Start-up: i dati recenti devono far riflettere sulla bolla di retorica che circonda questo fenomeno

di Filippo Astone ♦︎ I risultati economici e la numerosità delle imprese innovative sono in calo. E comunque il loro valore assoluto è assai modesto. Ciò deve far riflettere sull'ipervalutazione di questo fenomeno (che di per se stesso resta positivo) nel dibattito politico e giornalistico. La ripresa e la modernizzazione non passano dalle start-up. Solo l'Industria ha il potere di farlo. Ripubblichiamo un interessante articolo scritto per noi da Riccardo Gallo sul tema e i dati completi emersi dall'analisi Mise-Unioncamere

È ora di riflettere sull’allucinazione collettiva da start-up. La fotografia scattata da Unioncamere e Ministero dello Sviluppo economico sul comparto delle start-up nel 2019 è impietosa: nel quarto trimestre 2019 il numero di start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese era pari a 10.882, con un tasso di crescita trimestrale (2,6%) che si è ridotto rispetto agli anni di maggiore vivacità (+21% nel 2014+9,3% nel 2015 a parità di periodo). Le start-up innovative impiegavano a fine settembre dello scorso anno 13.903 persone781 in meno rispetto al secondo trimestre, ed il numero medio degli addetti è calato da 3,5 a 3,2.

Contemporaneamente aumentano i soci (50.816), così che il computo complessivo della forza lavoro (+1,1%), quando era del +10% nel 2015 e dell’+8,5% nel 2017. Il quadro delle agevolazioni non seduce e nel 2019 ha pesato la mancata erogazione dei super incentivi fiscali (fino al 50%) varati con la manovra finanziaria di due anni e immediatamente bloccati dalla Commissione europea. Anche i principali indicatori economico finanziari si allineano al trend negativo. Sulla base dei dati di bilancio disponibili, il valore della produzione medio per impresa è risultato di 175mila euro (12mila euro in meno rispetto al trimestre precedente).







L’attivo medio (311mila euro) cala di 19mila euro, la produzione complessiva (1,16 miliardi) diminuisce di 31 milioni. Il reddito operativo totale è negativo per 85,6 milioni, in peggioramento di oltre 2 milioni.  La partita delle forme di sostegno al settore non è però chiusa. Al Ministero dello Sviluppo si pensa a trovare una voce per le start up nel Nuovo pacchetto innovazione (peraltro oggi al Mef si apre il tavolo su investimenti green e digitale) con l’obiettivo di rafforzare le procedure semplificate dei visti per gli investitori e i lavoratori autonomi impegnati nelle start-up. Al 31 dicembre 2019, su 481 candidature erano 250 quelle chiuse con esito positivo.

 

Una riflessione seria urge, anche sui finanziamenti pubblici. E comunque la ripresa e il futuro possono passare solo dall’Industria

Totale di soci e dipendenti nelle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Questi dati, insieme con il basso assoluto in termini economici e occupazionali (13mila dipendenti e un valore medio del fatturato di 175mila euro sono una goccia nel mare) dovrebbero far riflettere. Oggi come negli anni passati, siamo circondati da una bolla di retorica sul fenomeno delle start-up che non ha nulla a che fare, ma proprio nulla, con la realtà dei fatti. Sembra che dalle start-up possa dipendere la ripresa dell’occupazione, lo sviluppo sociale, la crescita economica, gli stipendi dei giovani, la ricchezza, il sol dell’avvenire e chi più ne sa più ne canti.  Sulle start-up, che sono trendy anche nel nome, si è creato un mito che non corrisponde per niente alla realtà. Così come non è vero che potremo riprenderci grazie all’alimentare, al turismo, alla bellezza e ai tanti cuochi che fanno trend in televisione e che spingono migliaia di giovani sprovveduti a studiare ristorazione e migliaia di adulti altrettanto sprovveduti ad aprire locali di ristorazione che avranno vita breve. La verità è che, soprattutto in Italia, l’unico driver di sviluppo importante è l’industria, che produce un indotto senza pari, che alimenta la ricerca e sviluppo, che genera posti di lavoro qualificati e ben pagati. Solo l’industria non è di moda e, purtroppo, non sta al centro dell’agenda politica.

