Industria: quanto vale la sostenibilità a bilancio?

di Laura Magna ♦︎ Le aziende che si posizionano nel primo quartile per rating Esg incrementano del 10-15% il loro valore sull’Ebitda. Se si guarda settore per settore, lo scarto è di due volte nei trasporti, di 1,4 volte nel packaging e nella filiera della carta e di 1,3 nel tessile. L’effetto della riduzione del carbon print in un trasformatore agroalimentare. L’acciaieria che vuole abbattere le emissioni di carbonio. La meccanica che mira allo scarto zero. Ne parliamo con Andrea Isabella, partner di Bain & Company

Saipem e Valmet sono impegnate a supportare i clienti nel percorso verso il Net Zero

L’acciaieria che vuole abbattere le emissioni di carbonio; la meccanica che mira allo scarto zero, la cartiera che vuole ridurre il consumo di acqua. Stanno attuando pratiche di sostenibilità, ma allo stesso tempo stanno efficientando i processi e aumentano la propria redditività. Di una quota fino al 25% di ebitda in più e fino a due punti di Tev/Ebitda, un multiplo che esprime il total enterprise value, il valore della società (in termini di equity e debito) in rapporto al margine operative lordo.

«In parole semplici, più questo numero è elevato, più l’azienda vale per ogni euro di margine che fa», dice a Industria Italiana Andrea Isabella, partner di Bain & Company, con cui abbiamo analizzato il valore economico e industriale della sostenibilità. Che, evidentemente, è tutt’altro che una scelta di moda, ma uno strumento per aumentare la competitività delle industrie.







 

Quanto vale la sostenibilità a bilancio

Il valore della sostenibilità è dunque misurabile a bilancio – e tutt’altro che intangibile. «Le aziende che si posizionano nel primo quartile per rating Esg – dice Isabella – vedono il loro valore sull’Ebitda (il Tev/Ebitda di cui sopra, ndr) crescere mediamente di 1x, cioè incrementare del 10-15%. Questo vuol dire che il valore progredisce quando i criteri Esg vengono adottati nel lungo termine e implementati correttamente nelle strategie aziendali. Se si guarda settore per settore, lo scarto è di due volte nei trasporti, di 1,4 volte nel packaging e nella filiera della carta e di 1,3 nel tessile».

Le aziende che si posizionano nel primo quartile per rating Esg – dice Isabella – vedono il loro valore sull’Ebitda (il Tev/Ebitda di cui sopra, ndr) crescere mediamente di 1x, cioè incrementare del 10-15%. Questo vuol dire che il valore progredisce quando i criteri Esg vengono adottati nel lungo termine e implementati correttamente nelle strategie aziendali. Se si guarda settore per settore, lo scarto è di due volte nei trasporti, di 1,4 volte nel packaging e nella filiera della carta e di 1,3 nel tessile

Sono numeri importanti e che dimostrano come valore economico e valore sostenibile siano due facce della stessa medaglia. E le industrie che faticano a capirlo, rischiano di restare indietro, pesantemente, sul fronte della competitività. «Le imprese devono ragionare su due direttrici: dandosi obiettivi di lungo termine e implementando azioni urgenti per il miglioramento dei propri processi. In generale, tra le priorità in questo senso vanno dall’adozione di sistemi digitali di gestione dell’energia, alla creazione di impianti di recupero delle fibre dalle acque di scarto, implementazione di sistemi di misurazione diretta delle emissioni, l’acquisto di energie rinnovabili, utilizzo di idrogeno in alcuni processi al posto del metano, azioni di efficientamento energetico, riutilizzo delle sostanze di scarto per impieghi secondari», dice Isabella.

 

Case history: la cartiera che ricicla l’acqua 

Andrea Isabella, partner di Bain & Company

Cosa vuol dire questo in pratica? Isabella porta l’esempio di una cartiera. «I temi più critici e urgenti da affrontare per un player dell’industria cartaria, comprendono le emissioni di gas serra, il consumo di acqua, la gestione dei rifiuti e l’approvvigionamento sostenibile. È necessario analizzare tutto: dai cicli di vita dei prodotti alla salute e alla sicurezza dei dipendenti. Una volta definiti gli obiettivi in ogni area di intervento, viene individuata, per ciascuna di esse, una serie di azioni che possano migliorare la performance Esg dell’azienda, identificando al contempo gli indicatori di performance chiave per aiutare l’azienda a monitorare i suoi progressi». Attività come la riduzione dei costi delle emissioni, il risparmio energetico e la crescita del fatturato possono portare un operatore di quest’industria a un incremento di 10 punti dell’Ebitda. «Non solo: un’azienda del comparto può guadagnare altri 2-3 punti sull’Ebitda lavorando sulla formazione alla mitigazione dei rischi, dall’aumento dei prezzi dell’energia, alle minacce normative, al cambiamento della domanda dei consumatori».

