Robot, machine vision, Ai: innovazione e tecnologie a servizio dell’Agroalimentare

di Marco de' Francesco ♦︎ Il comparto in Lombardia vale 28 miliardi. L’obiettivo è trasferire nel settore alimentare le competenze dell’industria manifatturiera, per creare un ambiente di cross-fertilisation. Bee2Side: l’etichetta come storytelling del prodotto. Realmore: il contenitore prende vita con la realtà aumentata. Parlano Remo Sala, Federico Guidi, Marco De Vito, Giacomo Copani durante il Technology Day di Tecnoalimenti con Afil

Telecamere che nella gamma di luce degli infrarossi possono rilevare la marcescenza della frutta; o che agli ultravioletti possono valutare il grado di grigliatura delle verdure; o ancora, in modalità 3D, possono individuare elementi di spessore non conforme. Sistemi di Realtà Aumentata che possono potenziare l’esperienza di acquisto del consumatore, che inquadrando il prodotto con lo smartphone osserva immagini pubblicitarie in movimento; o altri che, quando l’utente punta il telefonino su un’etichetta, consentono di ottenere informazioni complete, anche in forma di video, dirette ad un acquisto consapevole e non condizionato esclusivamente dagli stretti parametri salutistici imposti dall’Europa con il Nutri-Score (il “semaforo” per grassi, zuccheri e sale). Sono alcune delle tecnologie sulle quali puntare nel settore dell’Agroalimentare, che in Lombardia vale 28 miliardi, e che si è riunito giorni fa in Afil in occasione del Technology Day di Tecnoalimenti, – evento organizzato nel Competence Center lombardo Made, socio di Afil. Afil, l’Associazione Fabbrica Intelligente Lombardia presieduta dall’imprenditore Diego Andreis, porta all’attenzione della Regione le priorità della ricerca e innovazione della manifattura.  In particolare, Afil ha dato vita alla strategic communitySecure and Sustainable Food Manufacturing”.

Le strategic community costituiscono una delle innovazioni del presidente Andreis: sono i motori della progettualità di Afil. Si tratta di comunità di esperti di imprese che individuano le esigenze di settore per consentire all’ente territoriale di sviluppare una programmazione di medio e lungo termine; inoltre, implementano iniziative di R&I in ottica di filiera e sfruttano le opportunità di finanziamento offerte dallo scacchiere regionale, ma anche nazionale ed europeo. Quella sull’agroalimentare sicuro e sostenibile è coordinata da Tecnoalimenti, una società consortile no-profit che ispira, coordina e sviluppa progetti di ricerca di interesse industriale nel settore. La strategic community ha come obiettivo principale la creazione di un ambiente di cross-fertilisation in cui le tecnologie innovative dell’industria manifatturiera vengano trasferite nel settore della trasformazione alimentare.







Il fatto è che la filiera agroalimentare è un’infrastruttura critica, esposta a rischi multipli: disastri naturali, blackout, interruzioni, fallimenti di sistema, disordini sociali, choc finanziari, fluttuazioni di costi e strozzature nella logistica. Infatti, le recenti tensioni geopolitiche e le tensioni finanziarie hanno creato grossi problemi di approvvigionamento, che hanno messo in difficoltà le imprese di trasformazione ma anche le esportazioni. Secondo Afil e Tecnoalimenti, la ricerca è la chiave per rendere la filiera più resiliente. Si tratta di individuare tecnologie e portarle nell’agroalimentare. È il momento giusto, perché il Pnrr ha stanziato 3,35 miliardi per la ricerca industriale.  Era questo il messaggio più rilevante del Tecnology Day.

food & beverage lombardo in Europa

Le tecnologie di machine vision al servizio della qualità nell’agroalimentare

Remo Sala, docente al dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano nonché co-fondatore dello spin-off Iss

