Un tema di enorme rilevanza industriale: dubbi scientifici sulla responsabilità umana (Co2) per il riscaldamento globale

di Marco De' Francesco ♦︎ Intervista a Uberto Crescenti, geologo, tra i promotori della petizione "Non c'è emergenza climatica", firmata da numerosi studiosi (tra cui Franco Prodi). I cambiamenti climatici (già verificatisi molte volte nella storia) sarebbero provocati solo da fattori solari e geologici. Le azioni di contenimento della Co2 intraprese a livello Ue: un effetto pressoché nullo, pur con costi economici e sociali (fra cui il recente aumento dell'energia) enormi. I grandi interessi della speculazione finanziaria

E se i cambiamenti climatici non avessero niente (o molto poco) a che vedere con le emissioni industriali e con l’impatto antropico? E se il clima in passato – al tempo dei Romani, o nel Medioevo – fosse stato più caldo di quello attuale, senza però il verificarsi della fase catastrofica irreversibile associata da taluni al riscaldamento globale? E se l’immane sforzo economico (uno sforzo pieno di rischi per l’economia, l’occupazione e financo per la sostenibilità sociale) per la decarbonizzazione e per la trasformazione green dell’industria, del building, dei trasporti non fosse pienamente giustificato? Se non avesse un solido fondamento scientifico?

Rimanendo nel dibattito italiano, non sarà facile rispondere a queste domande: il gruppo di scienziati aderenti ai report dell’Ipcc (panel intergovernativo sul clima che fa dell’impatto antropico un dogma) non ha accettato la sfida di altri studiosi che non la pensano come loro.







Più precisamente, il 13 agosto i promotori della Petizione Non c’è emergenza climatica” avevano invitato al pubblico confronto scientifico quelli della precedente lettera aperta Appello sul Clima lanciata sulla piattaforma change.org.  Era stato fissato un termine per l’accettazione: fine agosto. È decorso invano.

Secondo i primi – i docenti in diverse materie scientifiche Uberto Crescenti, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi e Nicola Scafetta – alla Petizione hanno aderito 1.200 studiosi di diverse discipline scientifiche, tra cui il premio Nobel per la fisica Ivar Giaever. Per i promotori dell’Appello – i professori e gli scienziati Carlo Barbante, Carlo Carraro, Antonio Navarra, Antonello Pasini e Riccardo Valentini – la lettera aperta ha raccolto 200mila adesioni. Tra queste, ci sarebbero importanti associazioni (Wwf, Libera, Gruppo Abele e tante altre), studiosi, accademici, sportivi, attivisti, alpinisti, attori e tantissimi altri. Va detto che la tesi dell’impatto antropico è quella prevalente, sia nel contesto accademico che nella società in generale.

Fra i firmatari della petizione c’è Ivar Giaever, Nobel per la fisica nel 1973. (Fonte: Wikipedia)

Tuttavia, la Petizione metteva in dubbio le basi dell’Appello – per il quale considerate «le evidenze di aumenti di ondate di calore e siccità, di ritiro dei ghiacciai alpini, di aumento delle ondate di calore marine e, in parte, di aumento degli eventi estremi di precipitazione, appare urgente porre il problema climatico in cima all’agenda politica».  Secondo la Petizione, invece, «l’origine antropica è una congettura non dimostrata», dedotta da modelli «che non sono in grado di riprodurre la variabilità climatica naturale, che però è responsabile di parte del riscaldamento osservato dal 1850».  Pertanto «la responsabilità antropica del cambiamento climatico osservato nell’ultimo secolo è ingiustificatamente esagerata e le previsioni catastrofiche non sono realistiche».

La Petizione è stata ignorata dal mondo scientifico; si sono assunti il compito di stroncarla (anche con toni poco accademici) diversi siti web pasdaran della decarbonizzazione.

