Digital servitization: per farla bene serve il manager della servitizzazione! Parola di Strategia&Controllo

di Laura Magna ♦︎ Il manifatturiero si sta spostando verso modelli as-a-service: un approccio che offre vantaggi immediati ai produttori di macchinari così come ai loro clienti. Così cresce la fidelizzazione e il business diventa più predicibile. Per guidare questa trasformazione servono dirigenti che abbiano conoscenze in ambito IoT, ma anche in marketing strategico, pianificazione e controllo, finanza. Ed è necessario formare anche la forza vendita. Ne abbiamo discusso con Alessandra Gruppi

La servitizzazione? Una scelta sempre più obbligata per le manifatture – perché fattore di vantaggio competitivo – che richiede però un cambiamento di paradigma: una nuova organizzazione, l’adozione di un modello di business diverso, l’acquisizione di competenze e professionalità inedite (in particolare quella del servitization manager). Nell’era attuale, quella di Industry 4.0, le pmi industriali hanno scoperto le potenzialità di acquistare non la macchina, ma il suo utilizzo o la macchina insieme a tutta una serie di servizi collegati (di manutenzione, per esempio). Ma abbracciare questo cambiamento richiede un nuovo approccio culturale e l’accettazione di un percorso che dura da tre a cinque anni. Sia per chi costruisce la macchina, sia per chi la usa sulla linea. Ne abbiamo parlato con Alessandra Gruppi, presidente di Strategia&Controllo, società di consulenza con sede a Pordenone, presso il Polo Tecnologico Alto Adriatico che è stata la prima a livello europeo a strutturare un percorso di formazione per la figura del manager della servitizzazione. Sul tema la società ha scritto un report molto dettagliato.

«Quello a cui stiamo assistendo è una trasformazione da modelli di business “product-oriented” a modelli “service oriented”, abilitati in particolare dall’introduzione di tecnologie digitali – dice Alessandra Gruppi – Perché vendere un macchinario industriale quando è possibile vendere un servizio che consente di pagare per l’effettivo utilizzo del macchinario?». I vantaggi sono immediati per chi fornisce il servizio e per chi lo noleggia. Chi vende si assicura la fidelizzazione del cliente, l’aumento della conoscenza e la predicibilità del business. Per chi acquista un servizio, invece che un bene/ prodotto, i vantaggi principali sono lo spostamento dell’investimento di capitali da un cespite alla gestione operativa legata all’utilizzo dello stesso (da Capex a Opex), la garanzia della continuità produttiva fornita dal servizio del produttore del macchinario e l’adattabilità di un servizio rispetto alle mutevoli esigenze del business.







«Il cliente si concentra sul suo business e non ha capex ma costi variabili. Se sono un’azienda che usa macchinari per la produzione mi preoccupo di quello che devo produrre anziché del funzionamento del macchinario – dice Gruppi – per chi produce macchine invece, accade che il primo step della digital servitization sia passare dalla manutenzione a chiamata ai contratti ricorrenti, che tipicamente rendono il bilancio più solido e stabile. Il modello di servitizzazione più evoluto è quello in cui non vendo la macchina ma la quantità di utilizzo. E in questo caso i benefici di industry 4.0 si trasferiscono sul produttore delle macchine».

 

Per attuare la digital servitization serve un cambiamento del modello di business

Alessandra Gruppi, ceo di Strategia & Controllo

«Si tratta di un approccio – spiega Gruppi – che in primo luogo modifica i parametri di valutazione della solidità finanziaria dell’azienda: il focus non sono più i beni posseduti, bensì la capacità di generare margine, evitando il rischio di immobilizzazioni di capitali». Per garantire che le potenzialità intrinseche nelle strategie di Digital Servitization si trasformino in maggiori performances economico/finanziarie e in una opportunità di rafforzare il proprio score di sostenibilità, è necessario intervenire sui processi e allineare le strategie di marketing e vendita. Se non si agisce in questo modo «il rischio è di costruire un impianto potenzialmente profittevole e competitivo, ma in seria difficoltà nello “scaricare a terra” il vero valore in termini di business». Servono anche nuove figure professionali in grado dapprima di traghettare l’azienda verso i nuovi modelli di business e dall’altro a presidiare i processi fondamentali che spesso sono proprio l’area dello sviluppo e dell’after sales. «Un manager che necessariamente deve collaborare sia con le tradizionali funzioni aziendali sia con i nuovi attori dell’innovazione 4.0 quali gli Innovation Manager e i Digitalization Manager e, non meno importante, i referenti della Sostenibilità. Per garantire la solidità delle competenze di questi professionisti che possiamo chiamare Servitization Manager esiste oggi anche una Certificazione di Cepas e Bureau Veritas».