 

L’effetto della riduzione del carbon print in un trasformatore agroalimentare

Un altro esempio arriva dal settore agroalimentare, che  ha un ruolo critico negli sforzi per mitigare gli effetti potenzialmente devastanti del cambiamento climatico. Spiega Isabella che «la lavorazione agricola e la produzione di cibo confezionato – che include operazioni come la macinazione, la frantumazione e la raffinazione, così come l’allevamento di bestiame e la preparazione di proteine animali per il consumo – è parte di un insieme più ampio di attività industriali che rappresentano un altro 21% delle emissioni globali. I trasformatori contribuiscono ulteriormente alle emissioni di gas serra attraverso la loro intensa dipendenza dal trasporto e il loro consumo di elettricità e calore derivati dagli idrocarburi».

Una grande azienda di trasformazione agricola che gestisce impianti che richiedono quantità significative di calore ha un costo del capitale di circa il 10% all’anno e hurdle rate, il tasso minimo di rendimento finanziario richiesto all’investimento perché sia preso in considerazione, di circa il 15% all’anno. «La scelta da affrontare potrebbe riguardare l’installazione di un sistema di cogenerazione – dice Isabella – a fronte di un costo di circa 40 milioni di dollari, si otterrebbe una riduzione dell’impronta di carbonio di 180.000 tonnellate all’anno. Ma con un tasso di rendimento inferiore e impegnando una quota significativa dell’allocazione di capitale previsto per gli anni necessari a realizzare il progetto. È chiaro che l’azienda in questi casi si trova di fronte a un bivio. Tuttavia, se l’azienda punta sulla sostenibilità – implementando sistemi di cogenerazione, può ridurre le emissioni e produrre rendimenti positivi del 20%, grazie agli incentivi per il cambio di combustibile e allo shadow carbon pricing».

L’acciaieria che vuole abbattere le emissioni di carbonio; la meccanica che mira allo scarto zero, la cartiera che vuole ridurre il consumo di acqua. Stanno attuando pratiche di sostenibilità, ma allo stesso tempo stanno efficientando i processi e aumentano la propria redditività

Gli interessi degli stakeholder

Insomma, anche questo secondo esempio rende evidente la convenienza finanziaria di una scelta sostenibile. La manifattura tradizionale è in verità già molto focalizzata sull’attenzione ai criteri Esg e in particolare alle tematiche ambientali, per lo più spinta da sollecitazioni esterne. «E lo è in particolare da un paio di anni, prima che il Covid esplodesse – dice Isabella – i motori di questa accelerazione sono due: il primo è un sempre crescente interesse degli utenti a valle (clienti e dipendenti), e il secondo è il coinvolgimento, a monte, della finanza».

Dal lato dei clienti finali, i numeri dicono che il 90% dei consumatori finali è disposto a passare a marchi sostenibili a parità di prezzo e qualità (ovvero che senza Esg, diventa complesso anche fidelizzare i clienti) e il 68% di quelli europei è incline a preferire prodotti che hanno fatto un viaggio più breve per arrivare sullo scaffale, il che prediligerà sempre le aziende che adottano una filiera corta. Ancora, l’88% della popolazione di Usa e Regno Unito chiede alle industrie di essere più etiche sul fronte ambientale. Anche per attrarre talenti sembra ormai indispensabile puntare sulla sostenibilità: il 75% dei Millennial Usa (la fascia di età tra 18 e 34 anni) si aspetta che il proprio datore di lavoro si posizioni per contrastare il cambiamento climatico mentre circa il 40% della stessa generazione in tutto il mondo privilegerebbe, nella scelta di un lavoro, un’azienda sostenibile rispetto a una che non lo è.

numeri dicono che il 90% dei consumatori finali è disposto a passare a marchi sostenibili a parità di prezzo e qualità (ovvero che senza Esg, diventa complesso anche fidelizzare i clienti) e il 68% di quelli europei è incline a preferire prodotti che hanno fatto un viaggio più breve per arrivare sullo scaffale, il che prediligerà sempre le aziende che adottano una filiera corta. Ancora, l’88% della popolazione di Usa e Regno Unito chiede alle industrie di essere più etiche sul fronte ambientale