Il mito modaiolo delle start-up ha creato un’orgia di finanziamenti pubblici alle “start-up innovative” che, per fortuna, l’Unione europea ha bloccato. Anche perché nelle start-up innovative, negli anni passati, è stato ricompreso di tutto e di più, anche società editoriali tradizionali, aziende di servizi vari, imprese che proponevano il servizio di pic-nic on site (sei in un prato verde o in un parco? vuoi fare il pic nic? arriva il motorino e ti porta tutto, champagne incluso). C’è stato in un momento in cui quasi chiunque volesse aprire una nuova azienda la faceva passare con successo come start-up e godeva dei finanziamenti e delle agevolazioni pubbliche, a spese del contribuente.

Collaborazione tra industria e start-up. Fonte Osservatorio digital transformation del Politecnico di Milano

Sia chiaro: Industria Italiana non è assolutamente critica nei confronti delle start-up in sé. Anzi ne è a favore, tanto che l’innovazione rappresenta una delle sue ragion d’essere. E, spesso, raccontiamo di nuove start-up che ci sembrano interessanti. E continueremo a farlo.  Industria Italiana è contraria all’idea che la ripresa economica possa passare dalle start-up, che è cosa ben diversa. Secondo noi, le start-up che hanno un vero valore sono quello legate a vera innovazione scientifica e tecnologica, e che ruotano intorno a un brevetto o ad una scoperta scientifica dal valore dirompente. Nella stragrande maggioranza dei casi sono quelle universitarie, ad esempio quelle incubate nell’ambito del Politecnico di Milano o di Torino. Se poi si considera la struttura dell’economia italiana, in molti casi le start-up possono riuscire a a fare davvero la differenza solo se vengono acquisite da un’azienda grande o medio-grande.

Sul tema, a inizio 2018, il professor Riccardo Gallo, economista industriale che noi stimiamo molto, ha scritto un articolo su Industria Italiana (consultabile interamente qui) che ora vale la pena di riprendere. «Se l’indebolimento della propensione a intraprendere degli industriali italiani fosse irreversibile, potrebbe una nuova imprenditoria, giovane e innovativa, rimpiazzare la vecchia generazione? Qualcuno pensa di sì, e vede il sostegno pubblico alle Start-up come un importante intervento di politica industriale teso a raggiungere questo obiettivo. Ma è davvero così? Come ho dimostrato in un mio recente pamphlet, “L’Industria fa la 4° rivoluzione, ma solo dove c’è e sempreché sopravviva” (Guida Editori), io ritengo che le start-up siano importanti, ma che sia improprio caricarle di aspettative eccessive», scriveva Gallo, che qui di seguito riportiamo senza virgolette. Le considerazioni di Gallo sono riferite a dati del 2016 e 2017, ma non perdono di valore ancora oggi.

 

Riccardo Gallo: perché le start-up ricostruiscano l’economia italiana ci vorrebbero circa 1.000 anni

 

Riccardo Gallo, economista industriale

Per capire se il sostegno pubblico alle start-up è qualcosa di efficace oppure una velleità, è necessario aspettare qualche anno dopo il suo varo. Ed ecco che ora la lettura delle relazioni ministeriali più recenti e dei dati aggiornati al 30 giugno 2017 consente importanti riflessioni sulle questioni qui sopra richiamate.

