Girls code it better: un fantastico progetto per avvicinare le bambine al mondo science, technology, engineering and mathematics

di Laura Magna ♦︎ Iniziativa per accostare le ragazze delle medie a studi e professioni Stem. Il divario di genere è causato soprattutto dal fatto che questi lavori - i più ambiti e retribuiti - vedono una minoranza di sesso femminile. A monte, le giovani donne scelgono ancora poco le facoltà tecnologiche ed economiche, per orientarsi verso studi letterari che aprono spesso un futuro incerto e precario. Un ritardo culturale da recuperare. Il sostegno di Sew-Eurodrive

Un percorso storico ricostruito su Minecraft, la season box che installata in classe ne misura grado di umidità e temperatura, il filtro creato con la stampante 3d che addolcisce l’acqua che si beve a scuola, un registro elettronico che rileva la stanchezza degli alunni, un robot smart che pulisce l’aula e fa la raccolta differenziata.

Sono alcuni dei prodotti nati dalla fucina di Girls code it better (Gcib), un programma che vuole portare le giovani donne che siedono sui banchi delle scuole medie verso le professioni Stem, acronimo che significa Science, technology, engineering e mathematics. Abbiamo deciso di parlarne perché a Industria Italiana questo progetto – e tutti gli altri simili – piace enormemente. Per due ragioni. La prima è che siamo convinti che oggi – e più che mai in futuro – ci sia un fortissimo bisogno di queste professionalità, e quindi occorrono più persone che le studino, a cominciare da quelle di sesso femminile, che per ragioni culturali e sociali vengono purtroppo incanalate verso studi letterari o linguistici di scarso appeal professionale. Il futuro dell’Italia dipende fortemente dalla nostra capacità di cavalcare le rivoluzioni tecnologiche in corso che – nonostante i luoghi comuni in cui molti per ignoranza credono (compresi gli improvvidi commentatori che ogni tanto scrivono sciocchezza sulla nostra pagina Facebook e che noi cancelliamo e stigmatizziamo) – creano molto più lavoro e ricchezza di quanta non ne distruggano. Altrimenti, corriamo il rischio di sostituire gli operai e gli impiegati che svolgono mansioni ripetitive e a basso valore aggiunto che verranno estromessi dal mercato del lavoro con tecnici e manager non italiani, ma importati da altri Paesi. O addirittura, di non sostituirli affatto, avviandoci verso una triste decadenza causata dal non essere stati in grado di cavalcare – come sistema Paese – questa rivoluzione.







La seconda ragione per cui i progetti come questo ci piacciono tanto è che siamo fortemente convinti che il divario di genere a livello retributivo e di carriera dipenda soprattutto dal fatto che le professioni più retribuite e con maggiori prospettive siano legate a studi tecnici ed economici, dove ancora oggi, purtroppo, vengono indirizzate troppe poche ragazze. Non nascondiamoci dietro inutili ipocrisie: la classe dirigente è fatta soprattutto di ingegneri, e poi anche di economisti. È così oggi, e domani lo sarà ancora di più. Ma ancora nel 2020, solo il 30% dei laureati in ingegneria è di sesso femminile. Urge colmare il divario, e va fatto fin dall’infanzia.

Ne abbiamo parlato con Costanza Turrini, la manager che lo ha ideato e che a Industria Italiana ne ha illustrato la filosofia. Prima di entrare nel vivo del discorso con lei, sottolineiamo che il progetto è meritatamente sostenuto da Sew-Eurodrive, la multinazionale tedesca dell’automazione che in Italia è guidata da Giorgio Ferrandino.

 

Girls code it better club Borgotaro Via degli Abati Edition. È stato rappresentato all’interno del Mondo digitale di Minecraft Education l’itinerario Francigeno di montagna chiamato “Via degli Abati”. 

La ratio del progetto

«Intervenire prima della scelta della scuola superiore permette il coinvolgimento di tutte le ragazze potenzialmente interessate, perché possano pensarsi in un percorso formativo non scontato e libero da stereotipi culturali. È qui che si gioca la partita: le analisi sociologiche dicono con chiarezza che le ragazzine di prima media si vedono in qualsiasi ruolo, ma già alla fine di quel ciclo scolastico, iniziano a fare marcia indietro rispetto a professioni e scelte “maschili” qual è considerata la tecnologia a tutto tondo. Virano verso ciò che il mondo si aspetta da loro, abbandonano le reali aspirazioni. Ma facendo anche un solo anno del nostro progetto tornano a pensare di poter diventare tecniche programmatrici. In pratica noi apriamo finestre su progetti attraverso cui vogliamo aiutare le ragazze a capire come si costruisce un sapere: la metodologia trasmissiva non funziona con i nativi digitali. Le ragazze iniziano a ideare un progetto digitale, ne fanno lo studio di fattibilità, poi realizzano la presentazione finale che si terrà nel corso di un evento che contamina tutta la scuola. Ad aiutare lo sviluppo delle competenze è un tecnico che noi portiamo nella scuola, un maker».

