I Benetton tentano ancora di tenersi Autostrade! E adesso? Secondo noi dovrebbero essere lasciate ad Atlantia, con l’obbligo di fare tutte le opere di manutenzione (e anche di più) e penali elevate

di Filippo Astone, Chiara Volonté e Marco De Francesco ♦︎ La cronaca dei tentativi di Atlantia di acquisire una posizione favorevole. La nostra opinione sul tema. L'acquisizione di Autostrade sarebbe stata, o sarà, un'operazione ideologica a spese dei cittadini. Pur di "far finta" di averle tolte ai Benetton. Quei fondi si potevano investire, invece, per creare sviluppo economico. Aspi nazionalizzata, come dice anche l'economista liberale Carlo Stagnaro in una intervista che ci ha rilasciato, non sarà più la «gallina dalle uova d’oro» degli ultimi anni: saranno tagliati i pedaggi, i rendimenti a doppia cifra non si vedranno più. Manca inoltre un disegno strategico di sviluppo nell'ambito del quale inquadrare l'operazione

L'ex Ponte Morandi dopo il crollo

Incredibile! Dopo che i BenettonAtlantia avevano ottenuto un vantaggio enorme dal Governo italiano che – pur di fingere di danneggiarli e quindi di punire in qualche modo la mala gestione che ha portato al crollo del Ponte Morandi e alla morte di tante persone, era disposto a comprare la società a buon prezzo e ad accollarsi i futuri lavori e lo svantaggio del calo delle tariffe – adesso tentano ancora o di conservare il controllo della società, o di conseguire posizioni di ulteriore favore. E adesso? La nostra opinione è che la soluzione ideale sarebbe di lasciare le Autostrade ai vecchi proprietari, obbligandoli ai doverosi lavori e a pagare il dazio più alto possibile ai cittadini italiani.

Le alternative possibili, infatti, non sono convenienti, e hanno il solo pregio di accreditare una finzione utile a compiacere l’elettorato meno colto e consapevole. La nazionalizzazione di tradurrebbe in un danno per lo Stato, oltretutto senza nessuna motivazione strategica e nessuna strategia complessiva di sviluppo infrastrutturale e industriale tale da giustificare l’operazione. La revoca della concessione – a causa del groviglio di norme pre-esistenti che ha avvantaggiato in ogni modo la famiglia di Ponzano Veneto – sarebbe troppo rischiosa da attuare, col rischio di contenziosi decennali e che, alla fine, lo Stato abbia un danno economico. Riportiamo una breve cronaca di ciò che sta avvenendo in questi giorni e la valutazione dell’economista liberale Carlo Stagnaro, che avevamo pubblicato a fine luglio e che corrisponde anche al nostro pensiero.







 

La cronaca di quello che sta avvenendo

Paola De Micheli – Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti

Al termine del Consiglio dei Ministri che si è tenuto nella serata di mercoledì 30 settembre, l’esecutivo si è preso altri dieci giorni di tempo per la trattativa. Ma le parti sembrano sempre più lontane, tanto che la ministra dei trasporti De Micheli ha detto che non sarebbe stupita se il governo decidesse per la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. Eppure tutto sembrava chiuso: Cdp a fare da paciere, la nuova società quotata in borsa, Atlantia che avrebbe comunque ricevuto una cifra che le avrebbe permesso di non dichiarare default (si era parlato di una valutazione fino a 13 miliardi, considerata comunque eccessiva da istituzioni e mercato)… Peccato che la trattativa si sia arenata sul tema più spinoso: di chi sono le responsabilità? Nel malaugurato caso di un nuovo Morandi, è lo stato, o la newco capitanata da Cdp a dover rispondere o sarebbe ancora Atlantia? E su questo nodo cruciale si sono arenate le speranze di una trattativa pacifica. Inizialmente, la bozza di accordo tra esecutivo e Atlantia – l’azienda che controlla l’88% di Aspi e che, a sua volta, è controllata dalla Edizione Holding della Famiglia Benetton – prevedeva che si sarebbe avviata la procedura di cessione dei titoli in due tranche, in modo che, prima dell’estate 2021, la questione sarebbe stata risolta.

Ora invece si torna a parlare di revoca e il 14 luglio rischia di diventare una nuova presa della Bastiglia. Il governo, che aveva sempre traccheggiato, ora si muove compatto e parla di revoca. Ma a che prezzo? Atlantia ha emesso una nota piuttosto dura, dopo che a inizio settembre si era rivolta all’Europa denunciando indebite (indebite!!!) pressioni da parte del Governo perché la società cedesse le sue quote in Aspi a Cdp e non le mettesse sul mercato, di fatto generando un regime di monopolio in cui la valutazione sarebbe stata – inevitabilmente – al ribasso. “Non si capiscono le motivazioni di una eventuale revoca – è scritto in un comunicato – che provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro, oltre al blocco degli investimenti. Verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro. Bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto, vista la totale accettazione di tutte le clausole volute dall’esecutivo”. Atlantia, quindi, ieri sera diceva di essere ancora impegnata “per trovare una soluzione equa, ragionevole, di mercato”.