In quattro anni, il numero delle start-up Innovative è aumentato di 6.457 società, essendo passato da 937 esistenti al 30 giugno 2013 a 7.394 al 30 giugno 2017, con un flusso uniforme pari a 1.614 nascite nette all’anno. Il Fondo per le Pmi garantisce finanziamenti a favore di start-up Innovative il cui importo medio unitario si aggira intorno alle 250 mila euro. Capita che qualche operazione magari venga approvata ma poi non sia più perfezionata, o perché la banca che deve deliberare il finanziamento esprime poi parere negativo, o perché la stessa impresa rinuncia all’operazione. I casi di sofferenza nella gestione del credito rappresentano un modesto 0,9 per cento delle operazioni. Sul piano territoriale, le prime cinque regioni per numero di operazioni di start-up approvate sono più o meno le stesse che hanno anche la maggior presenza di Pmi, con l’interessante novità però della Campania, forse grazie al meritorio prolungato impegno in questo campo dell’Università Federico II.

 

Con chi collaborano le start-up? Fonte Osservatorio digital transformation del Politecnico di Milano

Con un totale al 30 giugno 2017 di 1.409 operazioni, le prime cinque regioni rappresentano i due terzi del totale nazionale. La sola Lombardia pesa per ben un quarto (26 per cento) del totale. A differenza di quanto si vede per la Nuova Sabatini, in questo caso lo strumento agevolativo porta benefìci anche a una regione del Mezzogiorno. Come riportato da Il Sole 24 Ore, il programma“Women in Technology”, lanciato da Fondazione Mondo Digitale e Costa Crociere Foundation, ha coinvolto circa 300 studentesse di Campania, Calabria, Sicilia e Lazio e ha prodotto ottime start-up con idee imprenditoriali molto apprezzate.

I soci delle start-up Innovative risultano essere in media quattro per ogni impresa, sono in stragrande maggioranza uomini (le donne sono meno di un quinto), con un’età media alta (42 anni), e almeno 7 su 10 sono laureati. I soci donne sono più giovani degli uomini, hanno competenze linguistiche e quasi sempre sono laureate, più degli uomini. Prima di dar vita alla start-up, in oltre un terzo dei casi i soci erano lavoratori dipendenti, e per un altro terzo l’hanno fatto perché figli di un imprenditore. Quasi metà degli ex lavoratori dipendenti hanno una formazione tecnico-ingegneristica.

 

Accanto alle Start-up Innovative, c’è poi la categoria delle Pmi Innovative

Si tratta di società nate anche molti anni fa, talvolta sono ex Start-up Innovative che hanno superato l’anzianità massima per poterne conservare lo status (portata nel 2015 a 60 mesi). Per essere una Pmi Innovativa, invece, un’impresa non è soggetta a vincoli anagrafici. Le Pmi Innovative al 30 giugno 2017 sono però appena 504. La responsabilità di questo basso numero è imputabile al ritardo con cui è stata attuata la regolamentazione di alcune agevolazioni. Peraltro, manca ancora il decreto interministeriale attuativo degli incentivi fiscali per gli investimenti nelle Pmi Innovative, una delle misure più interessanti che è stata estesa a tale tipologia d’imprese. Per quanto riguarda il credito agevolato dal Fondo di garanzia, la distribuzione territoriale di questa seconda categoria di operazioni è del tutto simile a quella delle Start-up Innovative e, quindi, alla presenza di Pmi sul territorio nazionale.

La maturità digitale nelle pmi italiane. Fonte Osservatorio Polimi

Un recente studio di ricercatori della Banca d’Italia analizza le caratteristiche economico-finanziarie delle Start-up Innovative. Da un confronto tra il bilancio di 1.800 start-up e di 135 mila imprese della stessa età e dimensione, emerge che le prime hanno una innovatività molto più marcata delle altre, con immobilizzazioni immateriali percentualmente maggiori, grazie ai costi capitalizzati per ricerca e sviluppo andata a buon fine e per marchi e brevetti. Inoltre, per le Start-up che hanno già cominciato l’attività di produzione e vendita, si osservano tassi di crescita del fatturato e dell’attivo più alti rispetto alle altre imprese.

