Servitizzazione e pay-per-use: è il futuro della manifattura? La partita è tra Oem e componentisti

di Marco de' Francesco ♦︎ Per ora il modello di business riguarda le aziende che realizzano l’articolo finito. Vanno esclusi i beni emozionali, dove il possesso è parte dell’esperienza. Sono potenzialmente servitizzabili i prodotti durevoli e funzionali, quelli in cui il service vale, nel life cycle, più del prezzo di acquisto. Rolls Royce: Power-by-the-Hour, installazione, controllo, manutenzione e disattivazione di propulsori. Candy: affitto di lavatrice con canone mensile. Se n’è parlato in evento organizzato da The Innovation Group. Con: Bonfiglioli, Cosberg, ServiceNow, Dassault Systèmes, Leonardo, Adobe, Cifarelli, Elica

Rolls RoyceCandyIbmXerox: non mancano esempi di successo di servitizzazione, un modello di business diffuso per lo più in ambito Ict e fondato sulla trasformazione delle aziende dalla vendita di un prodotto alla fornitura di un servizio. Avanza il “pay-per-use”, dove il bene è pagato in funzione di un indicatore d’uso previsto da contratto: il “canone” include la manutenzione e i servizi accessori, come gli aggiornamenti tecnici; ed è talora legato alla performance, in modo che il cliente abbia la certezza di non pagare più del dovuto. È anche un investimento in termini di sostenibilità, perché la manutenzione continua e il monitoraggio IoT incidono sulla durata nel tempo della macchina, con minore impatto ambientale.      

La strada è segnata? La manifattura del prossimo futuro non produrrà per vendere, ma per “noleggiare” un bene connesso, sensorizzato e monitorato, grazie a tecnologie come l’IoT e l’intelligenza artificiale? Non è proprio così. Anzitutto, i componentisti non sono della partita. Il modello di business sembra riguardare soltanto le aziende che realizzano il prodotto finito. Inoltre vanno esclusi tutti quei beni di lusso, detti “emozionali”, dove il possesso è parte dell’esperienza. Alla fine, sono potenzialmente servitizzabili i prodotti durevoli e funzionali, quelli in cui il service vale, nel life cycle del bene, assai più del prezzo di acquisto.   







Sono solo alcune delle suggestioni emerse nel corso del recente incontro “Il Pnrr a sostegno della trasformazione digitale e della transizione ecologica” nel contesto dell’evento “Smart manufacturing summit 2022” organizzato da The Innovation Group (Tig), una società di servizi di consulenza e di ricerca di mercato indipendente, specializzata nello studio delle evoluzioni del mercato digitale e nei processi d’innovazione abilitati dalle tecnologie e dalla conoscenza. Il dibattito è stato moderato dal general manager di Tig Emilio Mango.

 

Rolls Royce e Candy: due esempi di servitizzazione

Rolls Royce ha dato vita ad un modello di business molto interessante, il “Power-by-the-Hour”, che è un “pay-per-use” a lungo termine

«Un esempio che ha fatto la storia è quello di Rolls Royce» – afferma lo Strategy, M&A and corporate development director di Bonfiglioli Francesco Millo. Una premessa: il brand Rolls Royce (ora appartenente al gruppo Bmw) è noto al grande pubblico per le sfavillanti auto di lusso, quelle che i Reali utilizzano nei film. In realtà l’azienda è uno dei principali costruttori a livello globale di motori a turbina per aerei. Da anni ha dato vita ad un modello di business molto interessante, il “Power-by-the-Hour”, che è un “pay-per-use” a lungo termine: per una tariffa oraria fissa per propulsore, Rolls Royce si occupa di installazione, controllo, manutenzione e disattivazione. Le compagnie di navigazione aerea hanno accolto la novità con favore, perché non era un loro obiettivo far parte del business della produzione di motori a reazione e perché non volevano utilizzare preziose risorse per l’inventario dei propulsori, per le strutture di riparazione, per i tecnici e per l’assicurazione sulla responsabilità civile. Di tutte queste cose si occupa Rolls Royce. D’altra parte, Rolls Royce registra e analizza miliardi di dati dai quasi 4mila motori installati, e non solo per valutare il tempo di volo; potenti software consentono all’azienda di attuare la manutenzione preventiva e predittiva, di intervenire in caso di emergenza e di progettare propulsori sempre più sicuri.