 

Come funziona Girls Code It Better

Costanza Turrini, Ideatrice e Project Manager Girls code it better

Girls Code It Better è stato lanciato nel 2014 all’interno di Officina futuro della Fondazione Maw- Man at work, braccio della Maw agenzia per il lavoro: «Abbiamo creato una fondazione proprio per occuparci di quei soggetti che possono essere più fragili e al momento abbiamo questa idea ambiziosa di fare un orientamento che sia sperimentale: le ragazze devono provare sul campo davvero quello che vogliono fare», spiega Turrini cheda sei anni porta laboratori gratuiti di informatica, progettazione e tecnologie digitali nelle scuole medie ormai in quasi tutta la Penisola. Il primo anno erano solo 10 le scuole partecipanti, tra Emilia e Lombardia, territori “comodi” per fare i primi test e valutarne la scalabilità: per attivare Gcib si richiede l’impegno di tutto un territorio oltre che dell’istituzione scolastica. «Adesso la struttura si è ampliata con un insegnante che coordina tutte le scuole e insegnanti tutor che anche da remoto guidano le scuole più lontane o difficili se incontrano difficoltà, facciamo formazione a formatori e maker in ottobre online e poi li guidiamo nel corso dell’anno. Nel 2020 saremo su 10 Regioni».

 

Stampa 3d, realtà aumentata, programmazione: le skill

Girls code it better prevede la formazione in ogni scuola di un “Club” di studentesse, impegnato in un percorso di circa 4 mesi, guidato da un coach-docente e un coach-maker

Nella pratica, il programma prevede la formazione in ogni scuola di un “Club” di studentesse, impegnato in un percorso di circa 4 mesi e (45 ore di incontri extracurriculari pomeridiani), guidato da due figure, un coach-docente, (un insegnante della scuola) e un coach-maker (reclutato sul territorio). In ogni laboratorio 20 ragazze (sorteggiate in maniera casuale tra le candidate della scuola) affrontano un tema e l’elaborazione di un progetto che preveda lo sviluppo di un’area tecnica strumentale scelta tra schede elettroniche e automazione; progettazione, modellazione e stampa 3D; web design e web development; programmazione app e gaming; realtà virtuale e aumentata; videomaking.

«In ogni laboratorio il coach docente e il coach maker, in compresenza, agevolano la scoperta degli strumenti e alimentano la creatività con il sostegno della metodologia di Lepida Scuola per la quale hanno seguito un percorso di formazione. Imparare a imparare, risolvere problemi, lavorare in team, esercitare il pensiero critico, comunicare sono le competenze chiave che le ragazze sono chiamate a esercitare», spiega Turrini.

 

Includere scuole e ragazze fragili

Che se inizialmente doveva cercare le scuole, adesso è sommersa dalle richieste. Ma non avendo finanziamenti illimitati «definiamo qual è il numero di scuole che possiamo sostenere: ne abbiamo 40 e altre in lista di attesa. In Italia ci sono tanti insegnanti che hanno voglia di fare bene e in maniera moderna il loro lavoro. Siamo a caccia di finanziamenti, è un progetto scalabile ma dal momento che non vogliamo farlo pagare e non vogliamo basarci sul volontariato, c’è bisogno di chi lo finanzi». Perciò Turrini ha presentato un bando con Horizon 2020, nella speranza di poter già da settembre riuscire a duplicare il numero delle scuole. «Noi potremmo farlo in tutta in Italia. Abbiamo creato un sistema, basato sulla collaborazione tra insegnanti e territorio, che consente di attivarlo ovunque, anche in un paesino remoto che non ha il Fablab. Riusciamo a portare i maker in luoghi più decentrati, nei Paesi a rischio spopolamento che sono al Sud ma anche al Nord».