Con una spettroscopia agli infrarossi si può valutare il grado di maturazione della frutta basandosi sui colori; ma anche il tempo di vita dell’insalata esposta al calore. Questa tecnologia può essere utilizzata nell’agricoltura di precisione, nel sorting per fluorescenza, nella determinazione della quantità di clorofilla, nell’analisi colorimetrica dei prodotti agricoli e da forno, e per individuare la marcescenza. Con la spettrografia agli ultravioletti si può determinare il grado di maturazione della frutta grazie al degrado della clorofilla e all’aumento di concentrazione degli zuccheri, visibili con questa gamma. Questa tecnologia consente inoltre di eseguire una valutazione funzionale del grado di grigliatura delle verdure: una melanzana può risultare bruciata, grigliata per 20 minuti, per dieci o fresca. Con la visione 3d, invece, si può riconoscere, ad esempio, la posizione delle singole fette di melanzana individuando: fondi riversi verso l’alto; fette sovrapposte; quelle con spessore non conforme. Le non conformità possono essere rimosse con un sistema robotizzato. Il fatto è che la visione artificiale supera di gran lunga quella umana. Non è così in altre funzioni umane che la robotica tende a replicare. I robot industriali sono operativi sin dagli anni Sessanta. In questi ultimi sessant’anni le loro prestazioni sono migliorate in maniera drastica, «ma non altrettanto si può dire delle loro capacità di riconoscere l’ambiente operativo e di mutare il loro comportamento di conseguenza» – ha affermato Remo Sala, docente al dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano nonché co-fondatore dello spin-off Iss, che attualmente produce sistemi di guida robot 3D e sistemi di visione per il controllo di prodotti.

«I robot costituiscono un sistema perfetto per afferrare un oggetto da un punto noto e spostarlo con grande precisione in un secondo punto». Tutto qui. Non c’è paragone tra un braccio umano e quello robotico: il primo ha un sensore tattile, la pelle, che determina forza e posizione; e un organo di presa, la mano, con 27 possibilità di movimento. Quanto alla visione, però, l’uomo ha per sistema di acquisizione delle immagini l’occhio, e per interpretarle utilizza il cervello. La macchina ottiene le immagini con la telecamera e le trasmette ad un computer per l’esame. Il cervello è assai più evoluto e performante di un Pc, ma, come detto, fra occhio e telecamera non c’è storia. La seconda vede ciò che il primo non può vedere: l’occhio raccoglie la luce nella gamma tra i 400 e i 700 nm; la telecamera in quella al di sotto dei 400 (infrarosso) e al di sopra dei 750 nm (ultravioletto). Quanto ai costi dei sistemi di visione artificiale, sono molto variabili: una telecamera può costare da 55 ai 2mila euro; una soluzione di bin picking sui 25mila euro; una telecamera iper-spettrale sui 35mila euro. Questo quanto all’hardware; quanto al software, è necessario lavorare insieme ad un fornitore specializzato.

Sala spettroscopia Vis Nir

Il contenitore prende vita con la realtà aumentata di Realmore

Il ceo e co-funder di Realmore Federico Guidi

L’AR si può utilizzare nel packaging. Basta possedere uno smartphone, inquadrare il prodotto, e l’orso polare sulla lattina di Coca-Cola può “prendere vita”; o altrimenti la bottiglia di scotch può raccontare una storia, quella di come è nata quella bevanda e come si realizza in maniera tradizionale. In pratica, si consente al brand di mantenere alta l’attenzione del consumatore anche nella fase di post-vendita. «Inoltre, si può guidare il cliente nel corretto utilizzo del prodotto ed aiutarlo a fare scelte migliori nel suo ciclo di vita: con istruzioni guidate aumentate, con video per la preparazione di ricette o sulla filiera produttiva, con consigli sulla dieta, con giochi interattivi, con coupon e voucher digitali per l’acquisto di nuovi prodotti, e con informazioni relative al corretto riciclo dei materiali, e tanto altro ancora» – ha affermato Ceo e co-funder di Realmore Federico Guidi.