 

Tirando le somme

Domanda: teoricamente, quanti anni servirebbero alle Start-up Innovative per sostituire le società di capitali esistenti oggi in Italia, nell’ipotesi astratta che continuassero a nascere con un ritmo inalterato e divenissero sistemiche? Risposta: poiché in ciascuno dei primi quattro anni sono nate 1.614 Start-up Innovative e le società di capitali in totale sono 1.623.359, occorrerebbero più di mille anni. Un tempo biblico, privo di significato reale. Ciò significa che l’intervento a sostegno delle Start-up Innovative è efficace ma è bene non caricarlo di obiettivi impossibili, i quali vanno perseguiti piuttosto con l’insieme coordinato di tutti gli altri progetti e strumenti, in primis dal Piano nazionale “Industria 4.0” con l’Iper e il Superammortamento, al netto delle crisi che il ministero dello Sviluppo ha stentato a gestire, dall’Ilva all’Alitalia, a Embraco eccetera. Da qui il titolo del mio pamphlet citato all’inizio.

 

I dati che emergono dall’analisi Mise-Unioncamere (che riportiamo integralmente)

Numero e dimensione delle start-up. Fonte Mise Unioncamere

Al termine del 4° trimestre 20191, il numero di start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese ai sensi del decreto legge 179/2012 è pari a 10.882, in aumento di 272 unità (+2,6%) rispetto al trimestre precedente. Possono ottenere lo status di start-up innovativa le società di capitali costituite da meno di cinque anni, con fatturato annuo inferiore a cinque milioni di euro, non quotate, e in possesso di determinati indicatori relativi all’innovazione tecnologica previsti dalla normativa nazionale (sintesi dei requisiti e delle agevolazioni). Tra le poco meno delle 365 mila società di capitali costituite in Italia negli ultimi cinque anni e ancora in stato attivo, il 2,98% risultava registrata come start-up innovativa alla data della rilevazione. Il capitale sociale sottoscritto complessivamente dalle start-up risulta in crescita rispetto al terzo trimestre (+37,6 milioni di euro, +6,89% in termini percentuali) attestandosi ora a quota 583,2 milioni di euro; il capitale medio è pari a 53.594 euro a impresa, in decisa ripresa (+4,2%) rispetto al dato del trimestre precedente.

Distribuzione delle start-up per settore economico. Numero e dimensione delle start-up. Fonte Mise Unioncamere

Per quanto riguarda la distribuzione per settori di attività, il 73,7% delle start-up innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti specializzazioni: produzione di software e consulenza informatica, 35,6%; attività di R&S, 13,9%; attività dei servizi d’informazione, 9,2%), il 17,6% opera nel manifatturiero (su tutti: fabbricazione di macchinari, 3,1%; fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 2,8%;), mentre il 3,4% opera nel commercio. In alcuni settori economici l’incidenza delle start-up innovative sul totale delle nuove società di capitali appare rilevante. È una start-up innovativa l’8,3% di tutte le nuove società che operano nel comparto dei servizi alle imprese; per il manifatturiero, la percentuale corrispondente è 5,1%. In alcuni settori, come definiti dalla classificazione Ateco 2007, la presenza di imprese innovative è particolarmente elevata: è una start-up innovativa il 35,8% delle nuove aziende con codice C 26 (fabbricazione di computer), il 37,9% di quelle con codice J 62 (produzione di software) e addirittura oltre il 68,5% di quelle con codice M 72 (ricerca e sviluppo).

Analizzando la composizione delle compagini sociali, le start-up innovative con una prevalenza femminile – ossia, in cui le quote di possesso e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne – sono 1.468, il 13,5% del totale: incidenza nettamente inferiore rispetto al 21,9% osservato prendendo in esame l’universo delle neo-società di capitali. Le start-up innovative in cui almeno una donna è presente nella compagine sociale sono 4.704, il 43,2% del totale: una quota anch’essa inferiore, seppur in minor misura, a quella fatta registrare dalle altre nuove società di capitali (47,0%).