Una precisazione. Industria Italiana non dispone di competenze proprie in climatologia o altre materie inerenti al tema. Si occupa di industria e di tecnologie B2b. Si limita a osservare che l’annichilazione del dibattito previa sua riduzione a conflitto bipolare fra “partegrossiani” e “partepiccoliani” di swiftiana memoria non fa bene né alla scienza né alla formazione di una pubblica opinione consapevole. E non aiuta i fatti a emergere. Qualche dubbio, qualche legittima domanda, è sempre utile.

Un’osservazione: se il problema fosse quello delle emissioni, forse si faticherebbe a comprendere il nervosismo italiano. Il Belpaese, infatti, conta per lo 0,8% su scala globale. L’India, invece, ha già quasi raggiunto il livello dell’intera Ue a 27. Tuttavia, se in India non si muore quasi più di fame e se si è formata una classe media, è perché sta puntando su una industrializzazione accelerata e che si nutre – e non potrebbe essere diversamente – esclusivamente di fonti fossili. Ma chi può convincere gli Indiani a tornare nella miseria più nera?

Una bolla finanziaria da 11 mila miliardi di dollari

Una seconda osservazione: i trend che portano alla decarbonizzazione e alla transizione green non sono sostenuti soltanto da ambientalisti. La speculazione finanziaria ha creato sul tema interessi giganteschi, tanto che qualcuno ha parlato di una vera e propria bolla. I titoli Esg (acronimo di enviromental, social e governance, ma quello che sostanzialmente produce maggiori conseguenze è l’enviromental, dove la decarbonizzazione è determinante) nel 2021 avevano raccolto (secondo l’Institute of International Finance) l’incredibile cifra di 11mila miliardi di dollari a livello globale – circa due terzi del Pil dell’Eu e quasi un dodicesimo dell’intero capitale di bond esistente a questo mondo. Nasdaq enumera 1.161 emettitori per 10.432 titoli in 75 Paesi. Peraltro, sono operativi più di 400 fra fondi e Exchange traded fund (Etf) debitamente low carbon, climate conscious e green bond; quelli europei sono più della metà, 282. Tutti i mercati finanziari mondiali, poi, hanno definito indici di rating basati sugli Esg: come il Dow Jones Sustainability Index, come l’indice FTSE4Good (che è in comproprietà con la Borsa di Londra e il Financial Times); e poi ci sono i dati Esg di Bloomberg, gli Indici Msci Esg e i benchmark Gresb.

Trading evolution degli Esg nei mercati a reddito fisso secondo Borsa Italiana

Solo che le cose non stanno andando secondo le previsioni di analisti e investitori. Lo scenario è cambiato con la crisi energetica. Si è scoperto che senza idrocarburi il mondo, attualmente, non può funzionare. Ed è emerso che il green ha costi così elevati da essere sostanzialmente insostenibili. Ad esempio, secondo un recente studio di Ambrosetti, la decarbonizzazione totale al 2050 in Italia implicherebbe finanziamenti per almeno 3,3 trilioni di euro. Pro-memoria: 1 trilione=mille miliardi. Il timore è che il duro scontro con la realtà faccia precipitare l’investimento sostenibile, creando un enorme pasticcio. Così, il “primo green bond italiano” – il Btp Green con cedola a 1,5% – è passato in un anno da 100 a 62,89. A livello globale, nel primo trimestre di quest’anno le emissioni di bond Esg a livello globale sono calate in via tendenziale del 35%; e il valore complessivo del segmento ha perso il 13%. Successive emissioni sono andate meglio, ma al di sotto delle aspettative degli investitori.