 

Abbattere le barriere  

In ogni laboratorio 20 ragazze (sorteggiate in maniera casuale tra le candidate della scuola) affrontano un tema e l’elaborazione di un progetto che preveda lo sviluppo di un’area tecnica strumentale scelta tra schede elettroniche e automazione; progettazione, modellazione e stampa 3D; web design e web development; programmazione app e gaming; realtà virtuale e aumentata; videomaking

Finora il progetto è servito a formare 3460 ragazze circa il 168 club e 91 scuole in 11 regioni italiane. Nel 2020 è prevista all’apertura del nuovo anno scolastico l’attivazione di 40 nuovi laboratori e grazie a una collaborazione con il Comune di Bologna anche due lab sperimentali alle superiori. «Saremo in un Liceo Classico e in un Liceo delle Scienze Umane per superare la tradizionale separazione dei saperi, umanistico e scientifico», dice Turrini. Non solo. Il prossimo anno scolastico il progetto sbarcherà in Puglia, in Molise, Calabria e nel Lazio: con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente le scuole del Sud per innescare un meccanismo virtuoso di appeal per la formazione scientifica e per lo sviluppo personale e professionale delle ragazze.

«Le sei scuole del Sud sono quelle che mi interessano di più insieme alle scuole fragili. Il progetto è estremamente inclusivo e punta anche a coinvolgere anche i ragazzi più fragili di famiglie straniere che difficilmente vanno a fare corsi pomeridiani. Ci vogliono azioni inclusive che diano basi omogenee a tutti. Speriamo di poter allargare la nostra collaborazione anche Sew-Eurodrive e altri partner che ci aiutino a portare avanti il progetto. La prima cosa che continuiamo a dire che deve rimanere gratuito». Un vero ariete determinata ad abbattere ogni barriera all’ingresso, compresa quella causata dal lockdown e dall’impossibilità di continuare e lavorare in presenza. «Con il lockdown il laboratorio in presenza non è stato attivabile e le ragazze hanno chiesto di poter continuare online. Quindi insegnante della scuola formato e maker hanno ricalibrato i progetti per farli completamente online e le ragazze hanno continuato a lavorare. La sfida è forte ed è quella di costruire un percorso modulabile, in presenza e a distanza, assecondando non solo le esigenze del periodo ma anche le esigenze individuali delle ragazze».

 

Perché le Stem vanno coltivate fin dalle scuole medie

«Ci piacerebbe andare sui territori, attivare la curiosità nelle ragazze e accompagnarle nella scelta delle scuole superiori, che anche se non cade su quella più di appealing per il mondo del lavoro, se affiancata da competenze nel mondo digitale apre un’altra opportunità. Crediamo che sia necessario pensare nel lungo periodo. Non possiamo fare azioni all’università, dove le studentesse sono il 59% e sono più brave in media, perché equivale a perdere metà della squadra. Dobbiamo agire in anticipo per far sì che non esistano più ambienti dove la diversità sia solo al 13%. Il digitale e la tecnologia è un ambiente escludente di per sé. Ma noi vogliamo fare di più: cercare talenti dove le famiglie non supportano. Secondo noi, la scuola deve cambiare e non possiamo aspettare solo il Miur».

Si deve agire perché da questo cambiamento dipende il futuro della società e dell’economia. Sono trascorsi oltre venti anni da quando Kathy Matsui nel 1999 elaborò per Goldman Sachs la teoria della Womenomic, sostenendo in pratica che la partecipazione delle donne al mondo del lavoro avrebbe portato una sferzata alla crescita economica del Giappone. Nel 2014 Matsui ha calcolato questa “sferzata” nella misura di un Pil aggiuntivo del 13%. E per l’Italia, che dal punto di visto della demografia e dei tassi occupazionali è molto affine al Giappone, non sarebbe molto diverso: secondo l’agenzia europea Eurofund, la sottooccupazione femminile in Italia ha un costo pari al 5,7% del Pil e la rimozione di questo gap avrebbe un impatto positivo sullo stesso nella misura dell’11%.

 

Le donne italiane studiano le Stem, ma non le usano per lavorare 

Finora il progetto è servito a formare 3460 ragazze circa il 168 club e 91 scuole in 11 regioni italiane. Nel 2020 è prevista all’apertura del nuovo anno scolastico l’attivazione di 40 nuovi laboratori e grazie a una collaborazione con il Comune di Bologna anche due lab sperimentali alle superiori

Il gender gap index del Wef sostiene che sia necessario ancora un secolo per chiudere il gender gap, sebbene invece le donne abbiano quasi raggiunto la parità sul fronte dell’istruzione (mancano 12 anni e la parità è acquisita in 40 Paesi su 153). Nella classifica del Wef l’Italia è al 76esimo posto (ha perso sei posizioni rispetto al 2018) ma molto più in basso quando guardiamo al solo ambito della partecipazione economica: siamo al 117esimo posto. E questo nonostante spicchiamo (insieme all’India) per essere tra le uniche due nazioni con un gender gap insignificante nell’istruzione superiore in ambito Stem. E, se non bastasse, L’Italia è al primo posto nella classifica delle iscritte donne all’università (che il Wef definisce formazione terziaria). Insomma le donne italiane sono un patrimonio che il mondo del lavoro ignora.

