Confindustria lancia l’allarme: con stop alle industrie a rischio approvvigionamenti

Secondo il Centro Studi della Confederazione, il blocco della fabbriche comprometterebbe la capacità del sistema produttivo di intercettare la ripresa economica che arriverà

Confindustria continua la sua campagna al motto “la produzione industriale deve essere garantita”. Solo in questo modo sarà possibile garantire gli approvvigionamenti necessari per le famiglie italiane, anche a seguito delle difficoltà nei trasporti con l’estero. E, cosa ancor più importante, chiudendo le fabbriche si potrebbe compromettere la capacità del sistema produttivo, superata l’emergenza, di intercettare la ripresa economica che arriverà.

L’industria metalmeccanica costituisce, ad esempio, il cuore pulsante del sistema industriale italiano, è trasversale nella struttura produttiva nazionale e realizza macchinari e beni strumentali che sono necessari all’attività di numerose imprese in svariati settori (non solo industriali). Il comparto metalmeccanico ha un peso rilevante nell’economia italiana: genera infatti il 48% del valore aggiunto manifatturiero (100 miliardi di euro), dà lavoro al 42% degli occupati manifatturieri (circa 1,6 milioni), produce il 48% delle esportazioni italiane (in valore circa 200 miliardi di euro) e il 40% delle importazioni. L’attivo del suo interscambio (60 miliardi di euro) contribuisce al totale riequilibrio della bilancia commerciale italiana, strutturalmente deficitaria nei settori energetico ed agro-alimentare.







Il suo blocco genererebbe effetti diretti e indiretti molto gravi nel sistema produttivo, certamente più ampi di quelli prodotti dall’interruzione dell’attività nel solo settore metalmeccanico poiché inciderebbe sulla continuità della catena di approvvigionamento per svariate aziende. Si consideri che mediamente un giorno lavorativo in meno incide per circa il 3% della produzione mensile; uno stop di 10 giorni avrebbe un impatto negativo immediato, pari a circa un terzo della produzione industriale di marzo. Inoltre, creerebbe una disruption lungo le filiere di fornitura e determinerebbe un ritardo nella consegna degli ordini già ricevuti. Questo aggiungerebbe anche un grave danno reputazionale per le nostre imprese e per l’Italia, con ricadute anche sull’attività futura.














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