Servitizzazione, l’evoluzione dell’IIoT. Come reagiranno i costruttori di macchine utensili?

di Piero Macrì ♦︎ In assenza di una valida strategia evolutiva il rischio delle aziende del machinery è venire superati dai player nativi digitali che entreranno sul mercato con una precisa intenzione: fare soldi sui dati macchina. Che attraverso opportuni trattamenti abilitano la creazione di servizi. I casi Sares-Miramondi, Skf, Mutti, Mcm

La servitizzazione è la naturale evoluzione dell’Industrial IoT ed è il terreno su cui si misurerà la nuova competizione del comparto machinery. La ragione è semplice: la macchina è la gallina dalle uova d’oro dell’era digitale; è in grado di sfornare dati nel corso del suo intero ciclo di vita creando i presupposti per una loro monetizzazione. Tuttavia, come in tutti i mercati dove si affaccia una nuova tecnologia, i cambiamenti non sono immediati, ma danno inizialmente vita a scenari ibridi che integrano nuovi e vecchi modelli di business. Ed è in questa prospettiva che si stanno plasmando i percorsi di trasformazione IIoT dei costruttori di macchine. Secondo Marco Paiola, associate professor of management dell’università di Padova e attento osservatore dei nuovi modelli di business industriali, per i costruttori di macchine è venuta l’ora di porsi una domanda cruciale: “Quale ruolo si vuole avere all’interno del ciclo di vita del prodotto? Passivo o attivo?”.

Una domanda non banale. In assenza di una valida strategia evolutiva il rischio delle aziende del machinery è venire superati e scalvalcati dai newcomer, vale a dire player nativi digitali che entreranno sul mercato con una precisa intenzione: fare soldi sui dati macchina. Insomma, cari costruttori, pensateci: ogni volta che portate in fabbrica una macchina connessa state inserendo in un contesto di produzione non solo una tecnologia finalizzata a sfornare prodotti, ma dati, che attraverso opportuni trattamenti abilitano la creazione di servizi che hanno a che fare con il miglioramento continuo di prodotto, di processo e di performance.







Quale imprenditore non sarebbe interessato a una simile proposizione? Come dire, è bene cogliere l’attimo e non trovarsi impreparati. Il futuro non aspetta nessuno. Ecco le sfide con cui si confrontano i costruttori di macchine nella definizione dei nuovi modelli di business trainati dalle macchine connesse e le esperienze di Mcm, Sares-Miramondi, Skf e Mutti, aziende che Industria Italiana ha avuto l’occasione di incontrare nel corso dell’evento sulle macchine connesse organizzato da 40Factory – startup piacentina focalizzata sul machine learning industriale – in collaborazione con MindSphere World Italia, Gellify ed esponenti del mondo accademico.

 

Vendere ferro renderà sempre meno che vendere servizi

Non vedo non sento non parlo. Se fino a ieri l’interazione con macchine utensili e sistemi industriali soffriva di un deficit di comunicazione l’affermazione dell’Industrial IoT e la conseguente sensorizzazione di un qualsiasi asset di produzione ha reso oggi possibile l’acquisizione di misure di un qualsiasi parametro fisico, consentendo un monitoraggio continuo del suo funzionamento. Una condizione che abilita quello che in gergo Industry 4.0 viene definito con il termine servitizzazione ovvero un modello di business alternativo alla tradizionale value propositon “product based” dei costruttori di macchine: il nuovo paradigma di oggetti connessi è foriero di un cambiamento che consiste nel passaggio dalla mera vendita di prodotto alla vendita di servizi.

