Horizon 2020, 95,5 miliardi per la ricerca industriale: come ottenere i fondi

di Felice Meoli ♦︎ Una guida pratica per avere accesso alle risorse stanziate dall’UE, che punta sull’industria per rilanciare l’economia con una strategia imperniata su 4 cardini: manufacturing, advanced materials, circular industry, low carbon and clean industry

Dopo oltre due anni di trattative, a lungo impantanate nell’anno in cui la pandemia Covid ha messo in crisi in maniera inedita lo stato dell’Unione, è stato finalmente raggiunto l’accordo su Horizon Europe, il nuovo programma europeo di finanziamenti alla ricerca, che prenderà il posto del tramontante Horizon 2020, e che metterà a disposizione 95,5 miliardi di euro per i prossimi sei anni, quasi 20 miliardi in più rispetto all’ultima edizione del programma. Ma le novità, oltre all’ammontare dei fondi, sono tante. E sono più sostanziali che formali, dopo una lunga fase interlocutoria partita da un inedito rimescolamento organizzativo del direttorato R&I della Commissione Europea, con l’insediamento del suo nuovo direttore generale, Jean-Eric Paquet. Il nuovo direttorato è stato disegnato attorno ai Sustainable Development Goals della Nazioni Unite, cioè gli obiettivi che la comunità globale si è posta per gli anni a venire. La ricerca in ambito industriale, per esempio, attiene adesso al direttorato ‘Prosperity’, nome che indica con chiarezza quale dovrà essere l’obiettivo stesso dell’attività di R&I: prosperità. Dunque creazione di nuove aziende, circolazione delle idee, nuovi posti di lavoro.

Un orientamento decisamente rivolto ai fini anziché ai mezzi, che di fatto vengono lasciati alla creatività e alla libera intraprendenza della comunità di ricerca e di produzione. Anche per questo motivo i nuovi bandi saranno diversi dal passato, e cioè ibridi, rompendo le tradizionali categorie del pensiero organizzativo, per dare enfasi agli impatti – sociali, economici, ambientali, sanitari – che la ricerca andrà a generare. Inoltre, per migliorare l’efficacia dell’azione e rispondere così ai grandi obiettivi della comunità globale, il nuovo programma tenderà a evitare ogni frammentazione, privilegiando progetti complementari tra loro, per concentrare gli sforzi su temi di rilevanza e importanza generale, che prenderanno la forma di cosiddette missioni. E così come le missioni al momento proposte sono state generate attraverso consultazioni con gli stakeholder, va sottolineato che tutto il programma ruota attorno al principio del co-design: non solo per quanto riguarda la collaborazione tra enti, università e aziende in vista della presentazione di un progetto di ricerca per cui ricevere finanziamenti, ma anche nella stessa definizione delle priorità che il mondo della ricerca e della produzione considera più importanti. Risulterà dunque non solo possibile ma estremamente utile partecipare alla definizione delle Strategic Research Agenda, prendendo parte ad associazioni e corpi intermedi che faranno sentire la propria voce a chi fattivamente andrà ad assegnare le risorse attraverso la stesura dei bandi.







