Sorpresa: la politica industriale c’è. Però manca…

Frecce strategiche

di Laura Magna ♦ La politica industriale italiana c’è. Anzi, è in arrivo una svolta strategica, spiega Marco Taisch, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano.







Il grande assente del sistema economico italiano? Sorpresa: non è la politica industriale. Così la pensa, almeno, Marco Tasich, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano nonché, dal 2002, consulente per la Commissione europea dove si occupa dello studio dei trend tecnologici. Taisch è uno dei maggiori esperti di dinamiche industriali domestiche. E c’è da credergli se dice che all’Italia mancano molte cose, ma ci avviciniamo ad avere una politica industriale veramente efficiente, spiega a Industria Italiana.

Marco Taisch
Marco Taisch

Domanda. Professor Taisch, dunque la vexata quaestio secondo cui in Italia manca una vera politica industriale è, semplicemente, falsa?

Risposta. Dire che una politica sia assente non è vero, o quantomeno non totalmente corretto. Intanto, il governo in carica ha fatto norme come il super ammortamento (che consente alle aziende di dedurre il 140% del prezzo di acquisto dei beni strumentali, ndr) o la legge Sabatini (per migliorare l’accesso al credito di quelle che investono beni strumentali, ndr): norme che sono di aiuto e supporto del sistema industriale. Al di là del contingente, in ogni caso, in questo momento credo che ci sia un aspetto importante che va considerato. E cioè che si va verso un nuovo modello di industria, il 4.0, che è un tema molto sentito anche in sede europea. Quello che la Commissione Europea ha fatto è stato prendere consapevolezza che la crescita economica di non può essere basata solo su finanza e servizi, ma deve essere sostenuta da una crescita bilanciata di tutti i settori compreso quello manifatturiero.

D. Che cosa è successo? A un certo punto qualcosa è cambiato: la crisi c’entra?

R. Sì. La crisi iniziata nel 2008 ci ha riaperto gli occhi sul fatto che subivamo un’ubriacatura da crescita legata a finanza e servizi. Innanzitutto la Ue, poi seguita da singoli Stati, in primis la Germania, hanno cambiato registro. Nel novembre del 2008 nell’European Economic Recovery Plan il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, aveva individuato i tre settori da rilanciare per uno sviluppo sostenibile: manifattura, automotive e building. La Germania è stata la prima ad accogliere questo documento e lavorarci inventando la politica industriale dell’industre 4.0. Da lì altri Paesi si sono accodati.

D. Ma l’Italia è rimasta indietro. Com’è e come dovrebbe essere la politica industriale italiana, anche nel confronto con quella europea?

R. Siamo indietro, ma stiamo lavorando. Il neo-insediato ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda ha annunciato che prima della pausa estiva sarà pubblicato un documento sul manifatturiero italiano. Si sta lavorando, lo dico con cognizione di causa avendo partecipato ai tavoli come Politecnico di Milano, e sono molto confidente sul risultato. Entro la prima settimana di agosto sarà già stilato un documento. Noi siamo stati più lenti, ma è anche vero che ora stiamo recuperando velocemente. Dirò di più: non è che gli altri grandi Paesi europei abbiano avuto un passo molto diverso. La Francia, per esempio, ha fatto il suo piano di azione molto di recente. Inoltre, oggi al tavolo italiano tra le istituzioni e i grandi poli della ricerca, politecnici e Cnr e Confindustria c’è un’ottima collaborazione e una visione d’insieme, una comunione di intenti importante. Stiamo mirando tutti allo stesso obiettivo nel migliore dei modi e nel rispetto dei contributi che ciascuno può portare.

Carlo Calenda
Carlo Calenda

D. Lei ha parlato di norme come il super ammortamento e la legge Sabatini, che però sono provvedimenti di snellimento e facilitazione, o di emergenza, non una vera politica industriale. 

R. Una politica industriale è un’azione di medio e lungo periodo. Ma non è che possiamo far finta di non sapere da dove veniamo: da una crisi con pochi precedenti storici. L’Italia con l’avvento del governo tecnico di Mario Monti era sull’orlo del default e forse ce ne siamo dimenticati: i provvedimenti di quel governo servivano a evitare il fallimento. Allora è chiaro che è stato necessario guardare al breve periodo e poi cominciare a pianificare il medio e lungo periodo. Se lo fai non guardando alle urgenze, al medio-lungo non arriverai mai. Sono convinto che fosse necessario varare provvedimenti di urgenza che consentissero di superare la fase critica. Il governo in carica ha proseguito questa tattica, che era necessarie per garantire la sopravvivenza del Paese. Poi, se parla con gli industriali sono contenti del super ammortamento. La Sabatini ha fatto aumentare le esportazioni delle imprese che producono tecnologia in Italia. Abbiamo un sistema industriale sano che ha la possibilità di scaricare a terra la potenza. Abbiamo finito di lavorare? Non credo. Ci sono sul tappeto ancora tutte le vecchie questioni irrisolte del mercato domestico: la burocrazia che ingessa l’impresa italiana, per esempio, o un sistema non politico ma incancrenito che mira alla autogenerazione. I risultati di queste che devono essere vere rivoluzioni si vedono alla lunga.

