Quanto vale il 4.0 nei piani di rilancio post concordato? E nella liquidazione? E nel fallimento?

Curatori fallimentari 4.0

di Marco dé Francesco ♦ Interconnessione, digitalizzazione, automazione, robotica, manifattura : come considerare i beni tangibili e intangibili dell’economia digitale  in un progetto di risanamento?  La questioni aperta  nell’ ambito della riforma del diritto fallimentare. Da dottori commercialisti, esperti contabili, avvocati e consulenti del lavoro  il richiamo urgente: ci vuole una visione aggiornata dei nuovi asset produttivi.

Una parte non maggioritaria ma in crescita delle aziende italiane ha adottato strategie di business innovativo, interconnessione e tecnologie abilitanti come la manifattura additiva o l’analisi di un’ampia base dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi in vista della propria affermazione in contesti competitivi globalizzati, o semplicemente per non essere tagliate fuori dal contesto industriale di riferimento. Ora, che peso possono avere questi elementi in un piano strategico di rilancio di un’industria nel contesto di una procedura concorsuale come il concordato preventivo, che appunto prevede una progetto di risanamento? E come vanno valutati beni intangibili e le tecnologie dematerializzate in caso di fallimento o di liquidazione?







Industria Italiana ha cercato di capirlo, avvalendosi anche degli elementi emersi nell’ambito di un Seminario organizzato giorni fa dall’Istituto dei Curatori a Capri. Nell’occasione il tema è stato proposto da Nerio De Bortoli, presidente dell’Istituto, e trattato dal direttore di Industria Italiana Filippo Astone, dal docente di Strategy Innovation a Ca’ Foscari Carlo Bagnoli e da Alberto Baban, vice presidente di Confindustria nonché presidente della Piccola Industria. Questo articolo rappresenta un approfondimento in materia.

L’ Istituto dei Curatori e la riforma del diritto fallimentare

Va precisato che l’Istituto – costituito nel 2001 a Cavallino Treporti (Venezia) e composto da 800 iscritti, tra dottori commercialisti, esperti contabili, avvocati e consulenti del lavoro operativi in tutte le giurisdizioni dei tribunali italiani – si propone di rappresentare i curatori fallimentari nei rapporti con gli organi dello Stato, con l’Autorità Giudiziaria e con l’opinione pubblica, promuovendone e garantendone la preparazione sia giuridica che economico-finanziaria, nonché la qualità e le doti morali. L’associazione sta seguendo la riforma del diritto fallimentare che, già passata alla Camera, è ferma a Palazzo Madama; secondo l’Istituto, determinerà nuove e diverse competenze professionali dei curatori fallimentari, nell’ottica del risanamento dell’impresa in crisi. Di qui l’organizzazione di seminari, convegni, corsi di alto contenuto professionale, incontri periodici e in genere iniziative rivolte all’aggiornamento e all’approfondimento ed alla partecipazione al dibattito culturale e dottrinale inerente alla riforma.

 

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I tre possibili esiti dello stato di crisi dell’azienda

Anzitutto, è necessario definire i tre possibili esiti dello stato di crisi dell’azienda, riassumibili in fallimento, concordato e liquidazione. Nella fase finale, anzitutto, un’azienda può incorrere nel fallimento, che è una procedura concorsuale liquidatoria. Quanto ai presupposti soggettivi, gli imprenditori commerciali sono fallibili se si è superata anche una sola tra queste soglie: aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro; aver realizzato nei periodi indicati ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro; avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500mila euro.

Il presupposto oggettivo è invece lo stato di insolvenza, che secondo la Cassazione è «uno stato di impotenza funzionale non transitoria, quindi non passeggera, a soddisfare le obbligazioni contratte dall’imprenditore». Vengono nominati un giudice delegato, con la funzione di vigilare e controllare sulla regolarità della procedura, e un curatore fallimentare, pubblico ufficiale che amministra il patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. Possono svolgere tale funzione avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni; gli studi professionali ed associati. Il curatore, entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento, presenta una relazione su cause e circostanze dell’evento.

