Digitalizzazione e manufatturiero: chi è già avanti accelera

di Marco de’ Francesco ♦ Una ricerca SDA Bocconi commissionata da SAP fotografa il progresso della digital transformation nell’ambito delle PMI: più della metà fra esse ha una strategia già definita. La presa di coscienza è larga e in generale è in atto un movimento di abilitazione al 4.0, ma  ancora per molte imprese manca la consapevolezza dell’importanza del digital manufacturing. In pole position le più internazionalizzate.

Aziende sulla breccia, internazionalizzate e automatizzate, che puntano sul digitale per avanzare a passo serrato nel mercato globale e tenersi sulla scia di forti correnti evolutive. Aziende agganciate, nella filiera, a grandi player che chiedono efficienza e trasferiscono conoscenze. Aziende che si guardano attorno, e capiscono che il mondo è cambiato e che qualcosa bisogna inventarsi. Aziende, infine, ferme in tutto: attendono di capire cosa fare, e al contempo realizzano di essere rimaste indietro. Danno di sé un giudizio negativo, ma non promettono di rimboccarsi le maniche.







“Survey Digital Manufacturing”: la ricerca

È uno spaccato in chiaro-scuro, quello emergente dalla ricerca “Survey Digital Manufacturing” commissionata  da SAP (colosso dei gestionali da 22 miliardi di euro di fatturato, oltre 84mila dipendenti in più di 130 paesi, 345mila clienti in 180 paesi e più di 15mila società partner in tutto il globo, il cui CEO Bill McDermott è stato intervistato recentemente da Industria Italiana ) a SDA Bocconi (School of Management, al primo posto in Italia e al vertice delle principali classifiche internazionali). Un faro acceso sul mondo delle PMI, poste di fronte alla prospettiva della digitalizzazione e del digital manufacturing. Direttrici interpretate dalla maggior parte delle imprese coinvolte – sempre secondo quanto emerge dallo studio – più come un’occasione per mettere a posto le cose di casa che in chiave espansiva.

Il campione delle aziende considerato

Su 1.201 aziende intervistate, hanno risposto in 1.147. Di queste il 56% appartiene alla classe di fatturato tra i 20 e i 40 milioni di euro. Tra i 40 e i 50 milioni, il 12%; tra i 50 e gli 80 il 17%. Percentuali sempre più ristrette, per le aziende più grandi. Solo una tra i 200 e i 250 milioni e solo due tra i 250 e i 500 milioni. Quanto ai settori di attività, i campioni più significativi si trovano nei comparti “consumer products” (26,6%), “industrial machinery and components” (16,7%), “chemicals” (11,9%) e “forest products, forniture and textile” (11,8%). La ricerca è durata, in senso stretto, tra settembre e ottobre del 2016, in un periodo di poco antecedente il rilascio del piano Calenda. Naturalmente, era stata pianificata prima: c’è un lavoro che in genere precede la raccolta e l’analisi dei dati.

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Più della metà delle aziende fa i conti con la digitalizzazione

Quasi un quarto delle aziende coinvolte non hanno né in corso né in previsione iniziative di digitalizzazione; ma oltre il 60% è invece impegnato su questo fronte. Per l’esattezza, il 27% ha già portato a termine una o più iniziative di digitalizzazione; il 36% ha lanciato iniziative non ancora completate; il 13% non ha ancora fatto nulla ma si propone di fare qualcosa e il 23% non ha fatto niente e non intende farlo. L’1%, non sa. «Bisogna tenere presente le dimensioni delle aziende selezionate – afferma Gianluca Salviotti, docente di Management Information Systems alla SDA Bocconi -: il segmento più vasto riguarda PMI dai 20 ai 40 milioni di fatturato. Partendo da questo dato di fatto, a me sembra che la percentuale di aziende che ha fatto o sta facendo qualche azione sulla strada del 4.0, il 63%, sia un dato abbastanza positivo. E poi, solo il 23% non ne vuole sapere. Si tratta delle imprese più piccole ».