 

… e nasce il manager della servitizzazione

Perché questo modello di business sia efficiente è necessario che le aziende produttrici di macchine industriali investano. Innanzitutto in formazione alla forza vendita, che deve essere istruita a vendere un contratto e non una macchina, e nella digitalizzazione. «Nel 2018 ho collaborato come esperto di business innovation in un progetto Europeo, Things+ che era focalizzato nel testare una metodologia adatta a supportare il cambio di paradigma per le pmi manifatturiere da produzione e vendita di prodotti in servitizzazione – dice Gruppi – Il progetto ha portato alla creazione di una nuova figura professionale certificata nelle competenze a livello europeo. Ci siamo così fatti promotori di varie azioni di diffusione informativa www.servitizationmanager.eu e di una serie di corsi di formazione che sono propedeutici alla certificazione stessa. A oggi siamo alla quinta edizione in italiano e stiamo lanciando, a seguito di numerose richieste, la prima edizione anche in inglese destinata al mercato europeo».

Il servitization manager ha competenze che sono quelle tipica di un Mba e serve una conoscenza dell’IoT.  «Credo – dice Gruppi – sia importante una conoscenza delle metodologie del marketing strategico, pianificazione e controllo, finanza e in particolare fintech, project management, industry 4.0 e, infine, da non trascurare le capacità di gestire gruppi creativi e supportare i processi di change management in generale, con competenze di tipo soft (potremmo definirle intelligenza emotiva) fondamentali per entrare in empatia e spostare il focus su cosa effettivamente crea valore per il cliente». Un Servitization Manager nella sua sfida quotidiana in questo momento storico si occupa principalmente della trasformazione culturale delle aziende. «Il suo compito – prosegue Gruppi – va al di là della formulazione di piani di business che spostino l’attenzione dalla vendita del solo prodotto, portando un valore maggiore e continuativo al cliente. Deve anche fare in modo che i silos aziendali vengano abbattuti e che il business model risultante sia realmente il frutto di una collaborazione convinta da parte di tutti i vari dipartimenti aziendali».

Quando il produttore dà in uso il macchinario, fornendo servizi accessori si configura un contratto di servizio e non di vendita: un contratto di servizio che implica la condivisione preventiva di un accordo sull’operatività, sulla programmazione dei fermi macchina

Un cambiamento complessivo 

Ma nessuna consulenza o in generale innovazione di business sarà efficace se in azienda non viene individuato quello che Gruppi definisce “chiodo” della trasformazione. «I cambiamenti e le innovazioni sono infatti trasversali ai vari “silos” aziendali e per scaricare veramente a terra il potenziale di una nuova innovazione strategica come quella permessa dalla digital servitization è fondamentale costruire figure interne in azienda che governino la transizione e poi presidino il processo – spiega la manager – È una trasformazione non semplice, che richiede tempo, ma che è d’altronde necessaria per restare al passo con le richieste dal mercato e per lavorare sugli elementi di vera sostenibilità e non solo di greenwashing che possano assicurare la sopravvivenza delle aziende … e del pianeta».

La servizitizzazione digitale come abilitatore della sostenibilità

Un altro aspetto chiave è il tema della sostenibilità: i macchinari tradizionalmente hanno un sistema di obsolescenza pianificata. Ma nelle strategie di servitizzazione non c’è alcun interesse a fare queste politiche, al contrario. «L’interesse del produttore di macchine è che queste funzionino più a lungo possibile, e se c’è elettronica che nel frattempo evolve sarà lo stesso produttore a sostituirle». Un approccio che strizza l’occhio all’economia circolare, modello volto a utilizzare meno risorse e a recuperarle garantendo una crescita sostenibile nel tempo. «Le strategie di digital servitization sono per loro natura focalizzate sull’intero ciclo di vita. In sintesi, oltre a creare benefici competitivi per le aziende (e quindi il rispetto del Profit) le strategie di servitizzazione possono dare una garanzia che l’impresa è impegnata a soddisfare requisiti ambientali e sociali (Planet e People) e quindi in linea con le richieste degli indicatori Esg e Agenda2030».