La dichiarazione di fallimento può essere richiesta dal debitore, dal creditore, dal pubblico ministero o dal curatore. In questa procedura il ruolo del curatore è divenuto via-via più rilevante, soprattutto dopo la Riforma del 2006. Rientrano tra le su funzioni l’amministrazione, la liquidazione e la conservazione del patrimonio del debitore. Tra le fasi, la composizione e l’accertamento del passivo; la composizione e la liquidazione dell’attivo; la ripartizione dell’attivo; e la chiusura, che può avvenire per diverse cause (ad esempio, la ripartizione integrale dell’attivo) tra cui il concordato fallimentare, strumento volto a realizzare il soddisfacimento di tutti i creditori ammessi al passivo.

Il concordato preventivo

Il debitore con i già citati requisiti di fallibilità, se si trova in stato di crisi o insolvenza, può ricorrere al concordato preventivo, procedura concorsuale per evitare la dichiarazione di fallimento con un accordo destinato a soddisfare anche parzialmente le ragioni creditorie. In pratica, l’accordo può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma, anche con cessione dei beni, accollo o operazioni straordinarie. L’obiettivo è favorire il risanamento e la prosecuzione dell’attività di impresa.

La domanda va presentata dall’imprenditore commerciale al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale. È necessario allegare una documentazione concernente una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria; un bilancio d’esercizio dell’azienda; una relazione avente carattere estimativo su tutte le attività facenti capo all’impresa; l’elenco dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore; il valore dei beni; un piano dettagliato con le modalità e i tempi di adempimento della proposta. Peraltro un assuntore può accollarsi i debiti dell’imprenditore fallito; può ottenere la cessione dell’attivo e limitare il suo impegno sui debiti in rapporto ai soli creditori ammessi al passivo.

Può essere inoltre prevista la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei stabilendo trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. Il concordato preventivo è approvato solo quando raggiunge il voto favorevole di tutti i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto; ma quando sono previste più classi di creditori, in tutte deve riscontrasi il voto favorevole della maggioranza dei crediti. Tra le figure coinvolte, l’attestatore, e cioè un professionista che produce una attestazione (che va allegata al piano di risanamento) che certifichi la veridicità dei dati dell’azienda. È designato dal debitore. Il controllo viene svolto dal tribunale, che nomina un giudice delegato o un commissario giudiziale, e un liquidatore. Il concordato è detto “in bianco” quando il debitore presenta un ricorso con una serie limitata di documenti, riservandosi di presentare la documentazione completa entro termini fissati dal tribunale.

 

Nerio De Bortoli
Nerio De Bortoli,presidente dell’Istituto dei Curatori Fallimentari

De Bortoli: guardare alle novità dei servizi e delle tecnologie

In questo caso, nel contesto della crisi di impresa, va presentato un piano industriale che illustri le strategie del management, le azioni che saranno realizzate, l’evoluzione dei risultati attesi. Secondo De Bortoli, laureato nel 1978 in Economia a Venezia con una tesi sul concordato preventivo «quanto a 4.0, i protagonisti della procedura concorsuale sono rimasti indietro. Si guarda al passato, al bilancio d’esercizio, e non alle novità relative al valore dei servizi e delle tecnologie. C’è dunque una grande battaglia da fare insieme alle categorie coinvolte, perché assumano una più rilevante consapevolezza in ordine alle tante novità che incidono sul concordato. Anche perché mancano figure specializzate di riferimento. A chi dovremmo riferirci? E il rischio nella valutazione di progetti innovativi è altissimo. Ora, è vero che sbagliando si impara; ma qui in gioco possono esserci milioni e posti di lavoro. Dunque è una questione di responsabilità». Peraltro De Bortoli ha ricordato che esistono «pratiche per rottamare il debito e non l’intera azienda. Con la creazione di bad company che si accollano maxi-debiti. Anche questo elemento va preso in considerazione». Inoltre per De Bortoli «sui beni da realizzare si gioca tutta la partita. Beni sia materiali che immateriali. Marchi, brevetti e innovazione assumono dunque grande importanza».

La liquidazione

C’è infine un terzo esito, la liquidazione. Quella volontaria, o ordinaria, prevede tre fasi: scioglimento, liquidazione ed estinzione. Durante la seconda fase, l’attività di impresa rimane sospesa; si tratta di monetizzare il patrimonio, per azzerare le passività e dividere l’eventuale attivo tra i soci. Viene nominato un liquidatore, dominus del procedimento. Le cause della liquidazione differiscono a seconda del tipo di società. Quelle di capitali si sciolgono per: decorso del termine, conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea, riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, impossibilità di rimborsare i soci, deliberazione dell’assemblea, altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, dichiarazione di fallimento.

