Sap: la fabbrica digitale nella data company

di Piero Macrì ♦ Utilizzare i dati come materia prima. E’ questo l’orizzonte della trasformazione digitale per le imprese manifatturiere, che ha portato secondo Idc, aumenti dell’1,2% di fatturato e 2,3 dei profitti. Il dibattito all’  evento “ Sogno di una fabbrica digitale” con le esperienze di  Elica e Ansaldo Energia

Nel 2024 più del 60% delle imprese manifatturiere si affiderà a qualche forma di intelligenza artificiale. L’effetto di questo cambiamento – affermano gli analisti di Idc – si tradurrà in un incremento di produttività superiore al 20%. La digitalizzazione non è dunque un’utopia ma una realtà in divenire. Secondo lo studio della società di ricerche, svolto su un campione di 400 global manufacturer, nel periodo 2013-2017 le aziende che hanno avviato una digital transformation hanno ottenuto un aumento medio annuo di fatturato e profitti rispettivamente dell’1,2% e del 2,3%; di contro, le aziende più conservative, che poco o nulla hanno fatto in termini di innovazione, hanno registrato risultati opposti e contrari: i ricavi sono diminuiti del 3,1% e i profitti del 2,1%.

 







 

Ne consegue che parte della ricchezza generata dalle imprese deriva ormai da forme dirette o indirette di revenue digitale e che il business analogico è destinato progressivamente a diminuire. Il percorso digitale delle aziende ha infatti come obiettivo implicito l’affermazione di un modello di data company. Significa usare i dati come materia prima in tutti i processi decisionali e conoscitivi, modificando l’articolazione stessa dell’organizzazione e dei processi; riconoscere il valore potenziale contenuto nei dati e farne un ingrediente fondamentale per progettare prodotti e servizi .

 

 

E’ su questi temi che si è sviluppato il dibattito nel corso dell’evento Sap, Sogno di una fabbrica digitale realizzato in collaborazione con Idc e il supporto di Intel. Ecco le riflessioni di Fabio Rizzotto (Idc), Matteo Losi (Sap), Luca Manuelli (Ansaldo Energia), Piero Pracchi (Elica) e Giovanni Emanuele Corazza (Cineca). La sintesi? I dati penetreranno sempre più in tutti i processi aziendali, con l’obiettivo ultimo di sviluppare migliori servizi per il cliente, ottimizzando al tempo stesso il processo produttivo. L’unico vero limite all’affermazione di una fabbrica digitale è l’immaginazione: non ci sono ambiti che non possono trarre vantaggio da un utilizzo intelligente e innovativo dei dati.

 

Dall’ottimizzazione dell’esistente alla creazione di nuovi modelli di business

Le imprese vincenti sono quelle che sanno pensare e agire velocemente, che ragionano fuori dagli schemi abituali e sono pronte a innovare per trasformarsi continuamente. Lo dimostra quanto avvenuto in questi ultimi anni: le imprese che più hanno innovato, in particolare nel settore manifatturiero, sono riuscite a migliorare le performance di business complessive e congelare gli effetti della micidiale crisi protrattasi a partire dal 2007. Queste aziende sono oggi più forti di prima, hanno migliorato la produttività, hanno diversificato la propria offerta e stanno cogliendo i frutti delle opportunità che possono nascere da un mercato globalizzato.

Eppure, quanto sinora accaduto è soltanto un effetto parziale dei potenziali benefici che possono derivare dalla digitalizzazione d’impresa. Come spiega Idc, «gli investimenti sono stati finora orientati a una ricerca di maggiore efficienza ed efficacia operativa; la seconda fase coincide invece con l’emergere di una visione disruptive che vede nel digitale il mezzo per determinare nuovi modelli di business che vanno a ridefinire le modalità con cui viene interpretata la supply chain tradizionale». Insomma, il digitale, come ormai da tempo si ripete, serve come motore per l’ottimizzazione dell’esistente, ma allo stesso tempo diventa leva per nuovi modelli di business.