Ma poi, i green-entusiasti della finanza ci credevano veramente? Ad esempio, il Larry Fink di gennaio – il Ceo di BlackRock, quello che scriveva nella lettera agli amministratori delegati di tutto il mondo che senza l’investimento green per loro sarebbero state cavallette e terremoti imprenditoriali – beh, non c’è più. Ora c’è un altro Larry  Fink, che se la cava dicendo che gli «investors are not the enviromental police». Quanto a Carlyle, sull’impact review 2021 si leggeva: «We’re proud to be an early adopter of integrating environmental and social considerations into financing arrangements». Se poi il Ceo Kewsong Lee non si fosse fatto sfuggire al Financial Times che il green può attendere perché il mondo in crisi e in particolare la guerra in Ucraina «presenteranno all’azienda molte opportunità di investimento», forse – chi lo sa? – sarebbe ancora amministratore delegato. Si è dimesso un mese fa.

L’attivista Greta Thunberg (Fonte: Wikipedia)

Questi colossali interessi finanziari hanno offerto alla politica un argomento edificante da spendere, utile per conquistare consensi facendo dimenticare argomenti seri e più difficili da risolvere, come (se vogliamo rimanere sul terreno ambientale) i terremoti e il dissesto idrogeologico. O, su altri terreni, la disoccupazione, la caduta dei salari, l’aumento della povertà, le iniquità del sistema giudiziario. Portabandiera di tutto ciò, la probabilmente inconsapevole attivista minorenne Greta Thunberg, che ha condotto campagne di impatto globale, mobilitando decine di milioni di persone, soprattutto giovani. E senza mai rivelare le fonti di finanziamento della Fondazione che ne organizza le attività, fonti ancora oggi avvolte nel mistero più totale, senza che nessuno mai sollevi il problema.

Fatte queste precisazioni, riportiamo la nostra intervista al primo firmatario della Petizione, Uberto Crescenti, professore emerito di geologia applicata, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara, già Rettore del suo ateneo nonché Presidente della Società Geologica Italiana.

D. Alcuni studiosi vicini alla Petizione sostengono che al tempo dei Romani il clima fosse più caldo di adesso. È vero?

R. Ci sono prove inconfutabili che l’area mediterranea e europea in generale fosse più calda di 3 gradi centigradi, nell’Optimum climatico romano (250 a.C. – 400 d.C.). Lo si apprende, ad esempio, dallo studio sui foraminiferi, protozoi marini sia bentonici che planctonici. Registrano il clima, grazie al rapporto tra gli isotopi dell’ossigeno (O18-O16). D’altra parte, l’impresa di Annibale non sarebbe stata possibile con i ghiacci sui passi alpini. Sempre per i Romani, la Germania non era il luogo dei ghiacci e della neve, quanto quello delle paludi e di oscure e sconfinate foreste. Ancora più interessante, secondo me, è il periodo caldo medievale.

D: Il periodo caldo medioevale?

Il lavoro di Umberto Monterin

R: Ancora nel 1937, il grande geomorfologo e glaciologo Umberto Monterin aveva pubblicato sul XV Bollettino del Comitato Nazionale per la Geografia (Cnr) un articolo che avrebbe contribuito alla sua fama mondiale: “Il Clima delle Alpi ha variato in epoca storica?”. Che cosa si diceva in questo lavoro? Ad esempio, si portavano prove inconfutabili e granitiche sul fatto che nel periodo caldo medievale (Pcm, o optimum climatico medievale; dal IX al XIV secolo; Ndr) il pino cembro e altri alberi si trovavano anche 200 metri sopra l’attuale limite superiore del bosco; dall’altra si faceva presente, tra l’altro, che nel 1100 e nel 1200 il colle del Teodulo (3.322 metri sul livello del mare) fu uno dei più importanti e più frequentati valichi fra la Valle D’Aosta e il Vallese, specialmente per il commercio del bestiame, tanto che, scrive Monterin, «secondo la tradizione un tempo era cosa tutt’altro che rara vedere transitare carovane intere di 25-30 muli». In realtà, nel lavoro di Monterin sono citate moltissime prove sul fatto che a quel tempo la temperatura era più alta di quella attuale, a mio avviso anche di due o tre gradi centigradi. Anche grazie a questo articolo, Monterin è considerato il vero iniziatore in campo internazionale della climatologia storica. Ci sono poi tanti studi di grande pregio scientifico, relative ad altre parti del mondo, che vanno nella stessa direzione. Faceva più caldo. D’altra parte, la saga dei Vichinghi altrimenti non si spiega: pensi alle colonie groenlandesi. Tuttavia, l’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, che fa dell’impatto antropico sul riscaldamento globale un dogma, ha di fatto cancellato la verità storica del Pcm, declassandolo a fenomeno locale.