Produzione alla Candy. L’azienda del gruppo Haier ha lanciato WashPass, un servizio di lavaggio con canone mensile

Un altro esempio di rilievo è quello di Candy (del gruppo Haier), che ha lanciato WashPass. È il primo caso importante al mondo di servitization di beni di consumo di massa: un precedente che sta facendo la storia. In Gran Bretagna Candy propone il servizio di lavaggio con canone mensile a partire da sette sterline, comprensivo di cartucce di detersivo dosato con l’intelligenza artificiale (e quindi risparmiando) e di manutenzione. Al termine del periodo di affitto, la lavatrice ritorna da Candy che la può rigenerare e riutilizzare, totalmente o nei suoi componenti, con grande beneficio per l’ambiente. Dopo tre anni il consumer può decidere se continuare ad utilizzare quella lavatrice o se prenderne una nuova, sempre con lo stesso sistema di pagamento. Le lavatrici “in affitto” sono connesse e sensorizzate. La strada è segnata? Secondo il direttore di Industria Italiana Filippo Astone «bisogna considerare anche il fatto che il pay-per-use immobilizza un ingente capitale, dal momento che non c’è un rientro immediato. Le aziende dispongono di queste risorse?». «Noi ci stiamo preparando, perché le macchine che realizziamo possono costare anche un milione, e con il nuovo modello di business potrebbero essere utilizzate anche da piccole aziende che non avrebbero altrimenti la possibilità di acquisirle. Ma non è un percorso a breve termine» – afferma Gianluigi Viscardi, Ceo della Cosberg di Terno d’Isola, Bergamo, azienda che realizza macchine e moduli per l’automazione dei processi di montaggio. Viscardi (che è anche membro del comitato tecnico scientifico di Cfi, di cui è stato presidente) è altresì presidente del Digital Innovation Hub Lombardia e del consorzio Intellimech, un consorzio privato che si occupa di ricerca interdisciplinare nell’ambito della meccatronica ma anche in quello dell’intelligenza artificiale.

 

Pay-per-use, una distinzione importante: produttori e componentisti

Francesco Millo, Strategy M&A and corporate development director di Bonfiglioli

«La servitizzazione spacca il mercato in due: puoi mettere a noleggio la lavatrice, ma non puoi farlo con i componenti» – afferma Millo. In effetti e così. Questa circostanza è aggravata da due trend che stanno avanzando all’unisono. «Da una parte – spiega Flavio Tonelli, docente di ingegneria meccanica dell’università di Genova ora membro dell’Ocg e del comitato tecnico scientifico (Cts) del Cluster Fabbrica Intelligente – i produttori di materie prime hanno compreso che la loro posizione è strategica, e di conseguenza tendono a risalire la catena del valore realizzando componenti; dall’altra i produttori del bene finito tendono ad acquisire i componenti, a sensorizzarli e a integrarli nel bene servitizzato posto a noleggio. In questo gioco, la posizione più debole è quella del componentista “classico”, che rischia di scomparire». E l’Italia è anche un Paese di componentisti.   

 

Pay-per-use, una seconda distinzione importante: beni emozionali e funzionali

Il pay-per-use non vale per i beni emozionali. «Nessuno prende in affitto una Ferrari o una Lamborghini, se non per il matrimonio della figlia. E una Bugatti non può essere servitizzata» – afferma Tonelli. In effetti, ci sono beni in cui il possesso è una componente intangibile ineliminabile: è una parte fondamentale dell’esperienza dell’utente.  È una conferma della realizzazione personale dell’acquirente.  «Invece – continua Tonelli – ha interesse a possedere una macchina a taglio laser o un trattore, che valgono esclusivamente per la loro funziona pratica, e dunque possono essere noleggiati».  