La servitizzazione è la naturale evoluzione dell’Industrial IoT ed è il terreno su cui si misurerà la nuova competizione del comparto machinery. La ragione è semplice: la macchina è la gallina dalle uova d’oro dell’era digitale; è in grado di sfornare dati nel corso del suo intero ciclo di vita creando i presupposti per una loro monetizzazione

Una sfida e insieme un’opportunità poiché vendere ferro renderà sempre meno che vendere servizi. I costruttori di macchine che stanno investendo nel definire una strategia e una visione service-based sono consapevoli che questo è il tema della nuova sostenibilità economica. La funzione della macchina non è solo fare un prodotto ma contribuire a risolvere i problemi quotidiani dell’industria manifatturiera: produrre più velocemente, garantire una più elevata disponibilità della macchina e una produzione zero difetti. E’ in questa prospettiva che i costruttori di macchine dovranno relazionarsi con i clienti finali.

 

Monetizzare il ciclo di vita della macchina

Passare da vendita di prodotto a vendita di servizio significa poter dare vita a solide relazioni con il cliente poiché il rapporto non si esaurisce una volta effettuata l’installazione, ma prosegue, in quanto alimentato da tutta una serie di servizi che possono essere erogati nel corso di tutto il ciclo di vita della macchina. Insomma, si possono creare relazioni fruttuose fino a che la macchina o impianto non esala l’ultimo respiro e viene dismesso. Passare dalla teoria alla pratica è tutt’altro che semplice. Ma esiste qualcosa a questo mondo che non sia complesso? Sicuramente prima di arrivare a una formula pay per use, o pay per perfomance vi saranno proposizioni ibride, ma è in questa direzione che si stanno aprendo le nuove prospettive. La transizione dall’uno all’altro modello, di prodotto e di servizio, implica un cambiamento culturale che non può più essere quella classica finora interpretata dal mondo del machinery. E’ una questione di change management che, per definizione, richiede una visione strategica di lungo periodo. Bisogna fare come i cinesi, elaborare dei piani di sviluppo con un orizzonte temporale che non sia legato al day by day.

I dati attraverso opportuni trattamenti abilitano la creazione di servizi che hanno a che fare con il miglioramento continuo di prodotto, di processo e di performance

Acquisizione risorse; value proposition; modello di vendita; monetizzazione. Le 4 sfide della servitizzazione

Marco Paiola, associate professor of management dell’università di Padova

Per diventare un fornitore service-based è fondamentale risolvere quattro aspetti: capire quali risorse ci sono al proprio interno per supportare una nuova policy “service based” ed eventualmente predisporre un adeguato ecosistema di relazioni e partnership al di fuori del perimetro aziendale; definire la value propostion ovvero la modalità più opportuna con cui proporre la nuova formula a servizio; decidere il modello di vendita (pay per use, per performance o altro); last but not least, definire il modello di revenue vale a dire fare in modo che i ricavi siano maggiori dei costi, valutando l’impatto economico delle nuove logiche contrattuali.

Non è però da tutti. Dalle ricerche finora effettuate – come spiega Paiola – le aziende che hanno saputo ridefinire il proprio modello di business sono una minoranza. In particolare, per la stragrande maggioranza delle pmi appare determinante creare ex novo un ecosistema di fornitori e interlocutori diverso dall’attuale. Non basta puntare su una riorganizzazione interna. Certo ciascuna azienda ha gente bravissima al proprio interno, ma è saldamente legata alla tecnologia di prodotto, che deve ora essere integrata ai servizi.

Acquisizione risorse; value proposition; modello di vendita; monetizzazione. Le 4 sfide della servitizzazione

Modelli “service based” in stile problem solving

MCM JET FIVE – FMS AND MACHINING TESTS. Mcm, Machining Centers Manufacturing, è un’azienda storica della meccatronica piacentina, player di livello internazionale, specializzata nella progettazione e costruzione di centri di lavoro e linee di produzione flessibili con sistemi di processo innovativi