A dare supporto e fornire tutte le informazioni per orientarsi in questo apparente labirinto, c’è però qualcuno che è al lavoro sul campo da oltre 25 anni. Parliamo dell’Apre, associazione di ricerca non profit che, in stretto collegamento con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, fornisce ai propri associati come a imprese, enti pubblici, privati e persone fisiche, informazioni e assistenza per la partecipazione ai programmi e alle iniziative di collaborazione nazionale ed europee nel campo della Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Innovazione (Rsti) e del trasferimento dei risultati delle ricerche. Sostenuta da più di 100 soci, tra cui enti di ricerca pubblici e privati, università, parchi scientifici, pubbliche amministrazioni, associazioni di categoria, organismi del sistema camerale, finanza, distretti tecnologici e imprese, Apre è sede dei Punti di Contatto Nazionale, rete riconosciuta dalla Commissione Europea e chiamata a fornire informazione e assistenza sui vari aspetti relativi ai programmi UE di Rsti, presente in tutti gli Stati membri. Il ruolo degli NcpNational Contact Point è di cruciale importanza nella diffusione delle informazioni e nell’assistenza intersettoriale e transnazionale ai proponenti dei progetti europei. All’interno dell’ultima edizione di International Cae Conference and Exhibition, appuntamento internazionale sulle nuove tecniche di simulazione ingegneristica e il ruolo nella ricerca e sviluppo, produzione e post-produzione industriale, Apre ha tenuto un doppio intervento, dal titolo “Digital and Industrial Competitiveness in Horizon Europe”, con Marta Calderaro, H2020 ICT National Contact Point e Martina De Sole, H2020 Nmbp National Contact Point. In un colloquio esclusivo, entrambe ci svelano tutti i segreti del nuovo programma europeo, e le ricette giuste per partecipare con successo ai prossimi bandi in uscita.

Come le tradizionali Nmbp verranno considerate in Horizon Europe. Fonte Apre

Horizon Europe: i fondi per la ricerca sbloccati dall’intesa su Recovery Fund e Next Generation EU

Alle 5.11 del mattino di venerdì 11 dicembre, al termine di 14 ore di negoziazioni e oltre due anni di trattative, il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno trovato d’intesa con la Commissione l’accordo finale su Horizon Europe. Il nuovo programma di ricerca e innovazione della UE disporrà di una dotazione di bilancio di circa 95,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Questo stanziamento include 5,4 miliardi di euro collegati al pacchetto Next Generation EU, e ulteriori 4,5 miliardi di euro provenienti dalle multe che l’Unione somministra alle aziende per la violazione delle regole sulla concorrenza. Mariya Gabriel, Commissaria per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha dichiarato: «L’accordo segna una pietra miliare molto importante per l’Europa. Con il programma Horizon Europe, la comunità europea della ricerca, gli istituti di ricerca e i cittadini europei possono contare sul più vasto programma di ricerca e innovazione al mondo. È il nostro principale strumento per rafforzare la base scientifica e tecnologica dell’Europa, sviluppare soluzioni per una vita più sana, guidare la trasformazione digitale e lottare contro i cambiamenti climatici, per la nostra resilienza collettiva».

Da Horizon 2020 a Horizon Europe, le principali evoluzioni. Horizon Europe è il nuovo programma europeo di finanziamenti alla ricerca, che prenderà il posto del tramontante Horizon 2020, e che metterà a disposizione 95,5 miliardi di euro per i prossimi sei anni, quasi 20 miliardi in più rispetto all’ultima edizione del programma. Fonte Apre

Complessivamente le risorse stanziate sono del 24% in più rispetto ai 77 miliardi del precedente programma Horizon 2020, che vedeva i fondi così ripartiti: 24,4 miliardi di euro per il Pilastro “Excellence Science”, 17 miliardi per il Pilastro “Industrial Leadership” e 29,7 miliardi per il Pilastro “Societal Challenges”. Quale invece il breakdown per il nuovo Horizon Europe? Per molto tempo è stata “la domanda dell’anno”, come afferma Calderaro. Il nuovo Horizon, infatti, e i fondi a esso destinati, si sono a lungo impantanati nell’anno in cui la pandemia Covid ha messo in crisi in maniera inedita lo stato dell’Unione. E così le trattative sul Recovery Plan, l’assegnazione delle risorse comunitarie ai Paesi membri (e le regole per aggiudicarsi questi finanziamenti) per il contrasto all’emergenza sanitaria e alla crisi sociale ed economica, che hanno visto contrapporsi interi blocchi di Paesi, con veti incrociati emersi nelle posizioni di singole nazioni, hanno di fatto condizionato la definizione del nuovo programma quadro. Con la chiusura della partita Ue su budget e fondo per la ripresa, e dunque l’intesa sul bilancio comunitario 2021-2027 e il pacchetto da 750 miliardi del Recovery Fund, si è sbloccato anche l’incaglio in cui era finito Horizon. Con parametri finalmente concreti per i fondi da destinare alle singole ripartizioni, secondo le indiscrezioni emerse a margine dell’accordo.