D: E perché l’Ipcc ha declassato il periodo caldo medievale?

R: Perché ha sempre detto che se la temperatura aumentasse più di due gradi rispetto all’attuale, ci sarebbero conseguenze devastanti e irreversibili, tipo lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia o altre amenità; e in pianura padana ci si sposterebbe in gommone. In realtà periodi più caldi dell’attuale si sono già manifestati: i ghiacciai si sono ritirati, ma non si è sciolta la Groenlandia, e neppure l’Antartide. La catastrofe non si è verificata. Comunque si è fatto presto: i periodi caldi sono stati cancellati e si presenta l’andamento della temperatura negli ultimi duemila anni con un contestatissimo grafico a forma di mazza da hockey: una linea orizzontale quasi dritta per diciannove secoli fino ai tempi nostri, quando all’improvviso schizza in alto come una torre. A mio avviso è, nel migliore dei casi, frutto di un insieme clamoroso di errori; ma intanto quell’immagine è pubblicata da tutti i giornali, fomentando il terrore.

La contestata mazza da hockey della variazione climatica elaborata da Micheal E. Mann

D: Ma l’Ipcc è un insieme di scienziati?

R: L’Ipcc è un panel di 195 governi membri. Ciascun membro designa un punto focale nazionale. Nel caso in cui un Paese non lo abbia individuato, tutta la corrispondenza dell’Ipcc è diretta ai ministeri degli Affari Esteri. Gli autori e i redattori di recensioni sono selezionati da task force dell’Ipcc; ma devono fare domanda e inviare il curriculum ai governi. Insomma, a mio avviso è difficile negare un lato “politico” dell’Ipcc.

D: Poi è arrivato il grande freddo. Nel 1605 la tradizionale partita di calcio storico si tiene sull’Arno ghiacciato. La Toscana come lo Yukon.

Napoleone alla Beresina

R: Sì: è la piccola età glaciale (Peg, dal 1303 al 1850; Ndr). Gela anche la laguna di Venezia, e si pattina sul Tamigi e in Olanda. I ghiacciai si espandono. Gli effetti di questo clima freddo si fanno sentire in tutto il mondo: in Africa, in Asia, dappertutto. Ci sono giornate gelide: si pensi che nella ritirata della Grande Armée, dopo la Beresina ed esattamente il 6 dicembre 1812, si registrano – 30 gradi Réaumur, e cioè – 38 gradi Celsius. Ben al di sotto della temperatura minima media della zona.

D: Questa fase fredda si interrompe a metà dell’Ottocento. Quale influenza ha avuto l’attività antropica nel cambiamento di fase?

R: Nessuna. Si pensi che la produzione industriale nel 1850 era centinaia di volte inferiore a quella attuale. L’impatto antropico sul clima era nullo, su scala globale. Oggi ci sono singole acciaierie nel Bresciano che realizzano da sole tutto il metallo prodotto dall’Impero Britannico a quell’epoca. Eppure una fase si è chiusa, e se ne è aperta un’altra.

D: La domanda è: perché ciò è accaduto?