D. Stati Uniti e Germania hanno politiche industriali basate su forti investimenti pubblici nel campo della ricerca, a livello universitario, scientifico e pre-competitivo. Potremmo fare così anche noi? 

R. Non sono d’accordo. Il governo tedesco non ha investito cifre significative. Anzi, quelle che il nostro ministro sta pensando sono molto più alte di quelle tedesche. Quello che ha fatto la Germania è un’operazione che va bene solo lì, perché è un lavoro di supporto politico ai grandi produttori di tecnologia tedesca, le varie Siemens, Bosch, Sap, le protagoniste di questa rivoluzione, in quanto fornitori della tecnologia che sta alla base di industria 4.0. L’iniziativa tedesca è stata di due tipi: una forte azione di awareness, consistita nel diffondere attraverso tutti i canali mediatici possibili l’idea che lo sviluppo del Paese vada basato su un sistema industriale efficiente. L’obiettivo, a mio avviso centrato, era arrivare all’intero sistema Paese, imprenditori, ricercatori, famiglie. E a ognuno il governo di Berlino ha chiesto di fare il suo: ha dato una svegliata generale, parlandone. Perché anche le famiglie? Uno dei problemi con cui ci si scontra quando si ha bisogno di rendere l’industria efficiente sono gli skill, servono persone che abbiano competenze tecniche. In seno alle famiglie si formano i futuri tecnici e credo che dirlo sia stata una grande intuizione. Il secondo filone su cui ha agito il governo tedesco è stato di aver fatto di industry 4.0 un grande sistema di marketing del Paese Germania. Il fatto di aver fatto sì che la locuzione sia sinonimo di quarta rivoluzione industriale e che venga immediatamente associato alla Germania è una grande operazione di marketing. Ecco, questi due punti possiamo e dobbiamo copiarli dalla Germania e sono punti presenti nel piano del governo.

Impianto Bosch ad Amburgo
Impianto Bosch ad Amburgo

D. Fin qui le similitudini, ma Germania e Italia sono appunto realtà molto differenti. Di che cosa abbiamo bisogno noi?

R. Innanzitutto non abbiamo colossi, ma utilizzatori di quelle tecnologie. Abbiamo un forte settore meccanico: i nostri produttori di macchine costruiscono oggetti che opportunamente abilitati da tecnologie digitali possono diventare più competitivi. Possiamo dunque aumentare la competitività di quei prodotti che esportiamo in tutto il mondo e che hanno sorretto la nostra economia nel buio della crisi. Dobbiamo concentrarci sui produttori di macchine. Il secondo punto focale della via italiana alla politica industriale 4.0 sono le Pmi. Mi dispiace, ma questa rivoluzione sarà ragione di selezione naturale. La nostra responsabilità è sensibilizzare le Pmi sul fatto che il mondo sta andando in quella direzione, aiutarle con strumenti di defiscalizzazione degli investimenti, poi l’imprenditore deve fare il suo lavoro, altrimenti soccombe. Credo che la politica industriale a quel punto esaurisca il suo compito: sarò cinico, ma è così.

D. E gli strumenti ci sono, non solo ti tipo fiscale. Il progetto Cluster Fabbrica Intelligente, per esempio.

R. È un progetto partito dal Miur, che ha creato una serie di cluster su settori strategici del sistema Paese. Uno di questi è, ovviamente, il manifatturiero. Il Cluster Fabbrica Intelligente svolge due ruoli. Il primo è stato avviare, nel 2013, quattro grandi progetti di ricerca ciascuno da 10 milioni di euro, sui temi del manifatturiero. Il secondo è stato aver scritto la roadmap tecnologica analizzando i trend tecnologici sui quali sia necessario investire in termini di ricerca e innovazione. Su questo documento il Mise ha lavorato per andare a costruire il bando di finanziamento delle attività di innovazione che sarà pronto nei prossimi mesi. Anche questo è un lavoro corretto dal punto di vista del metodo perché è stato condotto da organismi di ricerca insieme alle imprese. Chi ha individuato gli elementi competitivi non l’ha fatto in maniera autoreferenziale, ma chiedendo ai diversi portatori di interessi. Si tratta di nuovo modo di operare per l’Italia, che è stato inaugurato dal governo Monti e che questo governo sta proseguendo. Si tratta di un cambiamento positivo e importante nel modo di lavorare.

D. Insomma, le buone notizie sono molte. A partire dalla politica industriale che a breve vedremo concretizzarsi e da cui è iniziata la nostra chiacchierata. Quali sono invece le cattive notizie? 

R. La brutta notizia è che tutto il buono che c’è e che si sta tentando di fare potrebbe non bastare. Un Paese non è solo politica industriale: ne avremo una ottima, ma un Paese è fatto di Pubblica amministrazione che deve essere efficiente, di una politica fiscale adeguata a favorire competizione, di una serie di altre cose in cui siamo carenti. Senza le quali, anche una buona politica industriale, alla fine, può fare poco.

Logistica e cloud, progetto Bosch
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