Il budget breakdown di Horizon Europe secondo le indiscrezioni di Science Business. Fonte Science Business

La struttura del programma: i pilastri, i cluster e le risorse a disposizione area per area

Martina De Sole, H2020 Nmbp National Contact Point

Il primo Pilastro di Horizon Europe è dedicato all’Eccellenza scientifica, una conferma rispetto al precedente programma, è comprende finanziamenti diretti a: European Research Council, Marie Skłodowska-Curie e Infrastrutture di ricerca. Qui viene finanziata la ricerca per sé. A questo pilastro dovrebbe essere destinato il 26% del budget, ovvero 24,9 miliardi di euro, di cui 16,1 allo European Research Council. Il secondo Pilastro rappresenta una grande novità: è dedicato alle “Global Challenges and European Industrial Competitiveness”, e ha l’obiettivo di rafforzare l’impatto della ricerca e dell’innovazione nello sviluppo, nel sostegno e nell’attuazione delle politiche dell’Unione europea per affrontare le sfide globali. In altre parole, la Commissione Europea punta a promuovere tecnologie e soluzioni a supporto delle politiche dell’Unione e degli obiettivi di sviluppo sostenibile, riunendo in un unico pilastro la competitività industriale e le sfide globali. Le attività di ricerca e innovazione saranno dunque organizzate nei seguenti sei Cluster, che integrano due pillar dello scorso Horizon 2020, ovvero quello denominato “Industrial Tech Leadership”, specificamente diretto a Ict, nanotecnologie e spazio (che passano da pillar a cluster) e le cosiddette “Societal Challenges” del precedente programma quadro.

Attualmente i Cluster identificati sono: 1) Sanità; 2) Cultura, creatività e società inclusive; 3) Sicurezza civile per la società; 4) Digitale, industria e spazio; 5) Clima, energia e mobilità; 6) Prodotti alimentari, bioeconomia, risorse naturali, agricoltura e ambiente. Nella versione finale, in corso di approvazione, potrebbe esserci qualche novità nella formulazione specifica di questi Cluster. Qui viene stanziata la parte maggiore del budget, che dovrebbe rappresentare il 56%, per un totale di 53,8 miliardi di euro. I Cluster dedicati a industria, digitale e spazio, e poi al clima e all’energia sono quelli che dovrebbero offrire più risorse, entrambi con oltre 15 miliardi di euro. Il terzo Pilastro, invece, promuoverà l’innovazione, con particolare attenzione a quella dirompente, e rafforzerà la diffusione sul mercato delle soluzioni tecnologiche, finanziando lo European Innovation Council, lo European Institute of Innovation & Technology e i cosiddetti ecosistemi europei dell’innovazione. Qui dovrebbe finire il 14% del budget, ovvero 13,4 miliardi di euro. Un ulteriore 4%, per 3,4 miliardi di euro, dovrebbe invece essere destinato al rafforzamento della European Research Area, sistema di programmi di ricerca scientifica che integrano le risorse scientifiche dell’Unione Europea. «Horizon Europe è senza dubbio un programma a misura di pmi – afferma De Sole – Ne viene supportata la partecipazione perché all’interno dei progetti, ruoli e tipologie di soluzioni si trovano lungo tutta la catena del valore. Non solo aziende hi-tech che fanno ricerca, ma anche quelle che lavoreranno per validare e prototipare la ricerca, grandi e piccole». L’accordo così definito dovrà essere approvato ufficialmente da Parlamento e Consiglio entro la fine dell’anno, finalizzando anche tutte le altre grandi novità, che sembrano comunque ormai ben definite: dalle partnership alle missioni, fino agli impatti.

