Tutto quello che c’è da sapere sull’Intelligenza Artificiale e che ancora non si dice

di Filippo Astone * ♦Per Luciano Floridi – filosofo di Oxford, tra i massimi esperti mondiali – la rappresentazione dell’ I.A. che anima le discussioni sul futuro dell’ umanità e dell’ economia risente di un assurdo pregiudizio da parte della politica e dei media. Ma le conseguenze del suo utilizzo massificato nella società e nell’industria saranno largamente positive. E allora basta con i luoghi comuni insensati!

«Basta parlare di Intelligenza Artificiale come se fosse qualcosa che entrerà nelle nostre vite in futuro. L’Intelligenza Artificiale è già parte integrante della nostra quotidianità. Inoltre tutti continuano a concentrarsi sull’IA come se fosse un pericolo costante per la nostra società. Eppure creerà valore economico, e quindi lavoro. E migliorerà la qualità della vita. Da questo punto di vista dobbiamo prendere spunto dal mondo industriale, dove la robotica ha avuto un impatto significativo fin dagli anni Sessanta del secolo scorso. Oggi la transizione non riguarda più tanto la sostituzione dell’essere umano, ma l’impiego dei dati in maniera totalmente diversa.»

«L’Europa così com’è deve iniziare a fare fronte comune sul tema delle ineguaglianze, per evitare che si creino disparità di ricchezza tra i cittadini e di trattamento nei confronti delle grandi aziende del digitale che sono ormai di dimensioni stratosferiche». Luciano Floridi, professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford presso l’Oxford Internet Institute, dove dirige il Digital Ethics Lab, racconta in un’ampia intervista con Industria Italiana perché la rappresentazione dell’Intelligenza Artificiale come nemica dell’uomo sia fake. E faccia danni. L’intervista che state per leggere (prima di due, la seconda verrà pubblicata nelle prossime settimane) è stata una vera soddisfazione per noi. Su Intelligenza Artificiale e Robot sono anni che sentiamo ripetere luoghi comuni allarmistici e caratterizzati da estrema stupidità da parte di chi li scrive, a cominciare da colleghi giornalisti che lavorano in testate importanti. Prevale l’allarmismo, perché così è più facile attirare l’attenzione di lettori e spettatori. E perché chi esprime queste sciocche preoccupazioni è impreparato e incompetente. Ma l’allarmismo fa grandi danni. Noi dovremmo mettere tutte le nostre energie di sistema Paese e di ecosistema industriale per cavalcare queste nuove tecnologie, investendo al massimo possibile. Così si potrebbe recuperare la competitività perduta, creare ricchezza e posti di lavoro, aumentare la cultura. Invece, ancora si perde tempo con dubbi e paure di infimo livello. Ma lasciamo parlare Floridi.







 

Luciano Floridi interviene all ‘Ibm Think di Milano, lo scorso anno

 

D. Professor Floridi, mi piacerebbe iniziare dai luoghi comuni sbagliati sull’Intelligenza Artificiale. A mio parere, creerà valore economico e quindi anche lavoro. Invece si tende ad adottare una visione spettacolarizzata e negativa del tema con macchine che somigliano a Terminator. E a concentrarsi sugli aspetti apparentemente negativi. Così si cattura più attenzione da parte del pubblico, più lettori, più clic. Ma si distorce la realtà e si creano tanti danni…

R. Questo modo di rappresentare l’Intelligenza Artificiale non aiuta di certo a favorire la transizione che stiamo vivendo. Si narrano scenari apocalittici in cui l’umanità sarà distrutta dalle macchine per distrarre la collettività dai problemi seri che ci sono e ci saranno con l’incremento massiccio delle tecnologie. Abbiamo paura dell’incerto e questo è molto grave. Ad esempio, nel settore della sanità potremmo già oggi fare cose molto buone con sistemi di Intelligenza Artificiale che consentirebbero di ridurre sofferenza umana. Ma non le mettiamo in atto. Questa è una cosa gravissima che va addebitata alla politica e ai media.