R: In realtà nessuno può affermarlo con certezza. Probabilmente si tratta della combinazione di più fattori: ad esempio la variazione dei flussi energetici solari, le condizioni astronomiche e l’attività della Terra.  É un meccanismo complesso, che riguarda anche le correnti marine e quelle atmosferiche. Nel maggio 2009 il noto geologo Enrico Bonatti, che ha insegnato a Yale e che ha vinto il Premio Shepard per l’eccellenza in geologia marina dall’American Geological Society, ha pubblicato un articolo su Le Scienze. Si intitolava “Tutti guardano al sole, ma la colpa del riscaldamento globale è anche sottoterra”.  Si pensi all’emissione di magma lungo 60mila km di dorsali oceaniche. Ripeto: 60mila km! Si pensi al sottoscorrimento delle placche più pesanti, che a 700 km di profondità fondono e determinano la risalita in superficie di magma che origina diffusi fenomeni vulcanici. Si pensi alla cosiddetta cintura di fuoco del Pacifico occidentale estesa per circa 40 mila km con grandi emissioni di calore.  Tutte cose che l’Ipcc ignora: per questo ente la fabbrichetta del Vicentino è determinante, mentre le dorsali oceaniche no.

D: Però dal Duemila si assiste ad una accelerazione nell’aumento delle temperature. Tanti puntano l’indice contro le emissioni.

Il Periodo Caldo Romano nel Mar Mediterraneo. Pet lo studio di Margaritelli, Cacho, Català, Pelosi e Lirer – Grc, Ismar, Cnr – il mare era 2 gradi più caldo

R: È una delle menzogne scientifiche più grandi della Storia, quella dell’impatto antropico determinante sul cambiamento climatico. Si dice: l’incidenza della Co2 è passata da 280 parti su milione della fine dell’Ottocento a quota 420 parti su milione di oggi. Ebbene? Non c’è correlazione tra l’aumento della CO2 e l’andamento della Temperatura. Infatti mentre la CO2 è sempre aumentata dal 1880 ad oggi, la temperatura è modificata autonomamente. In particolare tra il 1940 ed il 1970 c’è stata una flessione della temperatura come pure dopo il 1998. Inoltre le analisi delle temperature registrate nella stazione metereologica del Passo S. Bernardo dal 1820 hanno evidenziato il succedersi di 11 fasi climatiche, con l’alternarsi di fasi calde e fasi fredde (pubblicazione della glaciologa Augusta Vittoria Cerutti) documentate anche da fasi di ritiro e fasi di estensione dei ghiacciai. Se la temperatura fosse controllata dalla CO2 non si possono spiegare tali variazioni. Evidentemente altre sono le cause dei cambiamenti climatici, prima di tutto l’attività solare, e poi cause astronomiche di difficile valutazione. Ma poi, volete mettere queste sciocchezze con l’immane energia liberata dalle dorsali oceaniche? Ma per carità. Solo chi non conosce la Terra in quanto gigantesco essere vivente, con una sua “fisiologia”, può affermarlo. Ma in Tv sono invitati solo i cantori del terrore.

D: L’Europa, però, ha preso seri provvedimenti contro le emissioni.

R: Nel 2020 l’Europa a 27 ha emesso 2,6 miliardi di tonnellate di Co2, contro i 10 miliardi della Cina, i 4,7 degli Usa, i 2,4 (ma è il subcontinente in forte crescita) dell’India e i 14,3 del resto del mondo. Insomma, l’Europa incide per il 13%. L’Italia per lo 0,8%. Ammesso che serva a qualcosa, non si salva il mondo abbattendo la Co2 nel Vecchio Continente o in Italia. Soprattutto se il resto del mondo se la prende comoda. È pura propaganda. E poi, la posizione europea sta già producendo dei danni.

D: Quali danni?

R: La grave crisi economica che stiamo vivendo, con particolare riferimento al costo dell’energia, probabilmente solo accentuata dalla pandemia e dalla sciagurata guerra tra la Russia e l’Ucraina, rappresenta il benchmark dei primi gravi effetti delle decisioni assunte con il Green Deal dall’UE, accettate senza un razionale confronto scientifico dal nostro Paese.

D: I giovani protestano per le piazze: pensano che le misure per il taglio delle emissioni siano ostacolate da interessi finanziari.