I tre pilastri di Horizon Europe. Il primo Pilastro è dedicato all’Eccellenza scientifica, una conferma rispetto al precedente programma, è comprende finanziamenti diretti a: European Research Council, Marie Skłodowska-Curie e Infrastrutture di ricerca. Qui viene finanziata la ricerca per sé. A questo pilastro dovrebbe essere destinato il 26% del budget, ovvero 24,9 miliardi di euro, di cui 16,1 allo European Research Council. Il secondo Pilastro è dedicato alle “Global Challenges and European Industrial Competitiveness”, e ha l’obiettivo di rafforzare l’impatto della ricerca e dell’innovazione nello sviluppo, nel sostegno e nell’attuazione delle politiche dell’Unione europea per affrontare le sfide globali. Il terzo Pilastro promuoverà l’innovazione, con particolare attenzione a quella dirompente, e rafforzerà la diffusione sul mercato delle soluzioni tecnologiche, finanziando lo European Innovation Council, lo European Institute of Innovation & Technology e i cosiddetti ecosistemi europei dell’innovazione. Fonte Apre

L’importanza dei partenariati: dialogare con le istituzioni attraverso il co-design pubblico-privato

Marta Calderaro, H2020 ICT National Contact Point

Trasversali a pilastri e cluster, le European Partnership rappresentano una importante evoluzione rispetto a Horizon 2020, che prevedeva un sistema di partenariati molto frastagliato. Le partnership possono prendere la forma di 1) Co-programmed European Partnership, con la partecipazione della Commissione Europea e partner privati e/o pubblici (industria, università, organizzazioni di ricerca, organismi con funzioni di servizio pubblico a livello locale, regionale, nazionale o internazionale o organizzazioni della società civile tra cui fondazioni e Ong), basate su protocolli di intesa e/o accordi contrattuali nei quali sono specificati gli obiettivi del partenariato, le azioni e i contributi (finanziari o in-kind) di tutte le parti interessate, oltre a indicatori di impatto e reporting; 2) Co-funded European Partnership (le attuali Era-Nets, Ejp, Fet Flagship), cioè partenariati formati da Paesi UE, con azioni cofinanziate che prevedono il diretto coinvolgimento delle autorità pubbliche e agenzie di finanziamento alla ricerca; 3) Institutionalised European Partnership, partenariati in cui la UE partecipa a programmi di finanziamento della ricerca e dell’innovazione intrapresi da consorzi di Paesi membri.

«Nel nuovo approccio ai partenariati ritroviamo la costituzione di organi che vanno a supporto della Commissione Europea nell’individuazione delle priorità della stessa comunità di ricerca e innovazione attorno a un dato dominio tecnologico, o attorno a un tema specifico», afferma Calderaro. La Commissione, dunque, ha deciso di aprirsi agli attori del mercato, perché possano direttamente guidare la transizione economica e tecnologica. «I partenariati si orientano come i principali ecosistemi a cui la Commissione Europea si rivolge per attingere alle informazioni più dettagliate sulle necessità e le volontà dell’ecosistema di ricerca e innovazione per i prossimi anni, garantendo anche una connessione di realtà, in modo tale che la Commissione stessa non possa definirsi un sistema chiuso, ma dialogante». Un progetto in linea a quanto il direttore generale del DG Ricerca e Innovazione della Commissione Europea, Jean-Eric Paquet, ha indicato a più riprese: promuovere il concetto di “co-design” nelle politiche pubbliche, superando l’orientamento alla “scelta dei vincitori” (“picking the winners”) sostituendolo con la “scelta dei volenterosi” (“picking the willing”). Horizon Europe va in questa direzione, e istituzionalizza alcune tendenze già viste negli ultimi anni. «Uno dei temi fondamentali di Horizon Europe è la collaborazione pubblico-privato: il coinvolgimento delle aziende è fondamentale per il raggiungimento di qualunque obiettivo, per raggiungere l’impatto di qualunque tema di ricerca nell’ambito dei cluster – afferma De Sole – I progetti di ricerca dei programmi quadro sono stati un primo esempio di open innovation, perché anche le grandi industrie che partecipano a questi progetti in qualche modo si approvvigionano di tecnologia al di fuori delle mura della propria azienda. Quindi pubblico-privato che va a beneficio un trasferimento di conoscenza dall’università, centro di ricerca, all’industria, sia piccola che media che grande».