Io sono nel gruppo della Commissione Europea sul progetto per l’Intelligenza Artificiale e sto combattendo una battaglia, che sto perdendo, per evitare che si inseriscano scenari apocalittici in questo documento. Il documento è disponibile online nella prima versione: chi lo consulta troverà scenari apocalittici che vengono indicati come possibili e si sostiene che la Commissione Europea combatterà affinché non si verifichino. Ma se noi, per ipotesi, sostenessimo che la Commissione Europea farà qualunque cosa pur di evitare la diffusione di un’epidemia di zombie, l’uomo qualunque non è proprio tranquillo. E si dice, nella sua testa “ma allora gli zombie esistono e sono possibili”. Invece è semplicemente una sciocchezza. Il documento finale  è migliorato, ma continua a fare confusione tra possibile (si immagini: vincerò sempre qualsiasi lotteria alla quale partecipo) e plausibile (non succederà mai).

 

Bisogno di supporto per aggiornare le competenze ed essere maggiormente pronti all’AI. Dalla ricerca Microsoft “Business leaders in the age of AI”

 

D. Proviamo a immaginare il futuro tra 5, 10 e perfino 20 anni: che ruolo avrà l’Intelligenza Artificiale? Quando diverrà un fenomeno largamente presente nella nostra società e nella nostra economia, insomma un fenomeno di massa?

R. In parte è già un fenomeno di massa, basta pensare alla tecnologia che usiamo tutti i giorni. Durante le conferenze, ad esempio, appare evidente che le persone si figurano l’Intelligenza Artificiale come una sorta di androide che arriva, un po’ come in Guerre Stellari. Niente di più lontano. Se usiamo Netflix per vedere una serie tv, Amazon per fare degli acquisti, un qualsiasi motore di ricerca. E perfino se scattiamo una foto con il cellulare, dietro ci sono spesso applicazioni dell’Intelligenza Artificiale.

 

L’Intelligenza Artificiale tra noi: Netflix quando suggerisce cosa vedere

 

 

D. A volte però questi software non sembrano essere così intelligenti. Ad esempio, io ho Netflix e spesso mi consiglia di vedere serie tv che ho già guardato…

R. Si tratta solo di sistemi che apprendono dalle sue scelte, le raffinano a mano che, per esempio, vediamo dei video. Ma questo non significa che non commettano sciocchezze. Tant’è che noi la chiamiamo “intelligenza” ma non è poi tanto intelligenza. È in realtà un sistema che guarda al pattern dei dati acquisiti e cerca di anticipare le scelte che l’utente potrebbe compiere al giro successivo. Prendiamo le automobili: già oggi ci sono sistemi di frenata assistita e di ausilio al parcheggio. Questo dà l’idea di dove andremo in futuro. Ma i prossimi anni io non li vedo come quelli in cui si completerà l’interazione tra uomo e ai, ma un luogo in cui l’Intelligenza Artificiale rimarrà dietro le quinte per aiutarci a svolgere quello che facciamo in maniera più efficace (meglio) e efficiente (a minor costo).

 

Floridi: “l’Intelligenza Artificiale è un software un po’ “speciale”

D. In fondo non si tratta che di software, anche se di “super software”. Perché chiamarli Intelligenza Artificiale suscitando inquietudini magari un po’ superflue..?

R. L’Intelligenza Artificiale è un software un po’ “speciale”. Partiamo da un assunto: i software gestiscono i dati, tutti. La differenza sta nel modo in cui questi dati vengono gestiti. Se si impiega un network di rete neurale che è in grado di acquisire informazioni, lavorarle e cambiare il suo comportamento fino a quando non raggiunge il fine voluto, allora siamo di fronte all’Intelligenza Artificiale. C’è quindi una differenza fondamentale: il software che io utilizzo per scrivere qualche cosa non apprende dallo scrivere, mentre l’Intelligenza Artificiale, apprendendo dai dati, controlla il suo comportamento, e se non lo trova adeguato lo modifica cercando di migliorarlo. Insomma, l’Intelligenza Artificiale apprende e ha alcuni meccanismi di funzionamento che emulano (fanno come) ma non imitano (sono come) l’intelligenza umana.

D. Passiamo all’ambito di applicazione per noi di Industria Italiana più rilevante, ovvero l’industria: a che punto siamo nell’integrazione tra software e manifattura?