«La macchine connesse sono una straordinaria sorgente di possibili servizi da vendere ai clienti finali, ed è un terreno fertile su cui va costruita un’offerta coerente con i bisogni del cliente», dice Giuseppe Fogliazza, direttore della divisione software di Mcm, Machining Centers Manufacturing, azienda storica della meccatronica piacentina, player di livello internazionale, specializzata nella progettazione e costruzione di centri di lavoro e linee di produzione flessibili con sistemi di processo innovativi. Nella prospettiva dell’IIoT i servizi diventano un abilitatore di una serie di funzioni avanzate nell’utilizzo delle macchine e nell’evoluzione dei business model – aggiunge il manager di Mcm -: riuscire a fornire manutenzione predittiva con rilevamento di anomalie o predire le interruzioni del ciclo di lavoro, insomma, tutta una serie di attività in grado di anticipare l’usura o l’insorgenza di guasti per avere una sempre più elevata disponibilità della macchina».

Quelli citati da Mcm sono di fatto i servizi che possono essere associati al ciclo di vita della stessa, proiettando i produttori verso un modello di business tendenzialmente pay per use dove la relazione con il cliente deve essere improntata alla soluzione del problema. «La policy service based permette inoltre di sottrarsi alla competizione dei prezzi, riuscendo ad arricchire il prodotto con una serie di servizi extra qualificandosi sul mercato in modo diverso», spiega Fogliazza. Ecco, quindi, l’idea di avere business unit separate il cui obiettivo è ipotizzare nuovi modelli di engagement con il cliente. Ciò cui aspira un’azienda come Mcm è diventare interlocutore privilegiato dei propri clienti in stile problem solving: essere veri e propri consiglieri in termini business. Un valore prezioso in un mercato competitivo come quello della macchina utensile.

 

Traslare le competenze core business nella logica di servizio

Da quanto emerso nel confronto con i costruttori di macchine utensili appare importante mettere a fattore comune quelle che sono le competenze core business. Meccanica, elettronica, automazione, tutti i domini di conoscenza devono essere traslati per poter mettere a punto una formula di servizio. Una delle maggiori difficoltà delle aziende che stanno affrontando la creazione di un nuovo modello di business è trasmettere in modo chiaro e trasparente il valore differenziante. Certo, se la forma mentis rimane quella di generare reddito nella vendita-prodotto difficilmente si potranno compiere dei passi in avanti. Si evidenza il problema delle competenze. E la necessità di introdurre una proposizione di valore più imprenditoriale e non legata alla tecnologia di per sé. Sintetizzando, i costruttori si dicono aperti a valutare le possibili proposizioni service based ma sono in qualche modo ostaggio della tecnologia: ci innamoriamo della tecnologia e questo atteggiamento non sempre genera valore per il cliente. Le competenze di prodotto devono quindi essere traslate un ottica di servizio producendo un reale valore di business.

Nella prospettiva dell’IIoT i servizi diventano un abilitatore di una serie di funzioni avanzate nell’utilizzo delle macchine e nell’evoluzione dei business model

Sares-Miramondi, serve una value proposition legata a obiettivi core business

Sares-Miramondi è specializzata nella progettazione e costruzione di macchine speciali, linee e impianti completi, principalmente dedicati all’assemblaggio, saldatura e lavorazione di componenti in lamiera metallica nel campo degli elettrodomestici

Sares e Miramondi sono 2 aziende che uniscono le loro competenze per diventare leader mondiale nella progettazione e produzione di impianti personalizzati per la deformazione e l’assemblaggio dei metalli. Insieme le due aziende possono contare su più di 100 anni di esperienza, tempo dedicato allo sviluppo di competenze e know-how di alta qualità che condividono per una crescita e uno sviluppo continui. La logica di servitizzazione è stata tradotta in un sistema cluster kubernetes di microservizi dockerizzati che sono installati su un rack hardware Siemens, il partner che sta accompagnando l’azienda nel percorso “IOT based”. L’architettura di raccolta dati permette di raccogliere, monitorare e storicizzare i dati macchina. «Abbiamo cercato di introdurre un approccio completamente innovativo che si sostanzia in una soluzione in grado di eseguire attività di monitoraggio di processo avanzato», dice Andrea Gatti, responsabile ricerca e sviluppo di Sares-Miramondi. La logica costruttiva con cui è stato implementato è di tipo modulare, essenziale per garantire la scalabilità, che si ritiene essere una delle prerogative con cui andare a proporre una vendita “service-based”. I microservizi eseguono un campionamento dei dati per individuare possibili anomalie di funzionamento, permettendo al cliente finale di eseguire attività di manutenzione predittiva su macchine che vengono utilizzate negli impianti di aziende multinazionali come Bosch, Electrolux e Haier.