Come cambiano i partenariati da Horizon 2020 a Horizon Europe. Le European Partnership rappresentano una importante evoluzione rispetto a Horizon 2020, che prevedeva un sistema di partenariati molto frastagliato. Le partnership possono prendere la forma di 1) Co-programmed European Partnership, con la partecipazione della Commissione Europea e partner privati e/o pubblici (industria, università, organizzazioni di ricerca, organismi con funzioni di servizio pubblico a livello locale, regionale, nazionale o internazionale o organizzazioni della società civile tra cui fondazioni e Ong), basate su protocolli di intesa e/o accordi contrattuali nei quali sono specificati gli obiettivi del partenariato, le azioni e i contributi (finanziari o in-kind) di tutte le parti interessate, oltre a indicatori di impatto e reporting; 2) Co-funded European Partnership (le attuali Era-Nets, Ejp, Fet Flagship), cioè partenariati formati da Paesi UE, con azioni cofinanziate che prevedono il diretto coinvolgimento delle autorità pubbliche e agenzie di finanziamento alla ricerca; 3) Institutionalised European Partnership, partenariati in cui la UE partecipa a programmi di finanziamento della ricerca e dell’innovazione intrapresi da consorzi di Paesi membri. Fonte Apre

Tips & tricks: come e perché partecipare alla definizione delle Strategic Research Agenda

Jean-Eric Paquet, direttore generale della Ricerca e dell’innovazione della Commissione Europea

In questo senso il coinvolgimento dei corpi intermedi appare una strada per superare la distanza tra Bruxelles e i territori, che non è solo fisica ma culturale. «Le European Partnership sono a forte guida industriale. La European Partnership ‘Made in Europe’, che è l’erede della precedente Contractual Private-Public Partnership ‘Factories of the Future’ è una partnership nella quale la Commissione Europea identifica le tematiche fondamentali per l’industria europea attraverso la EffraEuropean Factories of the Future Research Association, un’associazione a cui tutte le aziende possono partecipare per entrare in contatto sia con altre imprese europee, con cui eventualmente presentare dei progetti, e soprattutto per definire la Strategic Research Agenda, portando la propria voce per far emergere quello che serve all’industria nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Questo ovviamente non vuol dire vincere i progetti, ma far parte del network offre un vantaggio competitivo perché permette di sapere cosa serve all’Europa quando si presenta un progetto. Lo stesso vale per altre partnership. I cluster sono fatti proprio per la ricerca pubblico-privata, per lavorare insieme».

In questo modo si cerca di promuovere un attivismo collaborativo che finora è forse mancato. Spiega Calderaro: «Fino ad oggi si trovavano differenti ecosistemi di ricerca e innovazione che andavano a supporto della Commissione Europea e che in alcuni casi erano anche istituzionalizzati con una forma giuridica per poter esercitare queste sinergie con le politiche nazionali degli Stati membri e garantire un collegamento diretto. Ma il problema era un enorme frammentazione dell’ecosistema, quindi il singolo, la pmi, il ricercatore che voleva partecipare nell’ambito delle opportunità dei partenariati, risultava disperso dal grande numero di opportunità che vi erano nel sostegno alla propria ricerca o alla propria innovazione. Fornendo una vastità enorme di finanziamenti, si rischiava di non fornirne nessuno, se nessuno le conosce perché sono troppe, e così diventava difficile raggiungere l’obiettivo che la Commissione stessa si era posta».

