Il vento è cambiato: la strada verso il nucleare è aperta. Parola di Chicco Testa

di Marco de' Francesco ♦︎ Il presidente di Omnisyst non ha dubbi: gli small nuclear reactor arriveranno anche in Italia. L'UE considera l'energia dall'atomo come una componente essenziale per la transizione energetica. E anche l'opinione pubblica inizia a essere favorevole. Rispetto ai classici impianti per il nuke, gli smr permettono di abbattere tempi e costi di costruzione, e sono sicuri. Il tema della neutralità tecnologia per la generazione di energia. E sull'automotive...

Chicco Testa, presidente di Omnisyst

«Arriveranno di sicuro in Italia. È solo questione di tempo» afferma Chicco Testa, il presidente di Omnisyst, l’azienda di governance di rifiuti industriali di recente acquisita dalla società di gestione del risparmio Algebris Green Transition Fund. Il riferimento è agli Smr (Small Module Reactor) reattori nucleari caratterizzati dalle dimensioni ridotte e dalla costruzione modulare: sostanzialmente, centrali “chiavi in mano”, realizzate in serie e assemblate sul posto. Secondo Testa, rispetto a questi modelli «non soltanto si riscontra il favore del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ma anche quello di una più ampia fascia della popolazione, che in passato era ostile al nucleare. Insomma, bisogna prendere atto che qualcosa è cambiato: la strada è aperta».

L’opinione di Testa è importante perché è un esperto sia di questioni energetiche che dei rapporti tra le necessarie infrastrutture e il territorio. Infatti, ha contribuito a fondare Legambiente, di cui è stato segretario nazionale dal 1980 al 1987; ma è anche stato presidente di Enel, dal 1996 al 2002, anni in cui l’azienda è stata parzialmente privatizzata con un’offerta pubblica iniziale di 15 miliardi di euro e con la fondazione di Wind. Sempre in tema di energia, è stato nel consiglio di amministrazione di Acea e di Sorgenia, nonché al vertice del Forum Nazionale Energia Nucleare; in materia ambientale, va aggiunto che è l’attuale presidente di Assoambiente, associazione che raggruppa 500 imprese attive nel settore dell’igiene urbana. Insomma, ha un curriculum che parla da solo. Ma perché sta cambiando l’orientamento dell’opinione pubblica sugli Smr?







Per tanti motivi. C’è la crisi energetica, e l’uomo comune sperimenta di persona gli extra-costi determinati dai consistenti oneri di sistema delle infrastrutture eoliche e solari. E perché ci si è resi conto che il metano e il carbone di certo non saranno sostituiti da queste modalità di green: occorre qualcosa di più efficiente, di più potente, di più continuo. Ma che sia “pratico”. E gli Smr hanno tempi e costi ridotti di costruzione, rispetto al nucleare classico. Alla fine, l’ostacolo più grande poteva venire dall’Unione Europea, che tende, in materia di energia, a perseverare in una sorta di «pianificazione sovietica», che esclude a priori la neutralità tecnologica in vista della decarbonizzazione; ma alla fine, l’inserimento del nucleare nella Tassonomia Europea per la Finanza Sostenibile – dopo un iter lungo e travagliato al Parlamento Europeo – ha senz’altro neutralizzato l’assalto dei parlamentari Eu più eco-fanatici: gli investimenti in energia nucleare possono accedere ai finanziamenti pubblici e privati.

 

D: Quale impatto potrebbe avere il nucleare? Lei pensa che il paese sia maturo per tornare a questa tecnologia?

R: Nel mondo il nucleare è destinato a giocare un ruolo importante, questo è sicuro. D’altra parte, per la stessa Ue l’energia nucleare è un’alternativa a basse emissioni di carbonio rispetto ai combustibili fossili e rappresenta una componente essenziale dell’articolazione energetica di 13 dei 27 Stati membri dell’UE e quasi il 26 % dell’elettricità prodotta nell’Ue. Si pensi che l’Iea stima che la chiusura di impianti nucleari ha contribuito all’aumento delle emissioni per più di 50 milioni di tonnellate. Ora, l’opinione pubblica è cambiata rispetto ai tempi di Chernobyl; e penso che la strada sia aperta.

Smr (Small Module Reactor): reattori nucleari caratterizzati dalle dimensioni ridotte e dalla costruzione modulare. Sostanzialmente, centrali “chiavi in mano”, realizzate in serie e assemblate sul posto. International Atomic Energy Agency

D: Tuttavia, si parla di un modello particolare di nucleare.