«Per mettere in atto una value proposition di questo tipo serve innanzitutto analizzare le caratteristiche dell’azienda cliente, cercando di capire se si è in grado, da soli o in partnership, di realizzare soluzioni legate a obiettivi core business, aggiunge Gatti. I progetti sono iniziati con applicazioni pilota, poiché questo era il modo migliore per fare emergere il valore del prodotto. In questi casi il gioco si fa duro quando si va sul campo e si iniziano a raccogliere i dati macchina per poi sviluppare il modello algoritmico di intelligenza artificiale». Il problema maggiore per Sares-Miramondi è individuare un valore tangibile che giustifichi l’investimento da parte dell’azienda. Di fronte a prodotti di nuova generazione come questo il cliente è infatti spesso disorientato e non sa come interpretare il ritorno dell’investimento. Le macchine di Sares-Miramondi hanno una lunghezza media attorno ai 30 metri e sono composte da più stazioni dove si svolgono singole e specifiche operazioni che concorrono, per esempio, alla produzione di un componente della lavatrice. Lavorando per clienti multinazionali con un assetto multiplant è dunque importante sviluppare il progetto con una visione globale, mettendo a punto sistemi e algoritmi di intelligenza artificiale che possano essere trasferiti su stazioni o addirittura linee equivalenti presenti nei vari siti. In questo modo è così possibile ipotizzare un più rapido ritorno dell’investimento.

 

Skf, servitizzazione come naturale evoluzione dell’IIoT

L’interno dello stabilimento Skf

Multinazionale per antonomasia del cuscinetto, Skf è presente in 130 diversi paesi del mondo, 103 fabbriche produttive e 9 miliardi di euro di fatturato. «Per Skf, spiega Roberto Napione, knowledge area manager manufacturing di Skf, la servitizzazione è la naturale evoluzione dell’industrial IoT poiché significa entrare nel merito dei possibili effetti migliorativi di business che si possono raggiungere grazie alla digitalizzazione dell’impresa». Di questo tema in Skf se n’è iniziato a parlare nel 2014 cercando di vedere il tutto in un’ottica di sistema poiché il cuscinetto prevede più componenti: le guarnizioni, innanzitutto, e il sistema di lubrificazione. Componenti che si rivelano determinanti per le performance complessive del sistema in cui viene integrato il cuscinetto. Ecco, quindi, soluzioni di condition monitoring basate su sensori che rilevano i più importanti parametri funzionali. Insieme al cuscinetto si vende un servizio che ha l’obiettivo di assicurare il funzionamento ottimale dello stesso ragionando in ottica di manutenzione predittiva. Negli impianti oceanici, per esempio, le turbine eoliche montano cuscinetti che hanno una lunghezza di 2-3 metri ed è assolutamente importante prevenire ogni tipo di guasto. Con la sensorizzazione Skf è in grado di rendere possibile il monitoraggio in real time a distanza di centinaia di chilometri dove, in una sala apposita, vengono controllate le prestazioni. Quando un’analisi big data evidenzia un degrado delle performance il cliente è nella condizione di fare un opportuno intervento manutentivo. Ne caso di Skf, come evidente, non si vende il solo prodotto, ma il controllo delle performance. Da questi servizi nascono contratti REP (rotating equipment performance) basati sulle prestazioni. «Ci si sta muovendo dalla ownership alla usership, sulla vendita non più basata sul concetto di proprietà ma sull’utilizzo», afferma Napione.