Realmore è un’azienda specializzata in Realtà Aumentata, Realtà Virtuale ed Olografia 3D. Dopo un percorso di partnership triennale, a luglio dell’anno scorso è entrata a far parte del Gruppo Omicron, riferimento nell’Information Technology per le aziende di medie e grandi dimensioni e sede a Roma. Nel portafoglio di Realmore, imprese di primaria importanza: Abb, Hera, UniCredit, Generali, Toyota, Bayer, Ermenelgildo Zegna, Novartis, Ups e altre. Il presidente del Cda è quello del gruppo Omicron Luigi Cattaneo. Secondo Guidi «le nostre tecnologie sono utilizzate dalle aziende in vari ambiti: ad esempio, sicurezza, manutenzione, controllo e qualità. A livello globale, gli investimenti in AR ammontano a 90 miliardi di dollari, mentre quelli in VR hanno raggiunto i 30 miliardi. Per il 2025, le dimensioni del mercato software AR-VR sono previste attorno ai 95 miliardi di dollari (Goldman Sachs)».

La tecnologia in Realmore

Con Bee2Side l’etichetta non è più un problema, ma è anzi un valore

innovation manager di Tecnoalimenti Marco De Vito

Bee2Side è un sistema di realtà aumentata e soluzione app di Tecnoalimenti che consente di potenziare la comunicazione delle aziende con la visualizzazione, in sovrapposizione real time, di contenuti e informazioni sulla confezione dei prodotti. Si possono “inserire” video, audio, animazioni 3D; si possono fornire anche consigli nutrizionali, cataloghi, vetrine interattive. Insomma, si può raccontare una storia completa. Un esempio mostrato da De Vito rappresenta un vero e proprio storytelling, che consente al cliente di accedere alle informazioni sul prodotto; a quelle su aspetti nutrizionali; a nozioni su video relative a qualità e sicurezza e al modello di recycling e di raccolta differenziata. A parte la trasmissione di contenuti esperienziali, l’azienda grazia a Bee2Side può ottenere la profilazione e la geolocalizzazione dell’utente che si registra in sistema; e una piattaforma dinamica sarà progettata per la condivisione delle immagini e per creare campagne virali sui social. La creazione di una architettura cloud consentirà al sistema di pesare meno sui device del cliente. Perché soluzioni di questo genere si stanno rendendo necessarie? Perché «dal 2020 è stata resa obbligatoria l’Etichetta Ambientale sul packaging dei prodotti. Comunica contemporaneamente i diversi impatti del prodotto su aria, acqua e suolo: alla base delle tre macro categorie, ci sono infatti 18 indicatori, collegati alla valutazione del ciclo di vita. Si tratta di prendere in considerazione alcune fasi, come l’estrazione delle materie prime, la lavorazione, la distribuzione e lo smaltimento dell’imballaggio. Poche aziende risultano compliant. Anche perché su certi prodotti è difficile trovare lo spazio materiale per piazzare l’etichetta, che in ogni caso sarebbe difficilmente leggibile» – afferma l’innovation manager di Tecnoalimenti Marco De Vito.

Inoltre, per la fine dell’anno in corso, l’EU ha deliberato l’obbligatorietà dell’etichetta nutrizionale sugli alimenti: è già stata adottata da sette Paesi europei.  Anche questo contenuto presenta delle problematiche di spazio per le confezioni; inoltre, sorge l’esigenza, per le aziende, di fornire ulteriori informazioni rispetto a quelle elaborate dall’algoritmo di Nutri-score. Quest’ultima, come si è accennato, è un’etichetta a semaforo, che attribuisce un colore ad ogni alimento in base al livello di acidi grassi saturi, zuccheri, sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto. Così, per il consumatore, cibi con semaforo “verde” sono da preferire rispetto a quelli “rossi”. «Il problema è che i prodotti tipici italiani possono risultare svantaggiati – afferma De Vito – perché sono il risultato di una tradizione di cultura del cibo che non teneva conto dei parametri del semaforo alimentare inventato in Francia». Secondo l’Afidop, l’Associazione dei formaggi italiani Dop, 10 ricette iconiche in cui il formaggio è un ingrediente essenziale potrebbero essere bollate come poco sane. Il problema è che secondo un’indagine Ipsos per 3 consumatori su 4 di Usa, Russia, Canada, Regno Unito, Germania, Spagna e Italia le informazioni nutrizionali in etichetta influenzano sensibilmente le scelte nel carrello. Per il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli «è un sistema che non informa, punta solo a condizionare il consumatore». Ed in effetti, in vista di una dieta corretta, il problema non è la presenza di un certo acido grasso nel cibo, ma della quantità che se ne assume. È una questione di cultura alimentare, che non può essere risolta dal semaforo. Occorre introdurre in etichetta la giusta narrazione, che spieghi la storia di un certo prodotto e le modalità in cui va consumato. Ma come è possibile inserire tutte queste cose nel label?