Distribuzione delle start-up per tipologia di impresa.Distribuzione delle start-up per settore economico. Numero e dimensione delle start-up. Fonte Mise Unioncamere

Le start-up innovative a prevalenza giovanile (under 35) sono 2.153, il 19,8% del totale. Si tratta di un dato di oltre tre punti percentuali superiore rispetto a quello riscontrato tra le nuove aziende non innovative (16,6%). Ancora maggiore è la differenza se si considerano le aziende in cui almeno un giovane è presente nella compagine sociale: queste rappresentano il 44,4% delle start-up (4.830 in tutto), contro il 34,9% delle altre imprese.

Le start-up innovative con una compagine sociale a prevalenza straniera sono 380, il 3,5% del totale, una quota tuttavia inferiore a quella osservata tra le altre nuove società di capitali (8,9%). Per contro, le start-up innovative in cui è presente almeno un cittadino non italiano sono il 13,9% (1.515), proporzione più simile a quella riscontrata tra le società di capitali (14,9%).

Distribuzione e densità regionale delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Analizzando la distribuzione geografica del fenomeno, la Lombardia è la regione in cui è localizzato il maggior numero di start-up innovative: 2.928, pari al 26,9% del totale nazionale. Seguono il Lazio, unica altra regione a superare quota mille (1.227; 11,3%), e l’Emilia-Romagna (931, 8,6% del totale nazionale). A breve distanza compare al quarto posto la Campania, di gran lunga la prima regione del Mezzogiorno, con 896 start-up (8,2%), seguita dal Veneto, con 889 (8,2%). In coda figurano la Basilicata con 104, il Molise con 80, e la Valle d’Aosta con 22 start-up innovative.

Il Trentino-Alto Adige è la regione con la più elevata incidenza di start-up innovative in rapporto al totale delle nuove società di capitali con meno di cinque anni e meno di cinque milioni di fatturato: il 5,3% è una start-up innovativa. Seguono la Valle d’Aosta (5,1%) e il Friuli-Venezia Giulia (poco meno del 5%). Chiudono la classifica la Puglia e la Toscana (entrambe con poco più dell’1,8%) e la Sardegna con l’1,6%.

Milano è di gran lunga la provincia in cui è localizzato il numero più elevato di start-up innovative: alla fine del quarto trimestre 2019 esse erano 2.075, il 19,1% del totale nazionale. Al secondo posto compare Roma, unica altra provincia oltre quota 1.000 (1.110 start-up, 10,2% nazionale). Tutte le altre province maggiori sono molto staccate: nella top-five figurano, nell’ordine, Napoli (423, 3,9%), Torino (376, 3,5%) e Bologna (314, 2,9%). La top-ten è completata da Padova, Bergamo, Bari, Salerno e Verona.

Distribuzione provinciale delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

In tutte le prime 17 province in graduatoria sono localizzate almeno 150 start-up; per contro, le ultime 16 province in graduatoria presentano meno di 15 start-up ciascuna. Il record negativo spetta a Imperia, dove sono localizzate solo 3 start-up innovative. Se si considera il numero di start-up innovative in rapporto al numero di nuove società di capitali attive nella provincia, al primo posto si posiziona Trento (il 7,5%); seguono Trieste (6,8%), Ascoli Piceno (5,8%) e Milano (5,7%). Da notare come nella parte alta della graduatoria si posizionino Pordenone, al 5° posto, e Aosta, al 6°, dove il 5,1% delle società di capitali avviate negli ultimi cinque anni e con meno di cinque milioni di fatturato è una start-up innovativa. All’estremo opposto, la provincia con la minore incidenza di start-up sul totale delle nuove società di capitali è Agrigento (0,4%).

Sotto il profilo occupazionale, a fine settembre 20192 risultano presenti 4.372 start-up innovative con almeno un dipendente (160 in più rispetto a fine giugno), pari al 41,2% del totale. Le start-up innovative impiegavano a fine settembre dello scorso anno 13.803 persone, 781 in meno rispetto al secondo trimestre 2019. Il numero medio degli addetti per start-up innovativa, sempre al terzo trimestre 2019, è pari a 3,2, contro i 3,5 registrati tre mesi prima. Le altre società di capitali con meno di cinque anni presentano tuttavia una media significativamente più elevata, pari a 5,8 addetti a impresa. A fine dicembre 2019 i soci delle 10.741 start-up innovative per cui è disponibile tale dato risultano pari a 50.816, 2.799 in più rispetto al trimestre precedente (+5,8%). È ipotizzabile che i soci siano coinvolti direttamente nell’attività d’impresa. Le start-up innovative sono contraddistinte da compagini significativamente più ampie rispetto alle altre nuove società di capitali: in media ciascuna start-up ha 4,7 soci, contro i 2,1 riscontrati tra le altre nuove imprese.