 

Il pay-per-use vale per i beni funzionali durevoli

Per una tariffa oraria fissa per propulsore, Rolls Royce si occupa di installazione, controllo, manutenzione e disattivazione

«Facciamo l’esempio del locomotore: considerata l’intera vita del bene, il costo per l’acquisto incide solo per il 5% di quello complessivo legato al prodotto; mentre il 50% è dovuto alla spesa energetica per farlo funzionare. L’aspetto interessante è il restante 45%, tanti soldi che vengono spesi in servizi di vario genere, dal monitoraggio alla manutenzione e altro» – afferma Tonelli. Dunque, nel caso del locomotore, per il produttore servitizzare il bene significa rinunciare all’immediato ottenimento del 5%, ma vuol dire puntare a recuperare (in tutto o in parte) il 45% che altrimenti finisce nelle mani di altre società di servizi. È un sistema che apparentemente conviene all’utilizzatore, visto che il produttore ha tutto l’interesse al fatto che il bene duri il più possibile e in ottime condizioni, e che ciò incide sul costo finale di esercizio.   

La durevolezza fa la differenza. «E oggi molti beni strumentali, ad esempio lavatrice o la lavastoviglie – termina Tonelli – sono progettati sulla scorta di una obsolescenza programmata, in caso di acquisto. Con il noleggio, fatalmente, il ciclo di vita del bene si estende in misura considerevole, rendendo assai conveniente la seconda soluzione».   

 

È il digitale che crea servizi

Fabio Barsotti, executive vp manufacturing and program management optimization di Leonardo

«La flessibilità e il digitale consentiranno, in breve tempo, di creare nuovi servizi» –  afferma Fabio Giannelli, responsabile di ServiceNow, società che ha realizzato una platform in grado di gestire workflow di vario genere. In effetti, oggi «è possibile progettare il modello virtuale di un prodotto, ma anche di una linea o di un’intera fabbrica, con un accesso molto semplice alle tecnologie» – commenta Federico Marguati, Euromed Delmia sales director di Dassault Systèmes, multinazionale nel settore del software di progettazione. Il fatto è che si digitalizza più facilmente ciò che si è direttamente realizzato. «Ad esempio noi costruiamo elicotteri, aeromobili a pilotaggio remoto e altri mezzi per l’aerospazio – afferma Fabio Barsotti, executive vice president manufacturing and program management optimization di Leonardo tutti strumenti che conosciamo molto bene, e dei quali possiamo realizzare un digital twin. Lo stesso non possiamo dire per le tante macchine che abbiamo nello shopfloor, che magari hanno venti anni».    

Resta sullo sfondo il problema delle risorse umane dotate di conoscenze in ambito tecnologico. «Facciamo fatica a reperirle noi – afferma Dario Andreottola, solution account executive di Adobe Italia – figurarsi le Pmi manifatturiere, che in termini di competenze sono indietro». È anche vero che grazie ai nuovi sistemi di communication questi skill si possono anche trovare all’estero. «Nessuno ci impedisce di assumere un softwarista in Lituania, uno abituato a lavorare con i team diffusi» – commenta infine Renato Cifarelli, Ceo di Cifarelli, azienda di macchine professionali per l’agricoltura e il giardinaggio. Quanto alle competenze manifatturiere, con il reshoring della produzione si possono riscoprire quelle sul territorio. «Siamo fortunati ad essere all’interno del distretto di Fabriano – afferma Mauro Castello, senior innovation manager di Elica, azienda operativa nel settore delle cappe da cucina -; lì, tra i fornitori, abbiamo ritrovato skill che c’erano sempre stati».














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