 

Fabio Rizzotto, Associate vice president Research & Consulting di Idc Italia

 

Fabio Rizzotto, Idc: IoT come nuovo terreno di coltura dei processi 4.0

Siamo proiettati verso l’era dell’automomy. Per le imprese diventa indispensabile interrogarsi sul senso profondo del dato e dei modelli di data governance. Il dato diventa la materia grezza e determina il modo di fare business in un mondo sempre più automatizzato. Tre i fattori che fanno del digitale la leva di nuovo business: una rivisitazione del rapporto con il cliente, lo sviluppo di nuovi prodotti/servizi, l’ingresso in nuovi mercati. Quali gli elementi abilitanti la valorizzazione dei dati?

«Innanzitutto la disponibilità di impianti e asset digital ready e poi la logica algoritmica applicata al machine learning e, infine, l’IoT come terreno di coltura privilegiato di processi 4.0. Attenzione però, l’emergere di una data company non è un processo spontaneo,- dice Rizzotto.- Deve avvenire un cambio culturale, devono esistere competenze che rendano sostenibile il cambiamento e deve esserci, come sempre, la disponibilità finanziaria. Nel mondo manifatturiero l’intreccio di tutti questi nuovi elementi farà sì che sempre più aziende tendano a vendere il prodotto come servizio. E’ un paradigma che impone una sempre più intensa collaborazione, trasversale a tutte le aree aziendali. Il risultato? un’impresa con un coefficiente di autonomia progressivamente più elevato».

 

Matteo Losi, Digital Chief Expert Sap
Matteo Losi, Digital Chief Expert di Sap: occorre andare oltre gli standard e le best practice

La capacità di creare discontinuità con gli standard operativi attuali rende implicita l’accettazione e sostenibilità del rischio. E’ questo l’elemento distintivo che distingue le aziende più innovative da quelle più conservative. «Siamo di fronte a un salto paradigmatico nel modo in cui si può concepire la gestione di un’azienda e della supply chain. Da una parte ottimizzare l’esistente, dall’altra introdurre un modus operandi che possa sovvertire le regole del gioco, andando a introdurre modifiche e novità sostanziali nel merito della creazione e gestione di processi e servizi.»

« Intelligenza artificiale, machine learning, IoT, mobile e cloud computing, nuove tecnologie, consolidate ed emergenti, permettono l’acquisizione di rinnovata competitività e un miglioramento generale dell’efficienza. Bisogna però saper individuare dove e come mettere in atto un cambiamento che faccia leva in modo virtuoso delle potenzialità di questo ecosistema digitale. La tecnologia non è più una funzione di pertinenza esclusiva dell’It ma diventa l’elemento abilitante il business, qualunque sia la dimensione dell’azienda. Esiste l’opportunità di reinventarsi, ma si deve accettare il rischio che comporta l’innovazione».

 

Luca Manuelli, Chief Digital Officer Ansaldo Energia

Luca Manuelli, Chief Digital Officer di Ansaldo Energia: l’integrazione del digitale necessita di una visione collaborativa e condivisa

«La road map di trasformazione digitale deve necessariamente agire su tutti i processi chiave dell’azienda. Stiamo lavorando su tutto il tema di sviluppo prodotto, rendendolo sempre più intelligente. Il nostro obiettivo prevede di applicare l’intelligenza a bordo delle nostre turbine e l’estensione del digitale a tutta la tecnologia pregressa per potere avere una piena connettività abilitante l’IoT. Significa, per esempio, acquisire dati prodotto per consentire attività di monitoraggio diagnostico con l’obiettivo di migliorare l’utilizzo delle macchine. Il nostro processo produttivo non si presta a robotizzazione e cobotizzazione, ma si basa sulla capacità di acquisire nuova informazione partendo dai dati». Per Manuelli, modernizzare il modo di lavorare significa inoltre rendere più semplice ed efficace l’interfaccia uomo macchina con l’utilizzo di realtà aumentata e virtuale.

C’è poi l’innovazione di fabbrica, che prevede la gestione di tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla sua progettazione e ingegnerizzazione fino alla sua operatività nel mondo reale. «Stiamo investendo più di 14 milioni di euro per applicare tutte le tecnologie digitali al processo produttivo (vedi riquadro Lighthouse Plant). Una riflessione è però d’obbligo: per avere un’integrazione reale del digitale occorre avere una visione comune collaborativa e condivisa». E’ questo uno dei ruoli che spetta, come nel caso di Manuelli, a un chief digital officer: trovare una convergenza decisionale tra tutte le figure cross-aziendali per garantire un consenso all’evoluzione dell’impresa e a una sua possibile positiva discontinuità.