R: Sì, ci si riferisce agli Smr. Presentano molti vantaggi rispetto al nucleare tradizionale. Le dimensioni ridotte li rendono adatti a una gamma più ampia di luoghi e applicazioni. La loro natura modulare consente una produzione più standardizzata e semplificata, riducendo potenzialmente i costi e i tempi di costruzione. Contribuiscono alla stabilità della rete elettrica, contrariamente all’eolico e al solare. In genere, includono avanzate caratteristiche di sicurezza, come sistemi di raffreddamento passivi e progettazioni semplificate, mirate a renderli ancora più resistenti in caso di incidente. Inoltre gli investimenti di capitale e l’impatto ambientale sono considerevolmente ridotti rispetto ai modelli classici.

D: Con il Green Deal l’Eu intende ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Secondo Lei è un obiettivo realistico?

R: Gli obiettivi europei, che in Italia trovano una traduzione puntuale nel Pnrr, non sono realizzabili, in termini di emissioni di anidride carbonica né in termini di elettrificazione del sistema energetico. Lo dice la Terna, la società che gestisce la rete delle linee ad alta tensione, che con l’elettrificazione spinta e l’aggancio di milioni di prosumer dovrebbero essere profondamente riviste, peraltro con una spesa molto considerevole. E poi perché, per conseguire il risultato sotto il profilo del parco auto, bisognerebbe immatricolare qualcosa come un milione di veicoli green all’anno, e non 50mila. Ultimamente peraltro la vendita di macchine elettriche in Italia non solo non aumenta, ma diminuisce a due cifre. In fondo, anche questo è un messaggio del mercato. Infine c’è il rischio molto fondato di produrre un incremento degli extra-costi, che si dispiegano poi in fenomeni inflattivi e nella possibile rovina di interi settori industriali. Lo stiamo già sperimentando, con l’addio al gas russo. Il passaggio da una società fondata su fonti continue di energia a basso costo ad un’altra basata su fonti intermittenti e ad altissimo costo di implementazione non può essere privo di conseguenze.

IEA la chiusura di centrali nucleari ha prodotto inquinamento

D: Dunque, cosa occorrerebbe fare?

R: Occorre ragionevolezza, partendo dal dato inconfutabile: l’Europa contribuisce solo per il 6,9 per cento alle emissioni globali; ed è peraltro una percentuale in diminuzione. Si è visto nel 2022: il Vecchio Continente ha determinato una riduzione delle sue emissioni per oltre 100 milioni di tonnellate; ma globalmente, a causa del fatto che agli altri Continenti il tema non interessa minimamente, si è assistito ad un incremento globale di oltre 320 milioni di tonnellate. Un po’ come l’Italia con il Boom economico, ora i Paesi Africani, l’India, la Cina, il Vietnam, le Filippine, l’Indonesia, il Messico, per crescere hanno un fabbisogno energetico imponente; e certo non intendono rinunciare a quel po’ di benessere economico che stanno conseguendo per perseguire cause in cui non credono per niente. Si pensi che la Cina ha quadruplicato il consumo energetico negli ultimi 20 anni; e questo con l’utilizzo delle fonti fossili. E non è cambiato niente: nel corso del 2022, Pechino ha autorizzato la costruzione di impianti a carbone con una capacità totale di 106 gigawatt in 82 diverse località. Questo rappresenta un aumento significativo rispetto all’anno precedente, con una capacità quattro volte superiore a quella approvata nel 2021. In pratica, queste autorizzazioni equivalgono all’avvio di due centrali a carbone di grosse dimensioni ogni settimana. Poi si fanno anche impianti green in Cina, ma un’eventuale riduzione delle emissioni non dipenderebbe dalla contrazione dell’edilizia, che incide sulla produzione di cemento e di metallo. D’altra parte, è molto difficile, con il solo green, sopperire alle esigenze di città di 36 milioni di abitanti, dell’edilizia, della metalmeccanica o dell’acciaieria secondaria. Insomma, l’Europa si è imposta uno sforzo prodigioso, che però produce scarsi effetti. E in Italia in particolare può fa danni.

IEA la transizione green è solo europea e solo dell’industria

D: Qual è a suo giudizio l’industria più a rischio?

R: Quella più a rischio è quella dell’automotive; il che, peraltro, ha dell’incredibile: è il settore più importante dell’industria europea, la spina dorsale del sistema. Si pensi che occupa, fra diretti e indiretti, il 7% dei posti di lavoro dell’Unione; e, secondo l’Acea (l’associazione dei costruttori europei) genera 374,6 miliardi di euro di entrate per gli Stati dell’Eu. Come e perché si sia riusciti a mettere in difficoltà un comparto così strategico, è sinceramente difficile da spiegare.

