi sia Bernini insistono non solo sulle potenzialità di miglioramento in una regione che vanta centri di ricerca e università di importanza mondiale, ma anche sul ruolo che le associazioni imprenditoriali devono svolgere. Due gli elementi fondamentali: «bisogna avere un occhio sempre attento allo sviluppo di nuove competenze», rileva il presidente di Confindustria Toscana, perché l’intelligenza artificiale sottintende una sorta di interdisciplinarità. Nel senso che richiede figure tecniche, ma anche professionalità trasversali. «Digitalizzare è difficile, perché fra cinque anni cambia tutto», aggiunge il presidente dei Dih Toscana, quindi l’imprenditore «deve individuare un percorso» che fra l’altro orami non può più riguardare solo il digitale, ma anche le tematiche Esg. Sottolineiamo che questo aspetto era stato sottolineato anche nel corso della tappa pugliese del roadshow, in una Regione che in base al rapporto Anitec Assinform ha un livello di digitalizzazione più basso di quello della Toscana. Il Desi regionale vede in testa la Lombardia, seguita sul podio da Emilia Romagna e Lazio, la Toscana al sesto posto, a Puglia invece nella seconda metà della classifica (14esima), e sotto la media italiana.

Il Desi regionale vede in testa la Lombardia, seguita sul podio da Emilia Romagna e Lazio, la Toscana al sesto posto, a Puglia invece nella seconda metà della classifica (14esima), e sotto la media italiana

L’AI e il digital twin in Fosber: il valore della servitizzazione

Fosber è un gruppo internazionale leader nella progettazione, produzione ed installazione di linee ondulatrici complete e macchinari per il cartone ondulato

Le aziende di maggior valore hanno introdotto l’intelligenza artificiale da qualche anno. Fosber è un gruppo internazionale leader nella progettazione, produzione ed installazione di linee ondulatrici complete e macchinari per il cartone ondulato. Fondato a Lucca nel 1978, oggi il gruppo Fosber (guidato da Marco Bertola), attraverso l’headquarter italiano e le sue filiali strategiche negli Stati Uniti e in Cina, fornisce linee di produzione complete e retrofit di macchinari in tutto il mondo. Fosber è entrata nel mondo 4.0 nel 2015, racconta il digital innovation manager Gianluca Berrettini. «Siamo partiti dall’IoT, poi sono arrivati i big data e i business analytics, e infine l’intelligenza artificiale», con tecnologie di machine learning, deep learning, e ultimamente anche con realtà aumentata e computer vision. L’ultima novità è il digital twin. «Per come lo abbiamo sviluppato noi, è un collettore di dati che provengono dal campo, un grande database. Ci ha permesso di velocizzare analisi che prima facevamo con fogli excel, basandoci sull’esperienza delle persone più brave in azienda».

Fondato a Lucca nel 1978, oggi il gruppo Fosber (guidato da Marco Bertola), attraverso l’headquarter italiano e le sue filiali strategiche negli Stati Uniti e in Cina, fornisce linee di produzione complete e retrofit di macchinari in tutto il mondo

Grazie al digital twin, oggi, «possiamo organizzare i dati in modo tale da tirarci fuori delle informazioni molto precise, chirurgiche, verticali». Questo non consente solo di affinare i processi produttivi, migliorare i prodotti, prendere decisioni mirate. Ma abilita anche la servitizzazione, «perché consente di creare modelli di business prima inimmaginabili. Un’analisi che comportava una settimana di lavoro, adesso  può essere effettuata in pochi secondi. Quindi, nascono dipartimenti al servizio del cliente, possiamo vendere le nostre analisi» ai clienti, fornendo anche nuovi servizi. Attenzione: tutto questo richiede una infrastruttura 4.0: IoT, sensori, reti interconnesse, sistemi in cloud che permettono di storicizzare i dati sui server. A questo punto, si può creare un digital twin, e qui servono soprattutto competenze. Anche «perché poi questi nuovi servizi spesso devono essere inventati, solo tailor fitted, si basano sulle esigenze del cliente». Il ritorno economico è rappresentato quindi dal risparmio di tempo per le persone che possono dedicarsi a servizi a maggior valore aggiunto. Insomma, «La servitization sarà il mercato dei prossimi anni» conclude Berrettini.

