Invitalia, l’ente statale in bilico tra rilancio e assistenzialismo improduttivo

Analisi di Marco Scotti ♦︎ L’agenzia per lo sviluppo delle imprese italiane guidata da Domenico Arcuri è di fronte a un bivio: supportare tutte le partite industriali in difficoltà, da Whirlpool all’ex-Ilva, o concentrarsi su alcune eccellenze da cui ripartire quando il Coronavirus sarà solo un ricordo. Serve scegliere, in fretta, da che parte stare

Domenico Arcuri, ceo Invitalia

Comunque ci si giri, si percepisce nell’aria una forte intenzione di far tornare lo Stato al centro dell’economia italiana. A poco meno di 20 anni dal definitivo pensionamento dell’Iri – preceduto da una stagione di privatizzazioni che definire riuscita male sarebbe usare un eufemismo – è palese che qualcosa si stia muovendo in quella direzione. Da una parte c’è Cdp, che esiste da 150 anni ma che nell’ultimo lustro – e a maggior ragione ora sotto la guida di Fabrizio Palermo – è entrata in tutte le partite più importanti della nostra economia. Fungendo in diverse occasioni da “mamma” amorevole per aziende decotte che in contesti di mercato più sviluppati sarebbero state lasciate andare, salvaguardando soltanto i dipendenti e aiutandoli a ricollocarsi.

Dall’altra parte, quasi a fare da contraltare, c’è l’Invitalia di Domenico Arcuri il quale ne è amministratore delegato ininterrottamente dal 2007. Si tratta di un ente che, da statuto, deve servire a gestire le agevolazioni dello Stato alle imprese, fornendo supporto tecnico alla pubblica amministrazione. Mentre Cdp gestisce il risparmio postale degli italiani, Invitalia – si legge sul sito dell’ente – “è l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia. Dà impulso alla crescita economica del Paese, punta sui settori strategici per lo sviluppo e l’occupazione, è impegnata nel rilancio delle aree di crisi e opera soprattutto nel Mezzogiorno. Gestisce tutti gli incentivi nazionali che favoriscono la nascita di nuove imprese e le startup innovative. Finanzia i progetti grandi e piccoli, rivolgendosi agli imprenditori con concreti piani di sviluppo, soprattutto nei settori innovativi e ad alto valore aggiunto. Offre servizi alla Pubblica Amministrazione per accelerare la spesa dei fondi comunitari e nazionali e per la valorizzazione dei beni culturali. È Centrale di Committenza e Stazione Appaltante per la realizzazione di interventi strategici sul territorio”.







Ma, come spesso accade in Italia, si ritrova invischiata in una serie di partite che poco hanno a che vedere con la promozione del Made in Italy o con l’attrazione degli investimenti esteri. C’è il gruppo delle “ex”, ad esempio, che vede i suoi esponenti di punta nell’Ilva e in Embraco, che non solo non attraggono investimenti esteri, ma, per ragioni arcinote, rischiano di diventare un enorme peso per la collettività. L’ex-Ilva è ormai una barzelletta di cui nessuno ride più: ArcelorMittal si è comportato da padrone, ma ha dovuto misurarsi con una politica misteriosa quando si è trattato di parlare delle responsabilità penali legati all’inquinamento e alla bonifica delle aree circostanti. La trattativa va avanti, ma se si dovesse arrivare alla rottura, Invitalia si troverebbe con il cerino in mano di dover gestire un’azienda che, soprattutto a Taranto, rappresenta uno degli ultimi esempi di datore unico di lavoro per l’intera città. C’è il tema dell’inquinamento, di una produzione da far ripartire. Ci sono state delle apertura da parte di Mittal che ha garantito che, in caso di stato in minoranza sarebbe disposta a concedere poteri paritetici. Ma siamo nell’alveo delle possibilità e delle proposte.

I lavori iniziati da ArcelorMittal Italia all’ex Ilva di Taranto

L’allora ministro dello Sviluppo Economico, Luigi di Maio, parlava entusiasta dell’accordo raggiunto con Whirlpool per salvaguardare i lavoratori dello stabilimento di Napoli grazie alla mediazione e alla presenza di Invitalia. Eppure, il 31 ottobre la multinazionale americana chiuderà definitivamente i battenti, lasciando a spasso i circa 350 lavoratori dell’impianto. Questo nonostante negli anni siano arrivati oltre 100 milioni di fondi pubblici e, nell’autunno del 2018 (con il governo giallo-verde) siano arrivati accordi precisi con cassa integrazione da una parte e promesse di rilancio della produzione in Italia dall’altro, tagliandola in Polonia. Dove sia la mano di Invitalia in questo suicidio collettivo rimane misterioso.