 

Piero Pracchi, chief marketing officer Elica
Piero Pracchi, chief marketing officer di Elica: con l’IoT si passa dal ciclo di vita del prodotto al ciclo di vita del dato

«L’integrazione digitale è un grande tema ma ancora in larga parte inespresso. Non è semplice. Affinché si possano raggiungere risultati positivi si deve infatti avere una visione ampia, agire sull’organizzazione e agire sulle operation poiché significa introdurre cambiamenti sostanziali.- dice Pracchi – In azienda vuol dire confrontarsi con le varie line of business, dal Cio al Cto, al Cfo, che poi magari non autorizza nemmeno l’investimento. Ci deve essere un impegno costante e non si deve mai perdere di vista la direzione. A volte si ha la sensazione di non riuscire a mettere a fattor comune le opportunità di trasformazione ma questo è lo sforzo che ci viene richiesto.»

 «Di una cosa sono più che convinto: mettere al centro il cliente non può e non deve essere un semplice slogan. Non è sufficiente chiedere al cliente cosa vuole. Se si segue questa logica si è già in ritardo. Occorre ragionare per eccesso ovvero andare oltre le aspettative attuali del cliente. Insomma, un’azienda che guarda lontano deve anticipare il mercato. Possiamo correre veloci, ottimizzare produzione e supply chain, ma se non si guarda oltre gli orizzonti definiti esiste sempre il rischio di deragliare. L’ IoT è la terra promessa. In questo senso credo che non si debba più parlare di ciclo di vita del prodotto, ma di ciclo di vita del dato. Se non si entra in questa logica credo sia difficile centrare l’obiettivo di soddisfazione delle aspettative del consumatore».

 

Giovanni Emanuele Corazza, fondatore del Marconi Institute of Creativity
Giovanni Emanuele Corazza, fondatore del Marconi Institute of Creativity: mai vincolare lo sviluppo futuro alle idee dominanti

«Per portare innovazione in azienda occorre conoscere benissimo lo stato dell’arte del settore in cui si opera, sapere quali sono le tendenze di mercato, conoscere i competitor e i clienti», esordisce Corazza. Come creare discontinuità e favorire la creazione di nuovi modi di produrre o di prodotto? «A differenza di una ottimizzazione dell’esistente, per cimentarsi su queste sfide serve mettere in atto un esercizio diverso. Si deve esplorare, sapendo benissimo che la strada che si intraprende non è a posteriori necessariamente la migliore. Si deve essere consapevoli che non c’è un solo futuro, ma più futuri. Nella società industriale è lo standard che conta ovvero l’adesione a regole e metodi consolidati che consentono di produrre grandi quantità a basso costo.»

«Conoscere gli standard e le best practice, avere le competenze e il know how è ovviamente indispensabile ma solo un pensiero anticonformista può dare vita a un nuovo corso. La creatività appartiene ai geni ma siamo nella condizione di poterla far diventare una pratica democratica a patto di essere disposti a rivedere la propria organizzazione, che deve essere meno gerarchica e più collaborativa. In azienda, nell’industria, mai vincolare lo sviluppo futuro agli standard. È necessario inibire costantemente le idee dominanti per vedere le alternative. L’intelligenza è la capacità di inibire la risposta istintiva».

Design Thinking, creare valore partendo dalle necessità delle persone

Per stimolare il pensiero innovativo Sap ha fatto proprio l’approccio Design Thinking sviluppato negli anni duemila all’Università di Stanford in California. «E’ un approccio olistico associato alle soluzioni creative che consente alle aziende di pensare a nuovi concept, un processo che consente lo sviluppo di nuove soluzioni per qualsiasi problema», spiega Losi. I progetti vengono creati e rivisti in diversi cicli e testati utilizzando dei prototipi. Il focus è sulle esigenze degli utenti, in modo da ottenere un risultato finale su misura per gli utenti stessi.

«Con i nostri clienti ragioniamo tantissimo in termini di co-innovazione poiché quando si affronta un percorso digitale non esistono funzionalità o tecnologie precotte. Le pensiamo e le sviluppiamo insieme elaborando processi e fenomeni di business poiché non ci sono soluzioni general purpose che possano creare di per sé un valore tangibile. E il metodo Design Thinking è un mezzo per rispondere a queste esigenze in un modo più creativo e user centric».