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Gianluca Salviotti, docente di Management Information Systems alla SDA Bocconi

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“Salviotti: mi sembra che la percentuale di aziende che ha fatto o sta facendo qualche azione sulla strada del 4.0, il 63%, sia un dato abbastanza positivo. E poi, solo il 23% non ne vuole sapere. Si tratta delle imprese più piccole .”

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Chi è fermo e chi si muove

«Le cause sono tante – prosegue Salviotti–  e spesso coesistono; in generale, si tratta di quelle aziende ferme su tutti i fronti, da quello dell’internazionalizzazione a quello dell’automazione dei processi produttivi. Cercano ancora di capire come muoversi. Quanto alle aziende attive nel 4.0, alcune già lavorano sulla frontiera dell’eccellenza, per cui il 4.0 rappresenta solo la “ciliegina sulla torta” rispetto al sistema delle nuove tecnologie e a quello dei processi abilitanti. Tutte le altre sono quelle attive nell’internazionalizzazione. Si guardano attorno, e comprendono come funzionano le cose in altri Paesi. Altrimenti, si tratta di imprese nella cui filiera grandi player fanno da traino. Pretendono molto, questi ultimi, sia dal punto di vista della tecnologia che di efficienza nella logistica. Ma si verifica una sorta di trasferimento di know how tra cliente e fornitore – che però deve stare al passo».

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Carla Masperi, Chief Operating Officer SAP Italia

La trasformazione del prodotto in servizio

Carla Masperi, Chief Operating Officer di SAP Italia (guidata dall’ A.d. Luisa Arienti),  la vede invece così: «Il 23% che non ne vuole sapere? Va valutato il contesto, il tipo di produzione. Se produco macchine da cucire, posso pensare che la digitalizzazione non aumenti il mio fatturato». Masperi  sottolinea che  le aziende che non si mettono in gioco potrebbero incontrare difficoltà in futuro: «Il mondo avanza con tecnologie nuove, che consentono di produrre beni sempre più personalizzati. Per certi versi, si assiste alla trasformazione del prodotto in servizio. In realtà, chi si mette al passo con la digitalizzazione può in effetti raggiungere mercati prima inarrivabili, e può ritagliarsi un ruolo nel mercato globale».

La digitalizzazione parte di una strategia complessiva

Le iniziative di digitalizzazione rientrano nel budget aziendale complessivo nel 65% dei casi; nell’11% dei casi ogni area ha il proprio budget per la digitalizzazione; e nel 24% dei casi le iniziative rientrano nel budget dei sistemi informativi. Secondo Salviotti: «Significa che la digitalizzazione non è un presidio delle singole aree, ma che anzi riguarda un disegno complessivo dell’azienda. È, come dire, parte della strategia. E ciò è chiaro al 65% delle aziende: un buon risultato, molto interessante. Solo per meno di un terzo delle imprese la digitalizzazione è vista come un’espressione della tecnologia. Ma tutto sommato, è fisiologico che accada ancora».

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“Masperi: le aziende che non si mettono in gioco potrebbero incontrare difficoltà in futuro. Il mondo avanza con tecnologie nuove, che consentono di produrre beni sempre più personalizzati. Per certi versi, si assiste alla trasformazione del prodotto in servizio.”

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 Chi ha già iniziato accelera il passo

Quanto agli investimenti in digitalizzazione nei prossimi tre anni, saranno stabili per il 45% delle aziende coinvolte; aumenteranno per il 41%; e diminuiranno solo per il 2% (il 12% non sa rispondere). Per Salviotti «quanto alle prospettive di investimento, le percentuali indicate rappresentano un indice di dinamicità, molto legato al dato del 63% di aziende operative nella digitalizzazione. Bisogna anche riflettere sul fatto che ci sono imprese che hanno già introdotto in singoli settori la leva della digitalizzazione; si sono accorte che funziona, e pertanto stanno estendendo la pratica ad altri settori. In pratica, anche tra chi ha già portato a termine qualche iniziativa resta vivo l’interesse a reinvestire».