Nelle società di capitali la nomina dei liquidatori normalmente è riservata all’assemblea dei soci. Altra cosa è la liquidazione coatta amministrativa, procedura che si applica a imprese bancarie e assicurative, società partecipate da enti pubblici come l’IRI e l‘EFIM, società cooperative. Viene nominato un commissario liquidatore, che è un pubblico ufficiale. Può autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione; esercitare le competenze che, nel fallimento, sono del giudice delegato; nominare legali per cause attive o passive; esercitare azioni revocatorie; proseguire con l’attività d’impresa, con l’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza; ed esercitare l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori dell’impresa sottoposta alla liquidazione. Il presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza. Tra le fasi, la formazione del passivo, la liquidazione dell’attivo e la ripartizione dell’attivo.

 

Convegno Capri
Il seminario di Capri: Alberto Baban, Filippo Astone, Carlo Bagnoli

 

Astone:le aziende che non digitalizzano restano indietro

Occorre a questo punto fare un quadro generale degli sviluppi dell’Industry 4.0, per capire quale genere di innesti tecnologici siano possibili, per esempio, nel piano di risanamento di una azienda. Secondo Astone «le aziende convergono sull’ITC. Cosa comporta questa scelta? Anzitutto va detto che quelle che non hanno intrapreso la strada della digitalizzazione perdono quota. I piani industriali e i concordati non possono non tenere conto di questa circostanza. La digitalizzazione può comportare un incremento di produttività superiore al 50%. Ma com’è nato tutto questo? Va sottolineato che è un fenomeno emerso in Germania nel 2011, quando la commissione High Tech Strategy For Germania iniziato a disegnare una politica industriale. Sì, perché la Germania, in effetti, fa una politica industriale: senza dirigismo e statalismo, ha definito che Paese avrebbe voluto diventare. Della commissione facevano parte istituzioni politiche e scientifiche, nonché grandi aziende globalizzate come Bosch e Siemens».

 

Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens
Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens

 

Sempre secondo Astone «in effetti l’Industry 4.0 comporta un passo in avanti rispetto all’IoT. Non si tratta solo di raccogliere dati dai sensori, ma di analizzarli e di creare un flusso continuo orizzontale su un’unica catena di valore interconnesso. I dati, in un certo senso, vengono trattati e “scambiati” all’interno di una catena di valore che acquista efficienza. Tutto questo è molto tedesco, è molto hegeliano. Come lo è l’idea fondante di Sap, il gestionale generale per aziende totalmente interconnesso». Per Astone «solo dopo sono arrivati gli Americani, con la personalizzazione di massa. Dal momento che la produzione è on demand, può essere realizzata just-in-time secondo le specifiche del cliente. Si pensi alla manifattura additiva. La manifattura è sempre consistita in un’operazione destinata a sottrarre materiale: da questa detrazione deriva l’opera, come con la “Pietà” di Michelangelo. Con la stampa 3D, invece, posso realizzare, aggiungendo sostanze, componenti di un aereo lì dove servono, grazie a progetti inviati in remoto».

Il problema è che in Italia solo alcune aziende innovative crescono, si digitalizzano ed esportano. Le altre galleggiano o arretrano. Secondo Astone «oggi con Industry 4.0 si intendono nove tecnologie abilitanti definite da uno studio di Boston Consulting: Advanced manufacturing solution; Additive manufacturing; Augmented reality; Simulation; Horizontal e vertical integration; Industrial internet; Cloud; Cyber security; Big Data Analytics. E non c’è dubbio sul fatto che il Piano Calenda abbia funzionato: nel primo semestre di quest’anno, le commesse nazionali relative alle macchine utensili, robot e automazione hanno fatto registrare un incremento del 24,8%.

Ma il Paese cresce? Nel secondo trimestre di quest’anno il Pil è cresciuto dell’1,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La crescita, per il 2017, si arresterà all’1,5%. Siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi, anche per quanto riguarda i consumi delle famiglie. Il fatto è che non tutte le aziende hanno reagito nello stesso modo, negli ultimi anni: si pensi che il 20% delle aziende italiane è responsabile del 90% dell’export. Si tratta, con tutta probabilità, dello stesso 20% che ha già investito nel Piano Calenda. Insomma, ci sono aziende virtuose che esportano e altre che galleggiano; e altre ancora in stato di crisi nascente o palese. Queste ultime sono le cosiddette “aziende spiaggiate”. Occorre interconnessione, occorre creare un circolo virtuoso, al quale vanno collegate le nuove tecnologie».