Ve anzitutto detto che il ministero della Transizione ecologica, quello guidato da Roberto Cingolani, ha chiarito, con una nota diffusa il 17 maggio 2021, che, viste le oggettive criticità alla base dell’apposizione fisica dell’etichettatura ambientale sugli imballaggi, l’obbligo si ritiene adempiuto qualora le informazioni previste siano veicolate con canali digitali, come app, Qr code, siti web. È un passaggio importante, che peraltro sembra favorire la transizione delle aziende verso strumenti più moderni e digitali in linea con quanto previsto dal Pnrr. Comunque sia, l’etichetta digitale si può fare. Di qui Bee2Side, che grazie alla partnership con il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) nasce già conforme alla normativa sull’etichetta ambientale. In Italia, peraltro, ci sono 19 milioni di persone che abitualmente non leggono, ma guardano video per informarsi. Si tratta, soprattutto, di digital innates, ma non esclusivamente. Inoltre il 70% dei consumatori (secondo Conai) non sa leggere le etichette relative al riciclo e il 99% vuole prodotti e aziende più attente all’ambiente.

Tecnologia Bee2Side

Tecnoalimenti in pillole

Tecnoalimenti è stata fondata nel 1981 dal ministero della Ricerca con 15 aziende di comparto, con una connotazione mista pubblico-privato; ora ne raggruppa 31, tra le quali Star, Bauli, Bonomelli, Ponti, Granarolo, Parmalat. Queste rappresentano il 12% del mercato italiano.  Per adesso, Tecnoalimenti ha sviluppato più di 300 progetti, organizzato più di 170 convegni e stretto 107 collaborazioni scientifiche anche con enti internazionali. Per Tecnoalimenti il “Tecnology Day”, in era post-pandemia, è caratterizzato da tre driver fondamentali: “coo-petizione”, e cioè collaborazione tra imprese per “market intelligence”, best practice, R&I; “cambio di marcia”, in riferimento alle nuove tecnologie e alla nuova scala globalizzata di opportunità; e infine “rigenerazione”, per creare esternalità positive. Il direttore generale di Tecnoalimenti è Raffaello Prugger.

La strategic community “secure and sustainable food manufacturing” di Afil

Il Cluster Manager di AFIL Giacomo Copani

Al di là di Tecnoalimenti, ne fanno parte il Politecnico di Milano, l’Istituto Stiima del Cnr, aziende fornitrici di tecnologie e integratici di sistemi ed aziende attive nel settore alimentare. Obiettivo della Community è contribuire alla definizione delle priorità nel settore food manufacturing a livello regionale, indirizzare le politiche di supporto alla R&I verso le priorità definite a livello regionale, nazionale ed europeo nonché costituire una filiera coesa di imprese, università e centri di ricerca competitiva nella concezione realizzazione di progetti nell’ambito delle priorità definite. Tra i temi che la Strategic Community intende approfondire vi sono, a titolo non esaustivo, le tecnologie legate alla detection (x-ray detection, vision detection) per un migliore controllo qualità, quelle dell’automazione per rendere il sorting più efficiente (robotica, machine learning, AI), i materiali innovativi per il packaging sino alle questioni legate alla food defence lungo tutta la filiera alimentare. Secondo il Cluster Manager di AFIL Giacomo Copani, è in questo contesto che gli stakeholder «si scambiano competenze e capacità, si concepiscono e si realizzano i progetti di R&I, si portano i risultati alle aziende, si trovano i partner, i clienti e i fornitori, in Italia e all’estero, e si stimolano i finanziamenti per i progetti di interesse». Naturalmente, in questo ambito la massa critica è fondamentale. Pertanto, tutti gli stakeholder sono invitati a scendere in campo e a prendere parte alle iniziative del cluster regionale.














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