Il nuovo trend dell’industria? Coniugare scienza e umanesimo!

di Piero Formica* ♦︎ Le trasformazioni digitale, ecologica e comportamentale portano al benessere della società. Lavoro e impresa non sono più categorie ben definite: i confini tra i settori sono resi sbiaditi proprio dalle imprese trasformative. Che operano all'intersezione tra le tecnologie avanzate e la salute del nostro pianeta

L’industria italiana è in trasformazione e lo sono anche le scuole di management. Viviamo tra incertezza e dubbi che richiedono all’industria e all’istruzione di formare persone che siano poeti oltre che funzionari quantitativi (“quants”). Sul Financial Times dello scorso 28 Ottobre, Stephan Chambers, direttore del Marshall Institute presso la London School of Economics, ha scritto: «I dipartimenti di ammissione alle scuole di business spesso dicono che i loro studenti sono “poeti” o “quants”. I poeti hanno solitamente una formazione umanistica e non si sentono a proprio agio con i fogli di calcolo e gli esercizi di valutazione. I “quants” sono altamente numerici, spesso laureati in ingegneria. I poeti sono a loro agio con quelle che Keats chiamava “incertezze, misteri [e] dubbi”. I quants sono bravi nell’analisi di regressione. I poeti cantano, mentre i quants contano». Sotto l’impulso di invenzioni e innovazioni, l’industria è chiamata a coniugare la scienza con l’umanesimo. Ha così inizio un lungo viaggio verso la sua trasformazione, un viaggio che esige persistenza nel tempo, discontinuità nei comportamenti e cambiamenti frequenti. È un viaggio verso Itaca, così come narrato dal poeta greco Costantino Kavafis (1863-1933). La mitologia greca mette alla prova la barriera tra gli uomini, gli dei e la natura ricorrendo alla trasformazione, che spesso comporta un cambiamento profondo e definitivo. Le successive ondate di shock degli anni 2000 hanno sradicato imprese e posti di lavoro. Per rinascere, entrambi devono trasformarsi sulle orme di Deucalione e sua moglie Pirra che, dopo il diluvio causato da Zeus, fecero rivivere il genere umano lanciando delle pietre dietro di loro mentre camminavano. Le pietre di Deucalione divennero uomini e quelle di Pirra mutarono in donne. L’umanità nacque così di nuovo.

Discutere del concetto di impresa trasformativa non è una novità; è un tuffo nel grande mare della storia imprenditoriale. Tra gli studiosi di questa storia, ricordiamo gli autori (Landes, Mokyr e Baumol) di un libro da leggere, The Invention of Enterprise. Nel commercio arcaico, gli individui imprenditoriali giocavano un ruolo chiave, il “trasporto e baratto”, come diceva Adam Smith. Le commende e le compagnie italiane medievali e la pratica araba della muqarada amministravano denaro o inventari dei loro finanziatori. La bottega rinascimentale (oggi tradotta come spazio di co-working) nutriva i talenti. Nuove tecniche e forme artistiche venivano alla luce; gli artisti erano in competizione e pronti a lavorare insieme. Con la rivoluzione industriale, la trasformazione dell’impresa avvenne con l’organizzazione scientifica del lavoro di Frederick Taylor (1856-1915) e il fordismo, il sistema di produzione di massa sperimentato all’inizio del XX secolo dalla Ford Motor Company. Verso la maturità dell’industrializzazione ancora basata sugli atomi, l’impresa ruota intorno al primato dell’azionista e alla massimizzazione del profitto sulla scia di Milton Friedman. Con il fiorire dei bit – più in generale, dell’economia digitale – e l’emergere della questione ecologica, ci troviamo di fronte a una nuova trasformazione. È un ritorno al futuro: la bottega rinascimentale riappare come impresa imprenditoriale al posto di quella manageriale. Le persone sono co-creatori e intraprenditori piuttosto che semplici esecutori di compiti assegnati dall’alto. Né geni né ribelli solitari, gli intraprenditori sono generatori di conflitti cognitivi che contribuiscono molto ad abrogare regole radicate.