D: Secondo alcuni studiosi, il grande limite della visione europea è quello di non considerare le differenze fra i vari sistemi energetici, industriali ed economici presenti sul Continente; invece gli stessi obiettivi si possono ottenere con strumenti diversi. Insomma, occorre neutralità tecnologica.

Volkswagen ha deciso di tagliare temporaneamente la produzione di auto green nel sito di Emden in quanto l’attuale domanda di auto elettriche è circa il 30% più bassa delle previsioni

R: In effetti siamo ormai a livelli di pianificazione sovietica. L’Eu non dovrebbe dettare la lista delle tecnologie: bisognerebbe ricorrere a più modelli, non solo ai cinque previsti dalla Commissione. Si pensi, appunto, all’automotive: ci sono i combustibili sintetici e l’euro 7. Il termico ha emissioni dieci volte inferiori, solo a pochi anni fa. Ma si è puntato esclusivamente sull’elettrico: che è una tecnologia dominata dalla Cina, che ha una fabbrica di batterie in Europa, in Ungheria. Alla fine, per loro si tratta di realizzare la scocca, di piazzare qua e là device digitali, e a prezzi minori domineranno il mercato.

D: Da una parte si vuole elettrificare il mondo, partendo dall’automotive, dall’altra si vogliono ridurre i consumi finali. Non è contraddittorio?

R: In realtà non sono degli obiettivi contrastanti. Si può ridurre i consumi finali migliorando l’efficienza dei sistemi: si pensi alla pompa di calore, che è indubbiamente più efficace della vecchia caldaia a gas. Il problema è quello dei costi, che ricadono in tutto o in parte sull’utente finale; che peraltro non capisce perché debba cambiare un device che fino all’altro ieri andava bene a tutti.

D: C’è chi sostiene che in Italia e in Europa si punti ad una sostanziale de-industrializzazione.

La sala di controllo centrale della centrale nucleare. Frammento del pannello di controllo del reattore nucleare

R: Nessuno ha trovato il coraggio di dichiararlo ufficialmente. In alcuni settori è inevitabile: dall’economia di fabbrica si passa a quella dei servizi; ma ci sono alcuni comparti in cui non si può mollare. La delocalizzazione in Cina e in Est Europa ha fatto sì che come Eu generassimo meno anidride carbonica, mettendo però a rischio la nostra economia. Eppure, c’è una parte del pensiero ambientalista che punta sulla decrescita. Il suo contrario, la crescita economica, non è mai presente nei tanti documenti dei partiti, anche del Pd; d’altra parte, le forze politiche italiane sono tutte impegnate nel trarre benefici da operazioni che generano debito pubblico; mentre è solo con la crescita che si può riequilibrare il rapporto tra Pil e debito pubblico.

D: La sorprende che l’export di greggio Usa sia cresciuto così tanto, a 5 milioni di barili al giorno, e che l’Europa sia diventata il primo destinatario, con una media di 1,6 milioni di barili al giorno?

R: Per niente: gli Usa si sono posti il problema dell’indipendenza energetica 15 anni fa, e avevano trovato la soluzione con lo shale oil, un petrolio non convenzionale prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso mediante i processi di pirolisi, idrogenazione o dissoluzione termica; questi convertono la materia organica all’interno della roccia (cherogene) in petrolio e gas sintetico. Le vicende della guerra hanno fatto sì che il mercato europeo, privo del gas russo, si sia aperto a quello liquefatto proveniente dal Nord America.

D: Con il Piano Mattei, si intende fare dell’Italia un hub del metano mediterraneo. A suo giudizio il metano deve continuare ad accompagnare la transizione digitale?

R: Non si potrò fare a meno del gas naturale per molto tempo; la si pensava così anni fa, e in realtà è ancora così. È funzionale alla transizione: i tedeschi hanno definito un progetto per la realizzazione di ben 10 terminali per il gas liquefatto; il primo è stato costruito in meno di 200 giorni a Wilhelmshaven, in Bassa Sassonia; un altro a Lubmin, nel mar Baltico, con una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi all’anno. Altro che abbandonare il gas: si tratta, nel complesso, sostituire i 45 miliardi di metri cubi (bcm) di gas che un tempo provenivano direttamente dalla Russia. Quanto a noi, per fortuna abbiamo una compagnia importante come l’Eni. Ma poi, se si guardano i dati dall’Iea, si capisce che il metano è stato sostituito dal carbone, a livello globale. Altro che green.

IEA calo di emissioni da metano più che compensato da carbone e petrolio

D: Quindi il carbone ha sostituito il metano?