Dettaglio di alcune partnership ricomprese nel Cluster 4. Fonte Apre

La ricetta per il successo di un progetto di R&I: avere idee chiare e puntare a obiettivi concreti

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Bruxelles, Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea

Oltre al rapporto più stretto tra le istituzioni e la comunità di ricerca, la collaborazione è incentivata anche tra i diversi attori del privato. Horizon Europe promuove opportunità di partecipazione attraverso progetti collaborativi, dove si richiede ai singoli di partecipare in consorzi sviluppati da università, centri di ricerca, grandi imprese o pmi. Anche da questo punto di vista, la collaborazione non è un vincolo, bensì un’opportunità. «La partecipazione a un programma come Horizon Europe è rilevante per la pmi nei progetti di tipo collaborativo, perché permette l’accesso a competenze che generalmente all’interno non sono presenti, perché aiuta a identificare delle collaborazioni ulteriori che si potranno sviluppare anche al di fuori del programma di finanziamento, e anche per il valore economico dei progetti di R&I», afferma Calderaro.

Non mancheranno comunque degli schemi di finanziamento monobeneficiari, dove la pmi o il singolo ricercatore potranno decidere di presentare una propria idea progettuale in uno schema di finanziamento nell’ambito dello European Research Council, o dello European Innovation Council. Come partecipare? Sebbene la pandemia al momento impedisca gli incontri fisici tra le persone, gli strumenti digitali per informarsi sono molteplici: dagli eventi online in cui interfacciarsi con partner e punti di contatto, allo studio dei precedenti beneficiari dei progetti finanziati. «Vedere cosa è stato finanziato precedentemente e chi l’ha svolto è utile per definire un nuovo progetto – prosegue Calderaro, che mette in guardia i potenziali partecipanti da atteggiamenti purtroppo consolidati – L’errore più comune è quello di non leggere attentamente il bando, nel senso di non interfacciarsi nella comprensione corretta del bando. Ogni bando è scritto in maniera semplice, ma vi sono alcune parole chiave che possono corrispondere ad alcuni obiettivi strategici che la Commissione Europea si pone attraverso le sue politiche. Un’altra problematica è il non essere chiari e dritti verso il punto, ma arzigogolare nella modalità di scrittura. Nella progettazione europea bisogna essere estremamente chiari sui propri obiettivi e le proprie azioni».

Il Cluster 4 del Pillar 2 di Horizon Europe che raccoglie la ricerca in ambito Digital, Industry e Space. I Cluster dedicati a industria, digitale e spazio, e poi al clima e all’energia sono quelli che dovrebbero offrire più risorse, entrambi con oltre 15 miliardi di euro. Fonte Apre

L’orientamento alle missioni: declinare i progetti di ricerca su finalità di carattere generale

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

L’unificazione del secondo e terzo Pilastro di Horizon 2020, all’interno del nuovo Horizon Europe, sottende un cambio di prospettiva dei progetti, che diventano mission-oriented. Un approccio ispirato al famoso moonshot che portò l’uomo sulla luna, indicando missioni da compiere e non fallimenti del mercato da risolvere. Si cerca in questo modo di dare sostanza anche a progetti complementari tra loro, capaci di portare a risultati ambiziosi e di forte impatto sociale. A identificare le missioni e determinare il loro perimetro saranno i nuovi Mission-board, composti da un massimo di 15 esperti indipendenti, con il compito di fornire alla Commissione consigli e raccomandazioni. Dopo lunghe consultazioni, le proposte dei board attualmente sono cinque: 1) Conquering cancer: mission possible; 2) Accelerating the transition to a climate prepared and resilient Europe; 3) Regenerating our ocean and waters; 4) 100 Climate-neutral cities by 2030 – by and for the citizens; 5) Caring for soil is caring for life.