 

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Alberto Baban,vice presidente di Confindustria nonché presidente della Piccola Industria

Secondo il vice presidente di Confindustria nonché presidente della Piccola Industria Alberto Baban «con l’Industry 4.0 si pone un tema nuovo: come misurare il valore dell’intangibile? Che valore attribuire ai dati, che oggi fanno il successo dell’impresa e che riguardano tutti? Per capire, occorre fare un passo indietro. Va detto che il cliente più importante delle imprese è lo Stato, che con le sue commesse incide molto sul fatturato delle imprese. Solo che lo Stato “compra” sempre di meno. E d’altra parte si sono imposte aziende che non lavorano con lo Stato ma che anzi si sono inserite in contesti globalizzati. Le aziende che lavorano con lo Stato e le altre rispondono a regole diverse. E la questione si complica con la raccolta e l’elaborazione dei dati.

 

Deposito di Amazon
Deposito di Amazon

Amazon è una grande azienda digitalizzata che non produce niente, ma che vende più di tutti, incrementando di anno in anno la sua capacità di vendere prodotti. Grazie all’analisi dei dati è riuscita a disintermediare produttore e consumatore. È chiaro che le regole del gioco sono saltate; ed è evidente che l’innovazione non è solo arte, ma è la complessità che parte da logiche nuove e che rappresenta un mercato enorme». Detto questo, come si misura l’intangibile, soprattutto in rapporto ad aziende a fine corsa? «A mio avviso, dell’azienda in crisi non va valutato solo il fatturato; bisogna tenere conto di altri fattori: l’azienda è predisposta all’innovazione? Ha compreso che ci si può avvalere di un mercato enorme, anche grazie ad un negozio online? Ha rapporti con le università? Ha investito in capitale umano? Ha investito in ricerca e sviluppo? Perché, alla fine, l’innovazione altro non è che la ricerca applicata.»

«A queste cose devono guardare coloro che sono tenuti, per mestiere, a valutare l’azienda in vista, per esempio, della soluzione che nel concordato preventivo viene proposta ai creditori. E poi è evidente che bisogna tener conto di altre circostanze. Per esempio, Tesla non presenta bilanci in utile, ma raccoglie 60 miliardi di euro in borsa. Si è già capito che l’intangibile è il futuro? Insomma, il 4.0 è un processo irrevocabile, i cui sviluppi non sono attualmente conosciuti. Pertanto occorre uno sforzo da parte di chi è chiamato a prendere delle decisioni sul futuro delle aziende».

 

Carlo Bagnoli
Carlo Bagnoli,direttore dello Strategy Innovation Hub di Ca’ Foscari

Ora, ogni innovazione discende dal cambiamento. Ma cambiare non è così semplice, secondo il direttore dello Strategy Innovation Hub di Ca’ Foscari (Venezia) Carlo Bagnoli. «Nei primi anni del Novecento – ha affermato Bagnoli – il sistema produttivo fordista era qualificato da bassa flessibilità e bassa varietà, e garantiva alte performance in un contesto esterno caratterizzato da una domanda di prima dotazione, poco sofisticata. Negli anni Ottanta si fece avanti un altro player nel mondo delle auto, la Toyota, che presentava un modello di business coerente all’interno, ma ameno all’esterno. Il sistema produttivo giapponese, contraddistinto da alta flessibilità e alta varietà, garantiva migliori performance, mentre diminuirono quelle del sistema fordista, in un contesto con una domanda sofisticata che richiedeva maggiore varietà di scelta. »

«C’è un paradosso in tutto questo: per mantenere la coerenza interna l’imprenditore no dovrebbe cambiare niente; per mantenere quella esterna, dovrebbe modificare tutto. Dunque cambiare è difficile, perché si annienta la coerenza interna». Inoltre, dal 2005 assistiamo ad una accelerazione esponenziale della tecnologia. Che ha determinato grandi cambiamenti. Per Bagnoli va considerato «il caso di Nokia, che nel 2007 era leader mondiale per i cellulari. Vendeva un prodotto completo con tanto di video e HD. In effetti, Nokia ha inventato lo smartphone. Tuttavia, ad un certo punto è arrivata Apple, e cioè una piattaforma in grado di mettere insieme più interessi e più esigenze degli utenti, che potevano trovare soddisfazione grazie a delle app. Vendeva lo stesso prodotto di Nokia, ma anche 800mila applicazioni. Così, in breve tempo Nokia ha portato i libri in tribunale».