Nel corso delle passate rivoluzioni industriali è progredita la ricerca di una vita migliore, intesa come benessere materiale, per sé stessi e la propria famiglia. La condotta umana ha mirato ai propri interessi privati e materiali. Il bene pubblico è stato trascurato o si è pensato che discendesse dalla provvidenza delle passioni e ambizioni personali. A scuotere questa credenza hanno contribuito la comparsa di beni pubblici digitali, la formazione di comunità di condivisione che facendo leva sul virtuale ottengono risultati virtuosi (come nel caso delle strade sociali le cui condotte aprono le porte all’accesso e alla messa in comune di beni e servizi) e le nuove visioni della biologia che hanno coinvolto l’ambiente economico e i suoi effetti sugli affari e la società. Sul versante del “chi controlla chi”, l’esito della battaglia per il potere dipenderà dal valore attribuito allo scambio tra brama di esaudire i propri desideri e rinuncia al controllo a favore del persuasore occulto, si pensi al Metaverso di Zuckerberg e ad altre tecnologie che si propongono come fondamenta del Web3 su cui poggiare l’edificio dei nuovi desideri. La bilancia penderà dal lato dei desideri davanti alla forza che avrà la voglia di possedere una quantità crescente di nuovi oggetti. Continuando ad ascoltare e assecondate voci e opinioni comuni, al governo di ogni cosa continuerà a reggersi la quantità. Se a causa dei pregiudizi tutto viene misurato con il criterio della quantità, allora a dominare saranno i pochi feudatari delle tecnologie fondamentali. Per ben comprendere il valore della posta in gioco, le trasformazioni che stiamo vivendo andrebbero lette coniugando il discorso tecnologico con il pensiero filosofico, a cominciare da Socrate che non si lasciò sedurre dagli oggetti ­ oggi diciamo dai dispositivi tecnologici in grado di esaudire eccessivamente i nostri desideri.

I bombardamenti dei desideri che si traducono in consumi fanno crescere l’impatto dell’uomo sul pianeta. Di conseguenza, non cessa di ridursi lo spazio disponibile per le altre specie, come non hanno mai smesso di denunciare i naturalisti Edward Osborne Wilson (1929-2021) e Thomas Eugene Lovejoy (1941-2021). Ad invertire la rotta del comportamento umano interviene sia la distinzione tra beni civici, pubblici e privati sia il passaggio dalla proprietà al servizio offerto da un bene. L’automobile è un esempio lampante. Dopo che Henry Ford (1863-1947) ha aperto la strada alla produzione in catena di montaggio all’inizio del XX secolo, l’invenzione del motore a combustione interna ha dato a milioni di persone il beneficio di una mobilità senza precedenti. Oggi, questo pezzo di tecnologia è accusato di contribuire alle emissioni di gas serra che causano il cambiamento climatico. L’auto è utilizzata solo per una piccola frazione del tempo disponibile. Se alla consuetudine della proprietà del mezzo subentrasse, facilitata dalle tecnologie digitali, una maggiore condivisione, quindi un uso più intensivo dello stock esistente di automobili e una loro vita più lunga, si potrebbe ottenere una riduzione significativa dell’impronta di carbonio globale originata dalla mobilità personale.

C’è un desiderio che si stacca dagli altri. È lo stare bene che è libertà dalle sofferenze. Il ben-essere riguarda l’universo delle specie viventi e le loro culture. Vi rientrano le tre trasformazioni – digitale, ecologica e comportamentale. Il design e l’implementazione dell’impresa trasformativa sono una costruzione volontaria del futuro ricorrendo all’intelligenza capace di riconoscere quanto siano intrinsecamente legate l’economia e la salute umana, di tutte le altre specie animali e vegetali viventi sulla Terra e degli “oggetti naturali” quali i fiumi, i laghi, i mari e le montagne. Essendo la terra un sistema chiuso, l’economia deve accordarsi anche con la fisica dei sistemi chiusi. In questo inedito scenario cadono le tante certezze del passato. Sul terreno dell’economia, lavoro e impresa non sono più categorie tanto ben definite da essere oltremodo rassicuranti. Già negli anni Settanta del secolo scorso, l’artista tedesco Joseph Beuys (1921-1986) sosteneva che tra lavoro, arte e scienza non ci fosse una netta separazione. Secondo Beuys, siamo tutti artisti il cui pensiero è il materiale invisibile che dà valore al lavoro e lo concilia con la natura. Ciascuno di noi nel proprio campo di vita non può più arare un solco preciso e diritto di decisioni che inizia nella scuola, prosegue nell’attività professionale e si conclude col pensionamento. Sul versante imprenditoriale, i confini tra i settori sono resi sbiaditi proprio dalle imprese trasformative che operano all’intersezione tra le tecnologie avanzate e la salute del nostro pianeta. Dobbiamo quindi prestare estrema attenzione a tutto ciò che fa la differenza nel far accadere le cose. Per questa sua complessità, l’impresa trasformativa è una costruzione non immutabile che si svolge lentamente nel tempo e da rivedere seguendo un processo probabilistico.

 

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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