 

Le studentesse italiane sono le più brave nelle materie Stem (ma non le usano per lavorare) 

«I vantaggi economici legati al possedere una laurea sono associati all’ambito di studio: ad esempio, i laureati in ingegneria e nei campi del gruppo scientifico mostrano tassi di occupazione a 5 anni dalla laurea di circa il 10% più alti (89% rispetto ad 80%) ed ottengono retribuzioni fino al 46% più alte (1700 euro circa rispetto a 1200) di coloro che sono laureati in ambito psicologico (Almalaurea, 2019). La presenza di laureati in aree scientifiche può inoltre avere ricadute positive sulla società, incrementando l’innovazione, la crescita economica e il benessere degli individui. Anche se le ragazze tendono a completare con successo percorsi universitari più frequentemente dei colleghi di genere maschile, esse continuano a preferire ambiti meno remunerativi sul mercato del lavoro. Coinvolgere più ragazze in questi ambiti potrebbe però avere ricadute positive sia per i singoli individui sia per i livelli di crescita economica del Paese», dice Turrini.

Diverse spiegazioni sono state proposte per giustificare queste disparità di genere: la diffusa presenza di stereotipi di genere, la ridotta consapevolezza e fiducia nelle proprie capacità, la scarsa conoscenza dei benefici che si possono trarre dal proseguimento del percorso formativo in settori scientifici, il ruolo della famiglia e degli insegnanti nell’indirizzare verso particolari percorsi. «La persistenza nella scelta degli ambiti di studio tra scuola superiore e università suggerisce che sia importante intervenire limitando queste barriere già quando si frequenta la scuola media. È necessario agire prima che il pregiudizio, che vede le ragazze poco inclini alla tecnologia e all’informatica, si sia affermato: è utile avvicinare le ragazze alle Stem già alle scuole medie per facilitare un orientamento consapevole e maggiormente rispettoso delle inclinazioni e delle intelligenze», dice ancora la manager.

 

Gcib potenzia l’attitudine digitale (e la fiducia delle ragazze)

Il progetto è sostenuto da Sew-Eurodrive, la multinazionale tedesca dell’automazione che in Italia è guidata da Giorgio Ferrandino

Sollecitare queste competenze chiave per il mondo del lavoro delle studentesse riesce a far avvicinare più ragazze a percorsi di formazione in ambito scientifico, riducendo le barriere che ne limitano l’accesso? Per rispondere a questa domanda è stata realizzata una ricerca da Michela Carlana (Harvard University e Leap-Università Bocconi) e Margherita Fort (Università di Bologna). I dati sono stati raccolti su un campione di circa 4.300 studenti in 16 scuole secondarie di I grado partecipanti al progetto nell’anni scolastico 2018-19. Ebbene, il 53% delle ragazze intervistate sostiene che il proprio genere rappresenti una barriera a perseguire il desiderato percorso di formazione, con un picco che raggiunge il 65% per le ragazze che avevano fatto domanda a Gcib e quindi con un interesse più elevato alle materie Stem; tra i ragazzi, la frazione di chi ha questa opinione scende al 41%.

Nel campione, il 77% circa dei ragazzi dichiara di gradire la matematica, contro il 67% di ragazze che non hanno fatto domanda a Gcib (le percentuali diventano 81% e 75% nel caso dell’educazione tecnica): partecipare al programma Gcib incrementa questa frazione di 15 punti percentuali per matematica (un incremento del 22% rispetto al gruppo di controllo) e 6 per educazione tecnica (un incremento dell’8% rispetto al gruppo di controllo). Anche in questo caso, l’effetto della partecipazione a Gcib compensa le differenze osservate tra studenti e studentesse. Partecipare al programma Gcib aumenta la probabilità di voler diventare una programmatrice di circa 10 punti percentuali, un incremento di circa il 20% rispetto al gruppo delle studentesse di controllo che avevano fatto domanda a Gcib ma non erano state selezionate per partecipare. Questa professione rappresenta una prospettiva interessante per molti studenti (47% del campione) ma con forti disparità di genere (59% tra i ragazzi, 33% tra le ragazze che non avevano fatto domanda a Gcib). L’effetto su aspirazioni e percezione delle barriere legate agli stereotipi di genere indica che il progetto Gcib potrà avere un impatto sostanziale nell’influenzare scelte di istruzione ed occupazione delle ragazze che vi partecipano. Un primo passo nella direzione giusta per avere più donne in Stem.














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