«La Commissione – spiega Calderaro – andrà a supportare maggiormente e a convogliare tutti gli sforzi di ricerca e innovazione attorno temi di rilevanza e importanza generale, come possono essere la ricerca sul cancro, o il vivere e convivere in una città intelligente, che garantiscano al cittadino l’utilizzo di servizi al pari di una città intelligente, smart city». Caratteristiche delle missioni sono la definizione ex ante di: target, budget, azioni, tempistiche. Quindi un estremo pragmatismo, necessario a fornire una maggiore concretezza alle azioni di ricerca e al co-design, per stringere le maglie dell’ecosistema e avvicinare ancora di più l’istituzione al cittadino. Chiarisce Calderaro: «La Commissione ha visto che alcune iniziative particolarmente rilevanti come le Flagship sul Grafene, sulle Human Brain, sulle Quantum Technologies, di forte impatto e finanziamento estremamente elevato, non risultavano essere di sostegno ai bisogni concreti del singolo cittadino. Anche se andranno a garantire un sostegno concreto della competitività della UE nel lungo periodo, non lo fanno nel medio periodo. Si cercherà ora di garantire invece un sostegno alle problematiche di tutti i giorni: temi come le smart cities, o lo stato di salute del suolo e delle acque, offrono una tangibilità maggiore del sostegno europeo sta fornendo, rispetto al supporto alla tecnologia quantistica che chiaramente sosterrà la competitività della UE nel lungo periodo. È un modo diverso di vedere il sostegno finanziario, e un ruolo non esclude l’altro».

 

La misurazione degli impatti: la necessità di un nuovo approccio culturale al progetto di ricerca

L’approccio alle missioni si accompagna a un’altra importante innovazione: il riconoscimento e la misurazione degli impatti, che va a determinare un diverso modo di concepire i progetti e presentarli alle istituzioni rispetto al passato. Afferma De Sole: «Bisogna cambiare proprio l’approccio culturale al progetto di ricerca, pensando alle linee di impatto: sociale, ambientale, sanitario, socio-economico. Horizon Europe viene definito un programma impact-driven, governato dall’impatto, perché nel momento in cui si scrive una proposta, la sezione dell’impatto diventa veramente fondamentale. Le richieste sull’impatto da parte della Commissione, saranno specifiche, e non solo quantitative ma anche qualitative. Considerando che nei prossimi anni Horizon sarà uno degli strumenti di finanziamento maggiori dello European Green Deal, qualunque progetto che vada a concorrere al raggiungimento degli obiettivi della neutralità climatica entro il 2050 lo deve far ben presente, perché concorre a una delle politiche europee che muoverà più capitale nei prossimi anni. Il suggerimento è di documentarsi bene sulle policy, leggere bene gli impatti attesi, e rispondere a tutte le richieste sugli impatti all’interno dei topic del bando». Gli impatti da considerare saranno molteplici: a livello di singolo progetto, a livello degli obiettivi di cluster e di pilastro, a livello di programma complessivo. «Quello che è importante – aggiunge De Sole – è che ci si allinei agli Sdg delle Nazioni Unite, perché è attorno ad essi che è stato ristrutturato l’intero programma di ricerca».

Il nuovo approccio agli impatti di Horizon Europe va a determinare un diverso modo di concepire i progetti e presentarli alle istituzioni rispetto al passato. Gli impatti da considerare saranno molteplici: a livello di singolo progetto, a livello degli obiettivi di cluster e di pilastro, a livello di programma complessivo. Fonte Apre

La rivoluzione del direttorato R&I e la semantica Sdg: attenzione ai nuovi bandi ibridi