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Più attori per le iniziative di digitalizzazione

In azienda, la responsabilità delle iniziative di digitalizzazione ricade su più figure. Data la possibilità di indicare più figure, le aziende hanno segnalato nel 48% dei casi il responsabile ICT e dei sistemi informativi, nel 40% dei casi un dirigente indipendente dalla proprietà (direttore generale, amministratore delegato), nel 36% dei casi la proprietà e poi altri meno rappresentativi. Dice Salviotti: «In un contesto di aziende per lo più familiari  ci sono più figure che si occupano delle iniziative di digitalizzazione. Insomma, siamo di fronte a responsabilità condivise. C’è comunque una certa concentrazione su chi si occupa di queste cose per mestiere».

 

 

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La percezione del progresso

Solo una minima parte degli intervistati ritiene di essere «sulla frontiera». La maggior parte delle aziende si ritiene in linea e oltre un quarto si percepisce “arretrato”. Per l’esattezza, nella scala della digitalizzazione il 3% si stima “molto alto”; il 15% “alto”; il 5% non sa; il 49% “in linea”; il 19% “basso” e il 9% “molto basso”. Ma tra le aziende che hanno già portato a termine una o più iniziative il 39% si ritiene “alto”. «Il 28% ammette di essere ad un livello basso, o molto basso – commenta Salviotti – si tratta di una presa di coscienza. Come dire: meglio mettersi a lavorare a testa bassa per allinearsi con le aziende dei Paesi avanzati. Indubbiamente, le stesse domande poste in Nord Europa avrebbero trovato risposte diverse. La situazione delle PMI italiane è simile a quella delle imprese di pari dimensioni francesi e spagnole».

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Perché digitalizzare: le motivazioni

Ai processi di digitalizzazione vengono riconosciuti molteplici benefici: la maggiori efficienza e produttività (il 30% delle prime risposte) e il maggior coordinamento interno (23%) vengono visti come le aree principali toccate. «Dato questo genere di domande – chiarisce il docente – la produttività è un ever-green, in quanto risposta. Mi ha colpito di più il coordinamento, questione in genere trascurata, insieme alla soddisfazione del cliente (8%)». Per Salviotti, si spiega così: la risposta “sviluppo dei nuovi mercati” (4%) è piuttosto arretrata, perché il passaggio della digitalizzazione è concepito come un orientamento interno. Insomma, prima di aggredire i nuovi mercati, le aziende pensano che sia il caso di mettere le cose in ordine in casa propria».

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Imprese indietro sul Digital Manufacturing

È più contenuta la quota degli attivi sul Digital Manufacturing: il 21% ha portato a termine una o più iniziative; il 27% ne ha lanciate ma non la ha completata; l’1% non sa; il 15% non ha fatto niente ma qualcosa ha in programma; e infine il 36% non ha lanciato iniziative di DM e non intende farlo. «Questo, però, è abbastanza normale – afferma Salviotti -. Non si tratta di digitalizzazione in senso lato, ma di una focalizzazione su alcuni processi. Quanto al dato del 36% di ‘immobili’ su questo fronte, va sottolineato che nelle piccole imprese la produzione artigianale esiste ancora». Secondo la Masperi «quanto al 36% di ‘conservatori’, è evidente che in alcuni manca la consapevolezza dell’importanza del digital manufacturing. Il piano Calenda è per le imprese una delle iniziative più importanti viste in questi ultimi anni; ma sembra interessare per lo più ad aziende già virtuose. L’iperammortamento è preso in considerazione da imprese che generano un valore considerevole. Certo, non beneficiare di questa politica industriale significa perdere punti di produttività; pertanto, vanno valutate con attenzione le ragioni di chi dice di no».

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“Masperi: il piano Calenda è per le imprese una delle iniziative più importanti viste in questi ultimi anni; ma sembra interessare per lo più ad aziende già virtuose.”

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Nel Cloud Computing e robotica  la maggior parte delle iniziative

Per il 31% dei casi le iniziative di Digital Manufacturing rientrano in un piano più ampio di trasformazione digitale; per il 30%, in un piano ad hoc di Digital Manufacturing; per il 36% dei casi,non sono inserite in alcun piano. Il 3% delle aziende non sa. Il quadro della pianificazione è frammentario. Tra le iniziative più diffuse emergono quelle attinenti al Cloud Computing (32% di iniziative pilota e 21% di implementazione) e alla robotica avanzata (27% di iniziative pilota e 20% di implementazione), mentre è marginale la stampa 3D (15% e 6%). «In effetti, la stampa 3D non è un paradigma nuovo – dichiara Salviotti – e chi doveva adottare questo genere di manifattura additiva lo ha già fatto. In una logica business, il suo utilizzo è già stato valutato».