Secondo Aspi “ogni richiesta pervenuta dal Governo nell’ambito delle negoziazioni avviate da luglio 2019, è stata integralmente accettata da Autostrade per l’Italia e Atlantia. È stato anche accettato di cedere il controllo di Aspi. Il Governo ha dunque ottenuto tutto quanto richiesto”. Tradotto, cedere l’88% a Cdp, che, a quel punto, si sarebbe dovuta fare carico di oltre 4 miliardi di euro di interventi di manutenzione, taglio delle tariffe e la realizzazione di alcune opere iniziate ma mai finite come la Gronda di Genova. Totale: 20 miliardi.

 

Il parere di Carlo Stagnaro: la privatizzazione è un’operazione ideologica incomprensibile dal punto di vista razionale

Carlo Stagnaro, economista e direttore dell’Istituto Bruno Leoni

La soluzione della nazionalizzazione, afferma Stagnaro, è incomprensibile da un punto di vista razionale. «La governance non era adeguata? Era “pericolosa”? Ci sono responsabilità per il crollo del Ponte e altri disservizi? Bene, partendo da questo principio, lo Stato avrebbe dovuto imporre il cambiamento della gestione. Invece, abbiamo scoperto che la priorità era un’altra: ci si è concentrati  sulla proprietà». Non fa una piega. Il governo aveva tutti gli strumenti tecnici e legali per agire sull’amministrazione senza accollarsi i costi dell’acquisto e della gestione. E tutto ciò accade in una fase pre-giuridica, quando cioè, non è ancora stata fatta chiarezza relativamente ad eventuali responsabilità civili, penali e amministrative. «Aspi non era soggetta al controllo del ministero dei Trasporti, quanto a manutenzione? Ha prodotto documentazione ingannevole? Sono tutte cose che vanno chiarite nelle sedi opportune».

 

Secondo Stagnaro, anche considerando i soli investimenti non ricorrenti, i soldi destinati all’acquisto di Autostrade potevano essere utilizzati meglio

«Ci sono due grandi ambiti, la Sanità e la Scuola, meritevoli di assoluta attenzione. Anche perché entrambi vanno riorganizzati in funzione anti-Covid19, per renderli più resilienti al verificarsi di disgrazie improvvise». Ma poi, è normale che il Paese che ha spezzettato e venduto l’Iri, il sesto conglomerato industriale del mondo, ad un prezzo di assoluto favore (attuali 17 miliardi di euro) e quasi tutto l’imponente sistema industriale-imprenditoriale-bancario pubblico, che trenta anni fa garantiva un quarto del Pil, alla cifra commovente di 50 miliardi di euro, tiri fuori 4 o 5 miliardi per ricomprare Autostrade? Viviamo nello stesso Paese che negli anni Novanta e nei primi del nuovo secolo ha svenduto se stesso intonando il peana «dagli al boiardo di Stato»?

 

Quando la retorica populistica e i vantaggi elettorali producono danno ai cittadini

Luciano Benetton, uno degli azionisti di riferimento di Edizione Holding, capofila della catena di controllo di Autostrade

Ma allora, perché si è proceduto in questo modo? Stagnaro non ha dubbi: «La quadra dell’altra notte ha un significato politico, quello di colpire i Benetton per far vedere che si è fatta giustizia; e uno ideologico: per i pentastellati le infrastrutture vanno gestite da un soggetto pubblico». E poi, la maggioranza è risicata, e non è da escludere che prima o poi si torni alle urne. Ecco che forze di lotta e di governo – ossessionate dall’auto-rappresentazione del nuovo, e dall’idea della differenziazione dal contesto politico sulla scorta di promesse radicali – sono costrette, magari anche controvoglia, ad indossare la panoplia cerimoniale e a fare mostra di sé sulla scena mediatica. Lo scontro con la realtà non è mai semplice. Talvolta, è razionale tornare indietro, rispetto ad impegni infantili o irrealizzabili: si pensi al referendum sull’euro, alla Tav, al Tap, alla cancellazione dell’immunità parlamentare, al premier scelto dal popolo, ai vaccini, alle dimissioni immediate per gli indagati, e a tante altre parole date e non mantenute. «L’Ilva? Chiude domani». E poi, dopo tutto quello che è successo, un palchetto condiviso dal premier e dai Benetton all’inaugurazione del nuovo Ponte Morandi – che si terrà tra due settimane – sarebbe stata una fatale concessione al realismo politico che i fan di Grillo non avrebbero gradito. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Cose che sono sempre accadute, e che accadranno di nuovo. Forse però i soldi dello Stato, anche in vista del più ingente indebitamento del Paese dai tempi del secondo conflitto mondiale, potevano essere spesi con più cautela.














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