Il numero di dipendenti delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Al 30 settembre 2019 il numero complessivo di soci e addetti coinvolti nelle start-up raggiunge quota 61.820. Rispetto al secondo trimestre del 2019 la forza lavoro è aumentata di 671 unità, mentre l’incremento – su base annua – è di 8.116 (+15,1%). Venendo infine agli indicatori economici e finanziari (Tavole dalla 8 alla 11), occorre premettere che i dati di bilancio attualmente disponibili, relativi al 2018, coprono il 61,2% delle start-up iscritte al 31 dicembre 2019: 6.657 su 10.882. Tra le start-up innovative così circoscritte, il valore della produzione medio per impresa nell’esercizio 2018 risulta pari a oltre 175mila euro, dato in calo rispetto al trimestre precedente (circa 12mila euro in meno). L’attivo medio è pari a poco più di 311mila euro per start-up innovativa, in contrazione di circa 19mila euro rispetto alla precedente rilevazione.

Considerando, infine, la produzione complessiva, essa ammonta a 1.167.940.816 euro, un dato inferiore di poco meno di 31,3 milioni di euro rispetto a quello registrato al termine del trimestre precedente (1.199.231.058 euro). Il dato sul valore mediano della produzione è pari a 35.001 euro, un valore più basso rispetto alla media (175.445,52 euro). Il reddito operativo complessivo registrato nel 2018 è negativo per 85,6 milioni di euro, in peggioramento di oltre 2 milioni rispetto a tre mesi fa (circa – 83 milioni).

Uno dei parametri che più contraddistinguono le start-up innovative rispetto altre nuove società di capitali è l’elevato grado di immobilizzazioni sull’attivo patrimoniale netto: nel 2018 il rapporto è pari al 25,2%, cioè 7 volte superiore rispetto al rapporto medio registrato per le altre nuove società, pari al 3,7%. Nel 2018 permane tra le start-up innovative una maggioranza di società in perdita: 52,1% (dato di due decimi di punto percentuale più basso rispetto alla precedente rilevazione), contro la restante parte (47,9%) che segnala un utile di esercizio.

Valore della produzione ed attivo delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Com’è fisiologico per imprese a elevato contenuto tecnologico, che hanno tempi più lunghi di accesso al mercato, l’incidenza delle società in perdita tra le start-up innovative (pari al 52,1%) risulta sensibilmente più elevata rispetto a quella rilevabile tra le nuove società di capitali non innovative (pari al 31,9%). Gli indicatori di redditività Roi e Roe delle start-up innovative registrano valori negativi; se però ci riferisce soltanto a quelle in utile, gli indici sono sensibilmente migliori di quelli fatti riportare dalle altre società di capitali (ROI: 0,12 contro 0,06; ROE: 0,26 contro 0,17).

L’indice di indipendenza finanziaria delle start-up innovative è inferiore rispetto a quello registrato dalle altre nuove imprese non innovative (0,31 contro 0,45); la differenza è lievemente più pronunciata se si considerano soltanto le start-up innovative e le società di capitali in utile (0,30 contro 0,48). Per ogni euro di produzione le start-up innovative generano in media 24 centesimi di valore aggiunto, un dato lievemente inferiore rispetto a quello delle altre società (27 centesimi). Ancora una volta, limitandosi alle imprese in utile, le start-up generano, per contro, più valore aggiunto sul valore totale della produzione rispetto alle società di capitali: 36 centesimi contro 28.














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