«Per big data (25% e 13%), – prosegue Salviotti – il fatto che così tanti non abbiano iniziative in corso dipende dalla circostanza che all’interno delle piccole aziende spesso manca quel team di sofisticati specialisti in grado di estrarre valore dai dati». Dal Cloud Computing è atteso un impatto radicale (15%) e moderato (47%). Per il DM le maggiori ricadute attese riguardano l’area della produttività e l’aumento della qualità. Tra i maggiori ostacoli del Digital Manufacturing, la carenza di risorse finanziarie (13% delle prime risposte); la difficoltà a stabilire un ritorno dell’investimento (8%) e l’immaturità aziendale sulla digitalizzazione (8%).

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“Salviotti: per big data (25% e 13%), il fatto che così tanti non abbiano iniziative in corso dipende dalla circostanza che all’interno delle piccole aziende spesso manca quel team di sofisticati specialisti in grado di estrarre valore dai dati”

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Più  attività  nella gestione della Supply Chain

Quanto all’impatto del Digital Manufacturing per la gestione della Supply Chain, va detto che nell’area del SCM (Supply Chain management) sono numerose le iniziative di DM in corso o in programma. «Le risposte che emergono, “Visibilità e ottimizzazione in tempo reale dei magazzini” (45% di risposte multiple) e “Integrazione orizzontale di info per ottimizzazione di scorte e logistica” (45%) alla fine sono un’altra manifestazione di ciò che si diceva dianzi – dice  Salviotti -.  Prima di andare all’attacco, si tratta di sistemare le cose in casa. Alla fine, non siamo ancora al 4.0 vero e proprio. Per lo più, le PMI sono impegnate in un movimento di abilitazione al 4.0».

 

SAP Italia
SAP Italia, la sede di Vimercate (M )

  SAP: senza un sistema informatico robusto non c’è progresso

Ma qual è il rapporto di SAP con le PMI? «Siamo nel cuore della trasformazione – afferma Masperi -. Certo, veniamo da una storia di rapporti con grandi aziende, ma tra i 6mila clienti italiani, l’80% sono aziende piccole e medie. Noi conferiamo un valore a queste imprese, con una piattaforma in grado di dare risposte a 360° quanto a 4.0. Consentiamo di abilitare funzioni legate all’IOT, alla sensoristica e al Cloud. E oggi tutto ruota attorno al cliente. Infatti, non si tratta solo di istallare sensori, ma di concepire e realizzare un intero processo digitale secondo una direttrice che va dal cliente finale alla produzione. È il cliente al centro, con le sue esigenze correlate ai tempi del mercato».

Ma come deve agire l’azienda? «L’azienda – continua  Masperi – deve essere in grado di valutare la value chain con un’ottica grandangolare. Scoprire le aree di debolezza, per trovare soluzioni nei settori dei big data, dell’analytics, della sensoristica e dell’IOT. Un tempo la Harley Davidson produceva una moto in 21 giorni; ora in sei ore. Oggi il cliente si disegna la moto scegliendo componenti con una app di configurazione. Ci vuole più tempo a consegnare il mezzo che a metterne insieme i pezzi. Peraltro la nostra piattaforma è dotata di diversi moduli, dalla cui attivazione dipende il pricing. Quanto al cloud, è un paradigma di erogazione di risorse che consente di essere pronti in tempi più rapidi. Ma soprattutto, va sottolineato che senza un sistema informatico robusto non c’è progresso nella digitalizzazione».

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“Masperi: non si tratta solo di istallare sensori, ma di concepire e realizzare un intero processo digitale secondo una direttrice che va dal cliente finale alla produzione. È il cliente al centro, con le sue esigenze correlate ai tempi del mercato”

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