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                    I casi di fallimento, concordato preventivo e liquidazione: gli ultimi dati

Una domanda che sorge spontanea è: quanti sono i casi di fallimento, concordato preventivo e liquidazione? Aumentano? Diminuiscono? In realtà, si assiste ad un generale calo dei fallimenti. In particolare, nell’ultimo rapporto Cerved relativo al secondo trimestre di quest’anno, si legge che il calo «prosegue per il settimo trimestre consecutivo: tra aprile e giugno 2017 sono 3.204 le imprese che hanno avviato una procedura fallimentare, il 15% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato, in linea con quello del primo trimestre, porta a 6.284 il totale delle aziende fallite nei primi sei mesi del 2017, -15,6% rispetto al 2016. Si tratta del dato più basso dal 2010, di nuovo in linea con quanto osservato nel periodo 2001-2006». Sempre per il Cerved «la riduzione delle procedure fallimentari ha riguardato tutte le forme giuridiche di impresa: a guidare il trend le società di persone (-21,4% rispetto ai primi sei mesi del 2016), seguite dalle società di capitale (-15,9%) e dalle società organizzate in altre forme giuridiche (-8,9%)». Assai singolare il fatto che per il rapporto «l’industria è il settore più in salute: si contano 882 fallimenti, il 22% in meno su base annua e un dato ben al di sotto dei valori pre-crisi».

Ma tra aprile e giugno si assiste anche al calo delle procedure concorsuali non fallimentari, «che dura da due anni: ne sono state aperte circa 395, l’11,2% meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Con questo dato, il numero di procedure concorsuali diverse dal fallimenti sale a 822 nei primi sei mesi del 2017, in diminuzione del 15,9% rispetto alle 977 del 2016». In particolare, «la riduzione è guidata dal calo dei concordati preventivi: nella prima metà del 2017 sono state presentate 336 domande di concordato, -31,7% rispetto alle 492 dell’anno precedente. Su un orizzonte temporale più ampio, il calo assume la dimensione di un crollo, con il numero di concordati preventivi che si è ridotto del 70% rispetto ai massimi del 2013 (1.138 domande) e che è tornato sotto i livelli del 2009. Rimangono invece sui livelli dello scorso anno le altre procedure diverse dal concordato (486, +0,2%)». Peraltro «il crollo dei concordati è accompagnato da una diminuzione dei pre-concordati (o concordati con riserva), la procedura che permette di bloccare le azioni esecutive dei creditori in attesa di presentare un piano di risanamento ed accedere al concordato. Nel primo semestre 2017 sono state presentate 807 domande, il 10% in meno dello scorso anno (-70%, rispetto alle domande del 2012)».

Stessa sorte per le liquidazioni, anche se in misura meno evidente. «Dopo una breve inversione di tendenza nello scorso anno, nella prima metà del 2017 è ripreso il calo delle liquidazioni volontarie, che era iniziato nel 2013. In base ai dati, si stima che nel secondo trimestre 2017 siano state liquidate volontariamente 14 mila imprese in bonis, il 3,9% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Sommato ai dati dei primi tre mesi dell’anno, nel primo semestre sono state liquidate 29 mila società, in calo del 2,5% rispetto all’anno precedente e a un livello in linea con il 2008. Le liquidazioni diminuiscono a tassi più sostenuti se si considerano le società di persone (-3,8%) e le società di capitale operative operative sul mercato (-9,2%), che invertono la tendenza rispetto al 2016 (+1,6%). Viceversa, cresce il numero di liquidazioni di società dormienti, imprese registrate ma di fatto non operative». In particolare «nella prima metà del 2017 il numero di liquidazioni si è di nuovo ridotto nell’industria (-1,2%) ed è tornato a diminuire nei servizi (-1,5%, +5% l’anno precedente), mentre il numero di chiusure volontarie si è attestato sui livelli dell’anno precedente nelle costruzioni (+0,2%)».

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