E poi c’è la finanza: i fondi di investimento istituzionali, ma anche i private equity, sono sempre più focalizzati su asset performanti sul fronte della sostenibilità «che è un fattore di resilienza fondamentale, non solo per le industrie che sono a contatto con il cliente finale come l’automotive, ma anche per quelle più btob, come l’acciaio. Che pur essendo molto indietro nella catena del valore è sollecitato, perché gli stakeholder chiedono disciplina ambientale», dice Isabella. Tra gli stakeholder infatti figurano anche gli Stati e le organizzazioni sovranazionali: non è una novità che l’Ue abbia posto come obiettivo al 2050 il raggiungimento di emissioni zero e che le industrie più energivore (tra cui quella siderurgica) siano chiamate al massimo contributo, mentre 127 Paesi in tutto il pianeta stiano lavorando per bandire i prodotti in plastica usa e getta, chiedendo di fatto a chi usa la plastica come base del packaging – e dunque ai produttori di macchine – di cambiare completamente modello di business.

 

Questione di strategia: acciaio in difesa e filiera della carta in attacco

E se il trend riguarda trasversalmente ogni industria, a seconda del settore, la sostenibilità si attua o per ricercare opportunità o per difesa. «La metallurgia, che è energivora per definizione, sta lavorando moltissimo sulla capacità di ridurre emissioni grazie alla tecnologia, fino a interventi estremi con l’introduzione dell’idrogeno verde per produrre acciaio: si tratta però di strategie in difesa, perché ancora non è chiaro se i clienti finali saranno disposti a pagare un premio per l’acciaio prodotto con questa tecnologia. Ma intanto le filiere per la produzione del metallo sono pressate nel raggiungimento di target ambientali, perché i settori utilizzatori, tra cui l’auto, ne chiede conto e non compra pelli, metalli, alluminio, che non monitorino le emissioni. Dunque questo elemento diventa una leva di competizione».

Riguardo ai settori che invece fanno della sostenibilità una scelta proattiva, per aprirsi nuovi spiragli di mercato, c’è ancora la filiera della carta che se rispetta la sostenibilità a tutto tondo ha molta più possibilità di essere prediletta nel processo di sostituzione della plastica nel campo del packaging, per esempio. «Il plastic to paper è un grosso trend, che consiste sostanzialmente nel sostituire prodotti o imballaggi in plastica con la carta: ed è un effetto evidente della spinta ambientale», commenta Isabella. Ma non è un’opportunità che si limita ai soli produttori di carta, bensì coinvolge anche i costruttori di macchine industriali. «Parrebbe, essendo per lo più i produttori di macchine degli assemblatori di oggetti, che essi possano fare poco in tema di efficienza energetica – dice Isabella – Ma in realtà hanno il ruolo di poter progettare e costruire macchine meno energivore e abilitanti i processi efficienti per i clienti, che hanno problemi di sostenibilità. Costruire macchine per il packaging sostenibile vuol dire passare da macchine che lavorano o accoppiano la plastica con impianti che lavorano la carta, ovvero attuare una grande trasformazione».

Anche per attrarre talenti sembra ormai indispensabile puntare sulla sostenibilità: il 75% dei Millennial Usa (la fascia di età tra 18 e 34 anni) si aspetta che il proprio datore di lavoro si posizioni per contrastare il cambiamento climatico

Per vincere ci vuole visione di lungo termine (che nel 90% dei casi manca)

Ma se la sostenibilità è strategica per le imprese, questa deve sposarsi con la necessità di darsi obiettivi di medio e lungo termine, «chi vince non è la società con la performance ambientale migliore, ma quella che nel proprio gruppo ha piani dichiarati e scientificamente definiti di miglioramento delle proprie performance. È importante avere oggi un piano che indichi che al 2030 voglio raggiunge un target o ridurre le emissioni del 30%. E su questo mi misuro».

Una prospettiva che non è così diffusa: il 90% delle aziende ha un piano di sostenibilità che fotografa lo status quo ma non dice nulla sui progetti evolutivi. «E questo – conclude l’esperto di Bain & Co – non solo in Italia ma in tutto il mondo. un tema rilevante perché la finanza è diventata severa. I fondi di investimento hanno funzioni e competenze di sostenibilità e guardano molto puntualmente questi fattori. Senza parlare anche dell’accesso a finanza agevolata, le banche avvantaggiano le aziende che sono avanti su certi livelli di performance ambientale. Tutto il sistema degli stakeholder chiede sostenibilità, che non è più opzionale. Per questo chi lo percorre in maniera più veloce e efficace ha un vantaggio competitivo».














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