R. Il mondo industriale ci può insegnare molto, non fosse altro che per le sue esperienze passate. Se guardiamo, ad esempio, all’automotive e all’impatto che la robotica ha avuto sulla produzione dagli anni Sessanta in poi – Fiat inclusa – possiamo avere un’idea precisa di che cosa è successo. La lezione più importante che ho imparato è che sbaglia chi sostiene che abbiamo costruito robot allora o oggi creando degli automi che vanno in giro per il mondo e che sono in grado di operare con successo in autonomia, magari anche meglio di noi. No, noi umani costruiamo mondi intorno a loro in modo che operino con successo. Anche in futuro, quindi, la sfida sarà di tramutare l’ambiente in un ambiente amichevole: ad esempio, nella partita sull’auto a guida autonoma. Ma non mi immagino certo veicoli in grado di andare in giro con qualsiasi tipo di meteo, senza segnaletica, senza alcun controllo.

 

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L’Intelligenza Artificiale su strada: l’auto a guida autonoma di Google

 

D. Qualcosa del genere sarebbe più utile allora nel trasporto pubblico, dove la guida autonoma e i big data permetterebbero di creare un servizio veramente a misura di cittadino…

R. Certamente: l’automazione, l’efficienza e l’efficacia consentono di risparmiare risorse. In quello specifico comparto la sfida è forte così come la necessità. Avverrà a breve – se già non è avvenuto – che circolino su percorsi preordinati autobus a guida autonoma. Molto più difficile, invece, prevedere questi servizi fuori dai centri urbani. Lì la sostituzione della componente urbana sarà molto più complicata. Tornando al mondo industriale, credo che il ruolo dell’Intelligenza Artificiale consentirà di trasformare il paradigma stesso della manifattura: già oggi è impossibile essere competitivi sul mercato senza fare utilizzo del digitale in senso lato e dell’Intelligenza Artificiale nello specifico. A Berlino ho avuto modo di incontrare il ceo di Airbus che ha spiegato come negli ultimi tre anni l’azienda da lui guidata abbia realizzato una transizione per diventare un soggetto a base di dati. Senza entrare in scenari fantascientifici, oggi le pmi hanno la possibilità di avere accesso a risorse di tipo computazionale, banche dati, Intelligenza Artificiale, software che danno loro la competitività necessaria sul mercato. Oggi l’idea che si debba per forza essere dei colossi per avere successo è ormai vetusta.

D. D’altronde, uno dei vantaggi della digitalizzazione è che abbassa le barriere in termini di massa critica…

R. Esatto, e quindi quando penso al successo posso immaginare anche realtà con poche persone e grande capacità innovativa. Nel nostro Paese, se riuscissimo a entrare davvero in una logica di adozione di Intelligenza Artificiale, e del digitale più ampiamente inteso, creeremmo una grande novità rispetto al passato, con un notevole impatto positivo in termini sociali, economici e culturali. È passato molto tempo dall’era di Olivetti, quando l’Italia era avanguardia.

D. Però poi torniamo sempre lì: la tecnologia porta vantaggi a livelli di produttività, da cui deriva una maggiore ricchezza. Però rimane un problema di distribuzione del benessere, perché se i proventi finiscono nelle casse di una multinazionale che sta negli Usa o in Giappone, il vantaggio sociale originato dall’innovazione è molto contenuto

R. Questo è sicuro. L’ineguaglianza generata da queste “nuove” ricchezze che si sono create velocemente grazie al digitale è un problema che non risolveremo se non con l’organizzazione socio-politica che ha permesso questi accumuli. La società, la politica, non ha saputo reagire in maniera intelligente e veloce a questa nuova fase.

D. Ma il problema non è anche che queste aziende sono organizzazioni sovranazionali che possono spostare i loro centri di ricavo con facilità? La politica è locale, le multinazionali sono globali e hanno un potere negoziale infinito. O si arriva al governo mondiale sognato da Altiero Spinelli e dai federalisti europei, o è una partita persa in partenza…

 

Floridi:”Dobbiamo migliorare l’Europa, con maggiore solidarietà per fare fronte comune nei confronti delle aziende multinazionali”

 

R. La politica è debole e parte della debolezza è causata dalla politica stessa. Però sono meno pessimista di lei, non serve un governo mondiale, basterebbe l’Europa, che è sufficientemente grande, ricca e con un mercato grande abbastanza da poter dettare le regole del gioco. Ma deve farlo in maniera unitaria. Fintanto che in Europa permettiamo all’Irlanda o al Lussemburgo di fare i propri giochi indipendentemente dalle altre nazioni, è chiaro che le grandi multinazionali andranno a Dublino e non a Milano. Dobbiamo quindi migliorare l’Europa, con maggiore solidarietà per fare fronte comune nei confronti di queste aziende. Vedrei bene un approccio continentale contro le ineguaglianze anche per quanto concerne le tasse.