R: Secondo il report dell’Iea (International Energy Agency) relativo al 2022, le riduzioni delle emissioni dal gas naturale sono state più che compensate da quelle dal carbone. Le prime sono diminuite (del 1,6% o di 118 milioni di tonnellate nel 2022; Ndr), poiché l’approvvigionamento di gas era già stretto ed è stato ulteriormente complicato dall’invasione russa dell’Ucraina e dalle ampie interruzioni commerciali che ne sono seguite. Le seconde sono aumentate (di 243 milioni di tonnellate, raggiungendo un nuovo massimo storico di quasi 15,5 gigatonnellate; Ndr). Questo aumento (del 1,6%) è stato più rapido rispetto alla crescita media annuale (dello 0,4%) degli ultimi dieci anni. Anche le emissioni da petrolio sono in aumento.

IEA calo di emissioni da metano più che compensato da carbone e petrolio

D: Anche quelle da petrolio sono aumentate?

R: Sempre per l’Iea, le emissioni provenienti dal petrolio sono aumentate del 2,5% (equivalenti a 268 milioni di tonnellate raggiungendo 11,2 gigatonnellate nel 2022; Ndr). Circa la metà di questo incremento annuale è derivata dall’aviazione, poiché i viaggi aerei hanno continuato a riprendersi dai minimi causati dalla pandemia. Il ritorno ai livelli di emissioni pre-pandemia è stato più rapido nelle economie avanzate, (dove le emissioni legate all’aviazione dello scorso anno hanno raggiunto l’85% dei livelli del 2019, rispetto al 73% nelle economie emergenti e in via di sviluppo; Ndr). Le emissioni totali legate ai trasporti sono aumentate del 2,1% (o 137 milioni di tonnellate; Ndr), anche grazie alla crescita nelle economie avanzate. Sì, insomma, le rinnovabili non hanno sostituito carbone e petrolio.

[Ripubblicazione dell’articolo del 2 novembre 2023]














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1 commento

  1. Ho letto con grane interesse l intervento di Chicco Testa e quello di Stefano Monti presidente di AIN. Qust’ ultimo in particolare fa una analisi molto accurata della fonte nucleare, indispensabile per la transizione energetica in quanto l ‘unica che può assicurare il carico di base, come tutti ben sanno, tranne forse Phoenix Contact, che tra l altro sovrapponendosi continuamente mi ha reso difficoltoso l’accesso alla intervista di Monti.
    Ineccepibile quanto Monti ha detto in particolare sul confronto del footprint di CO2
    di tutte le fonti. Ha solo omesso, o
    forse mi è sfuggito, il confronto sulla occupazione di suolo. Per entrambi questi indicatori il nucleare vince su su tutti per molte incollature o di ben oltre un ordine di grandezza, per dirlo nel linguaggio di un fisico quale io sono. Ho iniziato al CEA in Francia lavorando sulle forze nucleari, ho proseguito con la Dinamica non Lineare applicandondola agli acceleratori di particelle on una collaborazione durata molti anni col CERN e alla fusione magnetica e inerziale. Ho concluso con la Fisica dei sistemi complessi, che amo definire come i sistemi viventi e di vita artificiale, collaborando con un collega immunologo. Ora dedico parte delle mie energie alla alfabetizzazione scientifica su Cambiamenti Climatici e Transizione Energetica.
    Ho ottenuto qualche risultato scientifico significativo, ma ciò di cui vado fiero sono i 22 studenti che hanno fatto il dottorato con me al DIFA di UNIBO e che sono per quasi una metà in laboratori di acceleratori tra cui il CERN, mentre l’altra ha seguito un percorso accademico. Pur non essendo ingegnere nucleare , come molti miei amici, credo di avere qualche competenza in materia e non sopporto posizioni ideologiche prive di fondamento scientifico, come quelle di gruppi pseudi-ambientalisti che con due referendum hanno trascinato l’Italia al nuclear-exit. Da allora in ho poca fiducia nei media e nei politici. Per conclucludere siamo in prossimità di una biforcazione: da una parte il regresso agli albori della civiltà, dall’altra un rientro nell Eden grazie a energia illimitata alla IA che ci affiancheranno dal lavoro fisico e ci apriranno le porte verso l’espansione nel nostro sistema solare nei prossimi secoli e poi ai pianeti abitabili delle stelle più vicine a noi nei prossimi millenni. Sta a noi decidere. Nello scenario peggiore la terra si libererà quasi per intero di un fastidioso parassitaria chiamato homo sapiens. La decisione è nelle nostre mani. I’m a dreamer but I’m not the online one ……. (Imagine di J. Lennon)

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