Smart worker, la realtà aumentata entra in fabbrica

Augmented reality, sistemi di gestione basati sull’intelligenza artificiale, visualizzazione 3D e veicoli a guida autonoma. Per Sap il sogno di fabbrica digitale diventa sempre più realtà grazie alle novità che vengono rese disponibili attraverso la Sap Manufacturing Suite e il programma Sap Startup Accelerator per la Digital Supply Chain. La soluzione Manufacturing Execution, permette agli operatori di accedere tramite qualsiasi dispositivo intelligente alle istruzioni di lavoro in 3D per supportare fasi complesse di assemblaggio, aumentare la produzione, ridurre gli sprechi e migliorare la puntualità delle consegne. La soluzione Sap Digital Manufacturing Cloud consente invece ai responsabili di assegnare agli operatori turni specifici e sedi di lavoro, con l’obiettivo di garantire un uso efficace delle competenze e del tempo.

Grazie all’iniziativa Startup Accelerator è nata infine una nuova ondata di startup che opera per modernizzare la produzione e ripensare il modo con cui le diversità operazioni sono realizzati. Con il rilevamento degli occhi di 4tiitoo e le tecnologie di controllo dei gesti del braccialetto Kinemic, i dipendenti possono per esempio eseguire attività basate su obiettivi precisi e svolgere mansioni di controllo e produzione con le mani libere. La combinazione di augmented reality e rilevamento 3D di Arkite rende semplice un assemblaggio complicato, guidando gli operatori in tempo reale per ridurre al minimo gli errori che comportano costosi contrattempi. Infine, i veicoli a guida autonoma di Serva Transport Systems migliorano la velocità con cui le informazioni vengono condivise e il flusso dei materiali e garantiscono che i prodotti siano nel posto giusto al momento giusto, dal magazzino fino al reparto di destinazione.

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Elica, l’ettrodomestico è internazionale

Elica Corporation, sede storica in Fabriano, è attiva nel mercato delle cappe da cucina sin dagli anni ’70. Vanta un fatturato 2018 di 472,4 milioni di euro e un ebitda di 40 milioni. Oggi conta sette stabilimenti nel mondo tra Italia, Polonia, Messico, India e Cina; 3.800 dipendenti e una produzione annua di 20,7 milioni di pezzi tra cappe e motori. La società opera attraverso due business principali: area cooking e area motori. Nel primo è leader mondiale in termini di unità vendute nel settore delle cappe a uso domestico; nel secondo, con il marchio Fime detiene la posizione di leadership in Europa nella progettazione, produzione e commercializzazione di motori elettrici per elettrodomestici e per caldaie da riscaldamento. L’area cooking progetta, produce e commercializza cappe da cucina a uso domestico, sia a marchio proprio sia attraverso i brand dei principali produttori internazionali di elettrodomestici e cucine e, per il mercato asiatico, anche piani cottura, forni e sterilizzatori. L’area motori progetta, produce e commercializza motori elettrici per elettrodomestici, cappe e caldaie da riscaldamento a uso domestico.

 

Ansaldo Energia, lo stabilimento di Genova Cornigliano

Il Lighthouse Plant di Ansaldo Energia

Ansaldo Energia, azienda storica del settore energerico con un fatturato di 1,46 miliardi di euro, è parte integrante del programma del Cluster Fabbrica Intelligente (CFI), associazione senza scopo di lucro costituitasi a settembre 2012 a seguito dell’emanazione di un bando del Miur e finalizzato alla costituzione di cluster tecnologici nazionali. La missione del CFI è quella di «creare una comunità manifatturiera stabile che sia attiva nello sviluppo e nell’attuazione di una strategia basata sulla ricerca e sull’innovazione in grado di consolidare i vantaggi competitivi nazionali». Nel febbraio 2018 quello di Ansaldo Energia è diventato il primo progetto di “Lighthouse plant”, grazie ad un accordo siglato da Mise, Regione Liguria e azienda, che investirà complessivamente 14 milioni di euro in un piano triennale di R&S industriale basato sullo sviluppo e applicazione delle principali tecnologie digitali del Piano Industria 4.0 all’intero processo manifatturiero dei suoi due siti produttivi di Genova (Campi e Cornigliano).














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