D. Però si continua a confondere l’idea di Europa con la politica portata avanti dalla maggioranza politica che in questo momento storico governa la Ue. Una politica fatta di austerità che sta delegittimando il concetto nobile di Europa

R. Sì, vedendo che non funzionano le cose finiamo per perdere fiducia nel progetto iniziale, che invece è buono. E sì, servirebbe spingere in una direzione unitaria in cui non sono previsti paradisi fiscali e in cui la legge è una sola. Però la multa salata comminata a Google mi fa pensare che qualcosa si sta muovendo. C’è molto da fare, soprattutto per quanto concerne l’uguaglianza e il digitale.

D. Ma che l’Europa diventi un’unità politica è difficile, a meno di una massiccia cessione di sovranità…

R. Infatti non è quello il futuro: dovremo trovare una soluzione nuova, non possiamo pensare agli Stati Uniti d’Europa come se fossimo gli Usa all’atto della loro fondazione. Il mondo è cambiato e io vedrei bene una innovazione anche socio-politica nel pensare come coordinarci meglio, dobbiamo inventarci un modello Europa. Pensare a un modello che realizza un’Europa unita, senza ricascare in modelli già visti e antistorici. Ma questo richiede uno sforzo socio-politico che non stiamo facendo.

 

L’impatto della digital transformation sull’ occupazione in Italia secondo la porevisioni del Centro Studi di Confindustria

 

D. Per quanto concerne l’occupazione, mi consenta una personale analisi. Sul breve-medio periodo Intelligenza Artificiale, automazione e interconnessione creeranno più ricchezza e più posti di lavoro. Perché aumenteranno la produttività e perché saranno richieste molte persone per vendere, installare e far funzionare questi sistemi. Sul medio-lungo, però, i posti di lavoro si ridurranno in modo significativo, perché i sistemi impareranno molto da soli, si potranno auto-installare e auto-riparare. A quel punto, ci potrà essere una grande crisi. E sarà determinante il ruolo del Pubblico, con politiche di sostegno al reddito e di impiego delle persone in attività sociali, culturali, di cura della persona e del territorio. Insomma, il paradosso è che le rivoluzioni tecnologiche ci faranno riscoprire il ruolo dello Stato… Lei che ne pensa?

R. Non sono del tutto d’accordo, mi pare una lettura un po’ troppo semplicistica. Dovremo invece iniziare a pensare a quali sono i lavori che stanno emergendo e diventeranno magari di massa, ma che al momento non possiamo neanche immaginare. Ad esempio c’è tutto un tema legato all’economia dell’esperienza, che è un mondo in costante esplosione. E sarei curioso di vedere quanto sarà diverso il mondo fra venti anni, quando si passerà da un’economia basata sugli oggetti a una dell’esperienza, che per esempio coinvolge il turismo o la ristorazione. Prendiamo la Cina: oggi ci sono milioni di cinesi in giro per il mondo che spendono soldi nei ristoranti, nei musei, in giro per il mondo. Il loro impatto sta trasformando l’economia cinese profondamente. In futuro si moltiplicheranno, creando lavoro. Io sarei più ottimista, ma anche più incerto nel dire dove andremo con i nuovi posti di lavoro. Pensiamo ad esempio ai lavori ripetitivi, dove l’intelligenza umana è sprecata.

R. Ci saranno però delle professioni che verranno per forza cancellate, come ad esempio gli operai portuali. Però che cosa può fare un “camallo” di 60 anni che per una vita ha lavorato in un porto, movimentando manualmente container che vengono ora gestiti elettronicamente?

D. Questo è un problema ancora diverso e qui è importante mettere in campo un po’ di realismo sociale. Se è vero che queste tecnologie digitali trasformano il mondo del lavoro in maniera così radicale, c’è un costo di transizione che verrà pagato da questa generazione, ma dobbiamo rendercene conto perché un minimo di supporto sociale dovrà per forza essere previsto. Dovremo spalmare cronologicamente i vantaggi di questa tecnologia per alleviare il sacrificio che sarà in capo alla generazione attuale. Non mi pare giusto, né umano, che per permettere la crescita del digitale futura ci dimentichiamo di quelle professioni che oggi spariranno completamente e delle persone che le svolgevano.

* ha collaborato Chiara Volontè














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