R: I giovani forse non sanno che la finanza mondiale è apertamente schierata con le tesi dell’impatto antropico. Ormai si è affermato il mercato mondiale della CO2, con enormi fondi che circolano e sono gestiti dall’alta finanza. Ma immaginate se la teoria del terrore climatico fosse confutata, e l’esigenza della transizione fosse percepita come meno impellente? Quanto ai giovani, cosa si può pretendere da loro, dopo decenni di lavaggio del cervello?

Una selezione di titoli catastrofisti reperibile in un articolo di Crescenti su Meteoweb

D: Ma che importa alla finanza del green?

R: Come che importa? È l’oro verde. O almeno, lo si pensava sino a qualche mese fa.

D: Però i governi di mezzo mondo sono allineati con la tesi – diciamo così – dell’assoluta urgenza climatica.

R: La finanza ha offerto alla politica un argomento facilmente spendibile ed edificante. Chi non vorrebbe stare dalla parte dei salvatori del pianeta? Alla fine, non è importante che tutto ciò abbia un qualche fondamento scientifico. Le cose si aggiustano, in vista di un obiettivo comune. Peraltro, ciò consente alla politica di evitare di impegnarsi in cose serie. Si pensi ai terremoti: nello scorso secolo, tre milioni di persone sono morte nel mondo a causa di eventi sismici; in Italia, più di 100mila, considerando solo Messina ed Avezzano. Ci sarebbe tanto da fare per mettere in sicurezza il Paese.

D: Voi “anti-catastrofisti” avete sfidato gli scienziati dell’Appello alla disfida (scientifica).

R: Il nostro documento anti-catastrofista era stato inoltrato tre anni fa alle autorità politiche. Nella petizione spiegavamo alcuni concetti base: gli incrementi di temperatura attuali non sono diversi da quelli sperimentati in altre epoche; non si possono abolire gli idrocarburi, che garantiscono energia a buon mercato all’85% dell’umanità. Si rischia di impoverire il mondo.

D: Com’è andata?

R: Il Presidente della Repubblica ci ha fatto sapere di non avere tempo per noi; poi, l’ha trovato per Greta Thunberg, che certamente non è un’esperta di clima. Si voleva poi presentare la petizione all’Accademia dei Lincei, dati e ricerche alla mano; ma il convegno è stato annullato. Si cerca a tutti i costi di evitare il dibattito, che è poi un momento fondamentale per la formazione del pensiero scientifico. Per questo, il 13 agosto abbiamo invitato i promotori dell’Appello sul Clima al confronto pubblico.

D: Cos’hanno risposto?

R: Non hanno risposto. È facile andare in Tv a ripetere quattro frasette; il confronto scientifico è un’altra cosa, perché comporta l’esibizione di prove. Inoltre, penso cha abbia dato molto fastidio il fatto che i sottoscrittori della Petizione abbiano un alto profilo come studiosi e ricercatori.

D: Per alcuni giornali siete ormai i “negazionisti del cambiamento climatico”.

R: È la criminalizzazione dell’avversario. Ad un certo punto, non sei più uno studioso, uno che ha dedicato la sua vita alla verità provata della scienza; sei un negazionista, con la stessa accezione utilizzata per chi nega l’Olocausto. Eppure noi chiediamo il confronto: se la teoria dell’impatto antropico è una realtà autoevidente, che problema c’è? E invece, tutti coloro che l’hanno messa in dubbio, sono stati allontanati dai media: da Antonino Zichichi al premio Nobel Carlo Rubbia. Tutto questo non è normale. Tuttavia, è nostro dovere di docenti universitari segnalare queste gravi anomalie. E questo lo faremo in futuro senza soluzione di continuità. La grave assenza di un dibattito, plurimo, libero e senza tesi precostituite è quasi trascurata dal sistema di informazione. Questo è motivo di forte preoccupazione per le sorti della democrazia.














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