 

Fosber: i servizi online per l’Industria 4.0

L’intelligenza artificiale nel biomedicale: i farmaci digitali

Blu Pantheon è una start up italiana dell’intelligenza artificiale che sviluppa soluzioni di assistenza virtuali per il mondo business, anche per l’industria biomedicale

Dai processi ai prodotti, l’intelligenza artificiale consente di abbattere frontiere. «In futuro non ci sarà un farmaco senza un corrispettivo terapeutico digitale. Che potrà addirittura sostituire o essere alternativo al farmaco», prevede Pasquale Fedele, Co-Founder di Blu Pantheon. Una start up italiana dell’intelligenza artificiale, sviluppa soluzioni per le smart city, la cybersecurity, assistenti virtuali per il mondo business, e lavora per l’industria biomedicale. Durante il Covid ha messo a punto una piattaforma per il contact tracing utilizzata dalla Regione Veneto. Ha lanciato un’applicazione che, grazie all’intelligenza artificiale, riesce a interpretare i segnali cerebrali di pazienti affetti da Sla non in grado di comunicare. E ora sta lanciando nuove soluzioni terapeutiche digitali per il contrasto alle demenze. «Quest’estate certificheremo il primo prodotto per il contrasto del declino cognitivo, – ci spiega il co-founder, Pasquale Fedele -. È una app, che tramite una fase di assessment permette il monitoraggio del paziente, intercettando i fattori di rischio che portano verso il declino cognito. Su questi andiamo ad agire per contrastare, cambiando le abitudini negative. C’è anche un secondo modulo, in fase di sviluppo e che sarà pronto il prossimo anno, che è diagnostico, quindi consente una diagnosi precoce della patologia». Come fa una app a fare una diagnosi? «Attraverso delle domande, che aiutano a capire il contesto e le abitudini che possono rappresentare fattori di rischio». Non sono preimpostate in modo rigido, ma adattate, quindi in base alle prime risposte l’intelligenza artigianale imposta e successive indagini sul paziente.

Vengono anche proposti dei giochi, «per esempio dei puzzle che servono per monitorare le capacità visospaziale, la memoria, una serie di parametri funzionali alla diagnosi. Sono parametri analoghi a quelli dei test diagnostici che vengono effettuati in ospedale. Noi abbiamo introdotto anche un’innovazione tramite dei giochi studiati apposta per questo tipo di approccio digitale». La app viene usata direttamente dal paziente, ma viene prescritta dal medico, come se fosse un esame, o un farmaco. La piattaforma prevede anche un’interfaccia per il medico, che quindi può monitorare l’andamento, e fare interventi mirati». Fra i primi finanziatori, una multinazionale farmaceutica, la tedesca La Roche. Al di là di questa singola soluzione (fra i primi finanziatori, La Roche), il fatto è che l’abbinamento fra soluzioni digitali dotate di intelligenza artificiale e farmaci non è il futuro, ma praticamente già il presente. «In Germania e in Francia, hanno un framework che permette al prescrivibilità da parte del medico di una soluzione digitale come se fosse un farmaco. Anche in Italia e in Europa si sta discutendo di questi sviluppi. In futuro non ci sarà un farmaco senza un corrispettivo terapeutico digitale, o che addirittura sostituirà o sarà un’alternativo al farmaco». Tutto questo succede in un’azienda che si potrebbe definire diffusa: quattro fondatori che abitano in paesi diversi, oggi le persone sono diventate dieci e i paesi di provenienza sono saliti a cinque. «Abbiamo impostato un metodo di lavoro che ci permette di lavorare completamente da remoto. Ogni tre mesi ci riuniamo fisicamente, e per quattro giorni si seguito lavoriamo insieme». Inutile ribadirlo: le tecnologie abilitano, oltre a tutto il resto, un nuovo modello di fare impresa. Richiedono non solo competenze come è emerso a più riprese sia dagli esempi pratici sia dai dati proposti in occasione del roadshow, ma anche nuove sfide. Se la digitalizzazione della medicina procede nel modo appena indicato, le norme sulla privacy devono andare di pari passo. Il binomio privacy-intelligenza artificiale di questi tempi rimanda a ChatGtp. Quindi concludiamo con un dato di cronaca: molte delle prestazioni che sono state proposte a Firenze, sono state realizzate da ChatGpt.














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