E questo non perché Arcuri sia incapace di svolgere il suo lavoro, ma perché oggettivamente in questo tipo di trattative diventa veramente difficile riuscire a trovare una soluzione che, rispettosa del libero mercato, tuteli il lavoro senza pesare sulla collettività.

Ma non è tutto da bocciare il ruolo dell’ente: con Iribus, ad esempio, Invitalia ha svolto il ruolo di catalizzatore che le viene richiesto e ha portato all’ingresso di Leonardo e Karsan (gruppo turco) per il rilancio dell’azienda. Ancora: a Piombino gli indiani di Jindal, che erano stati salutati come i salvatori della patria dopo l’addio dei Lucchini, stanno incontrando parecchie difficoltà. E chi potrebbe venire in soccorso di lavoratori e impresa? Ancora Invitalia, che dovrebbe procedere a un rilancio del sito produttivo. E poi c’è Embraco che, insieme alla Wanbao di Mel, può oggi guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più grazie alla realizzazione di un polo unico per la produzione di compressori per frigoriferi.

Chi paga? In cassa, al momento, ci sono 1,2 miliardi, che potrebbero presto diventare insufficienti. Ad agosto, Invitalia era coinvolta in 150 tavoli di crisi, ma è ovvio che con il protrarsi della crisi economica a seguito del Covid non è plausibile immaginare altra traiettoria che non sia quella dell’aumento delle criticità. Non solo, però: l’ente guidato da Domenico Arcuri ha attivato anche un Contratto di Sviluppo, che serve a sostenere gli investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, turistico e di tutela ambientale. La “fiche” minima è di 20 milioni di euro. Solo per attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli si riduce a 7,5 milioni di euro. Al 1° ottobre, tramite questo strumento, sono state finanziate 173 iniziative, con l’attivazione di 6,3 miliardi di euro di risorse e la creazione (o la salvaguardia) di quasi 100mila posti di lavoro.

Roberto Gualtieri, ministro dell’economia e delle finanze

Uno degli ultimi progetti sostenuti è quello di Altergon, azienda farmaceutica avellinese con grande spinta innovativa che ha un magazzino automatizzato intensivo già dal 2013, ha robotizzato i processi di packaging nel 2015 e ha avviato il sistema di tracciamento e riconoscimento tramite Rifid e Sap tra il 2018 e il 2019. L’accordo con Invitalia prevede un investimento di oltre 51 milioni, di cui i due terzi concessi dall’ente guidato da Domenico Arcuri. L’obiettivo è migliorare l’efficienza produttiva e assumere 22 nuovi addetti. Lo scorso anno Invitalia ha siglato un contratto di sviluppo presentato da Avio Aero, grande impresa del gruppo General Electric, e approvato da Invitalia, Agenzia Nazionale per lo sviluppo. L’iniziativa prevede investimenti per 77,8 milioni di euro, di cui 51 destinati alle attività di R&S ed è oggetto di un Accordo di Sviluppo sottoscritto dal Mise e dalle regioni Piemonte, Campania e Puglia. Le agevolazioni massime a fondo perduto, approvate da Invitalia, ammontano infatti a 27,3 milioni di euro: 22,5 milioni messi in campo dal Mise; 1,8 milioni dalla regione Campania (Accordo di Programma Quadro Mise-Regione) e 3 milioni dalla regione Puglia. La regione Piemonte concorre mettendo a disposizione contratti di alta formazione e di ricerca per l’inserimento occupazionale di giovani.

Dunque Invitalia ha un ruolo fondamentale e ben preciso, quello di supportare aziende e processi innovativi, soprattutto del manifatturiero, ad aumentare la competitività in un momento difficile. Garantisce alle aziende la possibilità di accedere ai fondi emergenziali stanziati dal governo e spinge le start-up. Ma allora perché, ogni tanto, ricade in quel vizio un po’ desueto di trovarsi con la patata bollente in mano? Negli anni ’80 la Gepi (Società Per le Gestioni e le Partecipazioni Industriali) uno dei progenitori di Invitalia, si trovò suo malgrado a dover gestire 25mila dipendenti di grandi aziende come Fiat, Montedison e Sir che erano stati messi in cassa integrazione. Se Arcuri e il suo staff riusciranno a non scadere nell’assistenzialismo, ma a traghettare la nostra economia dal momento difficile che sta vivendo verso un nuovo ordine, avranno centrato l’obiettivo. Altrimenti…














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