Versalis, una questione di politica industriale (assente)

Impianto Versalis a Ragusa

di Filippo Astone e Luigi dell’Olio ♦ La cessione di Versalis (ex Enichem) da parte di Eni a un gruppo straniero è una pessima notizia per il settore chimico in generale e per l’intero sistema industriale italiano. Colpa di una politica industriale, che in Italia non si vuole perseguire, a differenza di ciò che avviene in Germania, Stati Uniti e in altri Paesi all’avanguardia.

È questione di settimane, al massimo di un paio di mesi. Ma la decisione è stata presa: Versalis sarà venduta, quasi sicuramente a un player straniero. Non appena saranno definiti gli accordi di cessione, la maggiore azienda chimica italiana, appartenente al gruppo Eni, passerà di mano. E questo avverrà proprio nel momento in cui questa impresa (che a lungo era stata in perdita) aveva trovato la via del risanamento e della modernizzazione, acquisendo la maggioranza del capitale di Novamont (guidata da Catia Bastioli), una delle aziende chimiche più innovative al mondo, leader europeo nelle bioplastiche, estremamente redditiva e facendosi contaminare dall’innovativo approccio alla sostenibilità della nuova partecipata. Contaminazione che ha prodotto bioraffinerie e diverse iniziative moderne ed ecostenibili, tali da ribadire la leadership italiana in questo settore, che è tra quelli con le migliori prospettive nella chimica, nell’industria in generale e perfino nella società mondiale. Invece no. Invece all’Eni hanno deciso di non voler sostenere più gli ultimi, indispensabili, ridotti investimenti (come vedremo più avanti, per un colosso come l’Eni si tratta di poco più di niente) che avrebbero permesso di consolidare la leadership italiana in questi ambiti innovativi e redditizi. Hanno deciso di vendere. A uno straniero perlopiù, probabilmente un fondo. Uno straniero che si porterà via questi primati, e il relativo patrimonio di brevetti, posti di lavoro, utili generati. Una decisione sbagliata? Noi pensiamo di sì. Sbagliata dal punto di vista industriale, economico, prospettico. Si dirà: il mercato. Certo, il mercato. Ma se il mercato è libero di fare le sue scelte, noi giornalisti siamo altrettanto liberi di commentarle.







Headquarters di Versalis
Headquarters di Versalis

Gli altri ce l’hanno

Peraltro, oltre a considerazioni di mercato, andrebbero fatte anche considerazioni di politica industriale. Gli altri Paesi avanzati, nostri clienti e competitor, una politica industriale ce l’hanno eccome. La Germania, gli Stati Uniti, la Francia si sono fatti un piano per il futuro, per un futuro migliore, e coerentemente con questo piano fanno investimenti pubblici in ricerca e sviluppo e predispongono percorsi di accompagnamento che – senza forzare il mercato, turbare la concorrenza o praticare un dirigismo economico che oggi sarebbe semplicemente insensato e che nessuno nemmeno osa pensare – sostengono le imprese verso questo futuro. Noi no. Noi preferiamo lasciare che le cose vadano come vogliono. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. “La partita in gioco è il futuro della chimica italiana. Si tratta di capire se questo settore, che guida buona parte dell’innovazione in tutto il mondo, è ancora strategico per il nostro Paese o non più”. Patrizio Bianchi, economista industriale e assessore delle politiche europee e di ricerca per la Regione Emilia-Romagna, commenta così l’operazione sulla società guidata da Daniele Ferrari, che vale circa la metà della produzione biochimica in Italia.

Eni ha deciso di vendere

“Riteniamo che la cessione di Versalis sia uno dei catalizzatori positivi per il titolo”, scrivono con il linguaggio freddo dei report finanziari gli analisti di Equita Sim. Una spiegazione che spiega buona parte delle ragioni che hanno spinto la controllante Eni a vendere. Il Cane a sei zampe, la cui quota di riferimento fa capo allo Stato, soffre in Borsa per la debolezza dei prezzi petroliferi e il suo chief executive officer, Claudio Descalzi, ha da tempo deciso di metterla sul mercato per fare cassa. L’obiettivo è di cedere il 70% del capitale per un controvalore stimato intorno a 1,2 miliardi di euro. Il completamento dell’operazione era atteso già nei mesi scorsi e il prolungarsi delle trattative sta creando parecchio nervosismo intorno al titolo. “Quello che più stupisce è che si ragioni solo in termini finanziari, mentre questa cessione avrebbe un impatto sistemico sull’industria chimica italiana”, commenta Bianchi. “Non si può accettare che la dismissione avvenga a cuor leggero”. Anche perché, aggiungiamo noi, il ragionamento finanziario che è stato fatto, si poggia su elementi di breve termine. Se si valutassero le cose sul medio e sul lungo, forse le decisioni di natura finanziaria, sarebbero diverse.

Claudio Descalzi
Claudio Descalzi

Conti in ordine, ma servono investimenti

La lunga stagione di sofferenza della chimica italiana ha pesato in questi anni sui conti di Versalis, con Eni che nei mesi scorsi ha deciso una svalutazione per 1,58 miliardi di euro, intervenendo per colmare parte con buco con un’iniezione di liquidità nell’ordine di 1,15 miliardi. Se si restringe invece l’analisi solo all’ultimo bilancio, l’azienda chimica ha registrato ricavi per 4,6 miliardi, in calo rispetto ai circa 5 miliardi del 2014, con una perdita di 277 milioni. Un buco che pesa, ma non troppo per un gigante come Eni, che nel 2014 era arrivato a fatturare 109 miliardi di euro. Piuttosto, l’obiettivo del management del gruppo petrolifero guidato da Claudio Descalzi e dell’azionista pubblico (interessato alla performance di Borsa così come agli utili per le ricadute in termini di dividendi) è di evitare di dover nuovamente mettere mano al portafoglio negli anni a venire, investendo all’incirca 1 miliardo di euro nel prossimo quinquennio.

Impianti Versalis a Ferrara
Impianti Versalis a Ferrara

Visioni contrapposte

La prospettiva concreta della cessione sta creando parecchie preoccupazioni sul fronte sindacale, che da tempo ha lanciato l’allarme sul futuro dei 7mila dipendenti. Per i rappresentanti dei lavoratori, l’arrivo di un soggetto finanziario straniero crea forti rischi sul versante occupazionale. Peraltro, in pole per l’acquisto c’è il fondo di private equity Sk Capital, che ha già un discreto track record nel settore, da Aeb (attiva nella produzione di additivi e biotecnologie per l’industria vinicola) ad Achroma (produzione di pigmenti per l’industria tessile), fino a Calabrian (produzione di biossido di zolfo per la depurazione delle acque). Le operazioni d’acquisto nel settore si fanno spesso con ampio ricorso alla leva (soprattutto in una fase di tassi ai minimi come questa), per cui il rischio che Versalis venga caricata di debiti dagli acquirenti è elevata.

Al di là delle ricadute occupazionali, c’è una questione di politica industriale: è ancora strategico per un’economia avanzata come quella italiana disporre di un’industria chimica forte, incentrata su un grande soggetto nazionale e in grado di trainare lo sviluppo di tante piccole e medie imprese?

Un quesito non di poco conto se si considera che buona parte dei grandi cambiamenti in atto nel mercato hanno a che fare con l’intreccio tra chimica, fisica e ingegneria, dai nuovi materiali all’energia, dall’ambiente all’It.

Ambiti che richiedono investimenti enormi, con ricadute spesso solo nel medio-lungo periodo. Sfide tipiche di un Paese che mette al centro la politica industriale.

Versalis, impianto ex Novamont
Versalis, impianto













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