La servitizzazione è una scelta sempre più obbligata per le manifatture – perché fattore di vantaggio competitivo – che richiede però un cambiamento di paradigma

Come funziona in pratica la digital servitization

Ma come si integra la fornitura di prodotti con servizi a valore aggiunto per il cliente? Le possibilità sono infinite ma si possono identificare tre casi fondamentali: l’introduzione di servizi a valore, legati alla vendita del prodotto; l’introduzione di servizi contrattualizzati, basati sul ciclo di vita del prodotto e l’introduzione di nuovi modelli di business, basati sull’integrazione nei processi del cliente. In tutte le casistiche si evidenzia la necessità di uno stretto legame tra l’azienda produttrice e i propri clienti e la via via crescente necessità di dati e connettività per la creazione e l’erogazione dei servizi. La servitizzazione consente di sviluppare una strategia di lungo termine, una sorta di intimità con il cliente, quella che gli analisti chiamano «customer intimacy digitale: il produttore di macchinari crea il gemello digitale del cliente, acquisendo informazioni sul comportamento del cliente verso il macchinario che sono fonte per vendere servizi aggiuntivi e per immaginare miglioramenti nel prodotto. Tutti dicono che sia necessario porre il cliente al centro. Con la servitizzazione non solo lo si mette al centro ma lo si sposa. Perché è un modello fonte di innovazione ed efficientamento dei processi, mentre il produttore di macchine conserva la proprietà del bene».

È evidente che per poter acquisire il punto di vista del cliente e poter integrare la proposta di valore c’è bisogno di dati. «Un servitization business model – precisa Gruppi – è quindi necessariamente un business model data-driven. Per poter essere funzionali, i dati devono essere disponibili in tempo reale e per un arco temporale sufficientemente esteso a costruire una storicizzazione statisticamente rilevante. La mole di dati raccolti attraverso i sensori IoT e la capacità di sfruttarli per la gestione del servizio modificheranno gli scenari di up-selling e cross-selling. La capacità di integrare più attori della stessa filiera grazie al digitale nell’innovazione dei modelli di business è oggi uno degli ambiti più interessanti di esplorazione dei modelli di Digital Servitization».

 

Dalle flying hours alla data driven economy

I dati sono ciò che ha consentito alla servitizzazione di diventare digital. C’è una differenza sostanziale tra gli esperimenti pioneristici degli anni ’70 di Rolls Royce che si faceva pagare dai clienti a cui forniva motori per aerei in base alle flying hours dai vettori o da Xerox che prendeva una fee in base alle copie stampate. Qual è la grande differenza? Che in quegli anni la stima delle ore volate – come delle copie effettuate – avveniva in maniera probabilistica, basandosi sulle dichiarazioni del cliente sulle ore volate per i motori, o sul consumo del toner della stampante, nel caso delle fotocopie. Un sistema basato sulla fiducia e molto labour intensive. Oggi invece grazie alla connessione, le ore volate o le stampe effettuate vengono contate in maniera puntuale e automatica dalla macchina stessa, che comunica a casa madre. Questo sistema consente non solo una maggior precisione, ma cambia il paradigma: perché apre nuovi scenari. I dati che dalla macchina vengono inviati al produttore consentono di stabilire interventi di manutenzione programmata – e in tal modo viene eliminato il tema dell’obsolescenza programmata perché il produttore che resta proprietario della macchina ha ogni interesse a garantirne la vita più lunga possibile.

Servitization Manager: i partecipanti della scorsa edizione

Cambiano gli elementi della competizione (ed è un vantaggio per le pmi industriali)

«La servitizzazione – dice Gruppi – diventa dunque una strategia di competizione basata su elementi differenzianti non del prodotto, ma del servizio. Se si producono macchinari, anziché competere sulla meccanica, sul prezzo, sulla funzionalità, sposto il focus sulla bravura dei miei tecnici nel momento della consegna dello stesso macchinario, o sulla modalità di pagamento, o sul servizio di assistenza. Queste strategie esistono da molto tempo: gli esperti di marketing lo sanno bene e utilizzano strategie differenzianti sui servizi perché la competizione solo sul prodotto funziona solo per i colossi, leader di mercato».

Le nostre industrie meccaniche sono invece piccole e seppur eccellenti devono competere su altro. «Ovvero sull’economia dei servizi: in parte già lo fanno, offrendo la possibilità di connettersi a distanza con le macchine che vendono, ma negli ultimi tempi la cosa si è evoluta. Se si hanno problemi di funzionamento, ci si collega a distanza e si possono fare interventi da remoto. La cosa nuova che si sta verificando è che quanto più complessi sono i macchinari, tanto più per l’azienda cliente diventa interessante un modello di offerta da parte del produttore che anziché vendere il macchinario, trasferendo il rischio di funzionamento al cliente, vende il suo utilizzo. Questa cosa si traduce in nuove forme contrattuali conosciute come pay per use», conclude la manager.

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 20 luglio 2022)














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