Una visione che Skf vuole estendere anche alla propria produzione, riuscendo così ad avere una visione orizzontale di tutti i processi del plant dove sono operative le varie macchine utensili. «Per realizzare tutto questo serve disporre di un ecosistema infrastrutturale hybrid cloud dove la componente pubblica permette uno scambio dati tra tutti gli attori coinvolti nel processo. Abbiamo anche sviluppato un’app che permette di leggere i dati del singolo cuscinetto dando la possibilità di accedere alle istruzioni di montaggio». Insomma, per realizzare una servitizzazione serve una grande flessibilità in termini di movimentazione dei dati. «E’ indubbio che si va verso il pay per use un modello che può essere implementato grazie all’attivazione di microservizi erogabili on demand: servizi che vengono attivati per funzioni di operation il cui obiettivo è migliorare la produttività», spiega il manager di Skf. Intelligenza artificiale, machine learning… il tutto è orientato a una manutenzione predittiva e alla gestione delle performance. E’ il paradigma del digital twin: il prodotto non è più monolitico poiché il business richiede continue modifiche ed i processi devonoo poter gestire i cambiamenti con immediatezza. Il digital twin, al contrario, permette di avere un processo esteso che integra Crm, Erp e sistemi Mes e Plm in modo da ridurre drasticamente il time to market. In Skf non ci sono più gli uffici dove si fanno i preventivi. Fatta una domanda da parte del cliente finale l’offerta è pronta in 24 ore. Insomma, non si può trasformare ciò che non si conosce e il digital twin è l’insight IIoT abilitante la conoscenza e, quindi, la trasformazione.

Per Skf la servitizzazione è la naturale evoluzione dell’industrial IoT poiché significa entrare nel merito dei possibili effetti migliorativi di business che si possono raggiungere grazie alla digitalizzazione dell’impresa

Mutti, la servitizzazione deve misurarsi con problemi di produzione complessiva

Stabilimento Mutti

«Le esigenze di un’azienda alimentare quando compra un impianto o un macchinario sono molto semplici: l’imprenditore investe in una riempitrice, etichettatrice o una fardellatrice con l’obiettivo che questa macchina lavori il più tempo possibile il più veloce possibile garantendo il milgior livello di qualità del processo e, di conseguenza, del prodotto. Tutto il resto è un corollario per raggiungere questi obiettivi». Parola di Dario Ferrari, manufacturing excellence manager di Mutti, il big dell’agroalimentare italiano. Per un’azienda come Mutti la servitizzazione vien considerata come uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo modo di proporre una macchina: Il costruttore è oggi nella condizione di poter passare da una relazione che in buona sostanza si concludeva con la vendita di un bene a una in cui la consegna dello stesso implica una collaborazione continuativa con il cliente. «Importante, in questo senso, è vedere l’OEE non come obiettivo ma come lo strumento per massimizzare la disponibilità della linea e delle performance», dice Ferrari.

In questo modo la logica pay per use che sottende la servitizzazione diventa la modalità attraverso la quale formulare servizi pay per availibility e di performance. «Credo che la servitizzazione possa essere vista come un’opportunità per entrambi, costruttori e clienti finali, sottolinea il manager di Mutti. Nessun imprenditore potrebbe dire di no a una logica per la quale viene consegnato un macchinario con l’esplicito obiettivo di migliorare performance e disponibilità dal punto di vista della massimizzazione dei tempi». Secondo la visione di Mutti, la vera sfida per il costruttore è trasformare un macchinario o un impianto estremamente complesso in un sistema a valore aggiunto che possa produrre un valore economico. «Per avere successo in realtà multiplant, così come è il caso di Mutti, il modello di business service based deve avere una visione olistica, comprendere che la propria tecnologia si cala in ambienti dove sono presenti macchinari dei più diversi fornitori, conclude Ferrari. Una condizione che impone una capacità problem solving che va al di là delle competenze del singolo prodotto e che deve misurarsi con i problemi di produzione complessivi».














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