Attorno agli Sdg dell’Onu non è stato strutturato solo il nuovo Horizon Europe, ma perfino tutto il direttorato R&I in sede europea. Una decisione che ha preso forma nel 2019, fortemente voluta dal nuovo direttore generale, il francese Jean-Eric Paquet. E che di fatto spiega la ratio che c’è dietro ai profondi cambiamenti a cui va incontro il programma di finanziamento. La nuova struttura riflette la semantica degli Sdg: pertanto c’è oggi un direttorato “Healthy Planet”, che si occupa della ricerca su ambiente, clima, bioeconomia ed economia circolare, un direttorato “Clean planet” a cui invece è affidata, tra le altre cose, la ricerca su energia e trasporti, un direttorato “People” orientato alla ricerca nel campo della sanità e alla lotta alle malattie. La ricerca industriale, così come quella sulle nuove tecnologie, è affidata al direttorato “Prosperity“. Cosa cambia? «Cambia il modo in cui vengono agglomerate le tematiche di ricerca, non più per silos – afferma De Sole – Non c’è più il bando dedicato solo ai trasporti, il bando dedicato solo alle nanotecnologie: i direttorati gestiscono dei dossier che parlano tra di loro in modo molto più dinamico e interattivo, rompono i silos e vedranno direttori scrivere i bandi insieme. Prosperity, che è quello che riguarda la ricerca industriale, non ha dunque come obiettivo in sé la ricerca sui materiali o sull’industria 4.0, ma la finalità ultima della ricerca industriale è quella di creare ‘prosperità’». Dunque: posti di lavoro, circolazione delle idee, creazione di nuove aziende. «È come se fosse una bussola, ed è stato strutturato con nomi specifici per agganciarsi agli impatti che si vogliono avere attraverso i progetti che vengono finanziati nei bandi pubblicati dai direttorati».

Il nuovo DG R&I della Commissione Europea e dettaglio sul direttorato Prosperity. La ricerca industriale, così come quella sulle nuove tecnologie, è affidata al direttorato “Prosperity”. Rispetto al passato, cambia il modo in cui vengono agglomerate le tematiche di ricerca, non più per silos. Non c’è più il bando dedicato solo ai trasporti, il bando dedicato solo alle nanotecnologie: i direttorati gestiscono dei dossier che parlano tra di loro in modo molto più dinamico e interattivo, rompono i silos e vedranno direttori scrivere i bandi insieme. Prosperity, che è quello che riguarda la ricerca industriale, non ha dunque come obiettivo in sé la ricerca sui materiali o sull’industria 4.0, ma la finalità ultima della ricerca industriale è quella di creare ‘prosperità’: posti di lavoro, circolazione delle idee, creazione di nuove aziende. Fonte Apre

La ristrutturazione del direttorato generale a guida Paquet ha portato anche un profondo e inedito rimpasto del personale, sia per quanto riguarda il livello dei direttori, sia per quello degli officer. Un rinnovamento per certi versi inatteso nei corridoi comunitari, che ha preso avvio a giugno dello scorso anno e che ha coinvolto oltre un terzo dei 1.463 membri del personale, che hanno cambiato internamente lavoro, con nuove linee di riporto e nuove relazioni con altri organismi della Commissione. Un lavoro preliminare di oltre nove mesi da parte di Paquet, che segna concretamente la svolta culturale che il nuovo Horizon intende promuovere. «Un programma nuovo è basato anche su un modo nuovo di pensare da parte dei direttori», spiega De Sole. Nella nuova configurazione, a rappresentare l’Italia tra i direttori, insediatasi nel 2013, oggi è rimasta solo Maria-Cristina Russo alla cooperazione internazionale, “un minimo storico” chiosa De Sole. All’alba del nuovo programma quadro, è una situazione che probabilmente riflette anche il mutato peso specifico del nostro Paese in sede comunitaria. Non è un mistero che i rappresentanti delle altre nazioni a diversi livelli facciano più sistema all’interno delle istituzioni, dove invece “gli italiani tendono a essere più realisti del re”. In qualche modo questo atteggiamento si riflette anche nella partecipazione della compagine tricolore ai programmi comunitari, che secondo le statistiche ha fino ad oggi avuto più successo nei casi di partnership anziché di leadership dei consorzi. In altre parole, le chance di successo aumentano quando gli attori italiani si agganciano agli altri Paesi. Chissà se invece la configurazione di Horizon Europe potrà dare un rinnovato impulso collaborativo alle realtà del nostro Paese per lavorare in comunione di intenti e ribaltare le tendenze. Per ogni necessità, Apre è pronta a supportarli.

[Ripubblicazione dell’articolo del 18/12/2020]














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