Confindustria tra api operose e programmi economico-politici per il post elezioni

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di Marco de’ Francesco ♦ Parla Carlo Robiglio, presidente della Piccola Industria. Il messaggio ai politici: continuate sul Piano Calenda, indirizzate risorse sulla formazione e non abbandonate il Jobs Act. Solo così le pmi italiane potrebbero sfruttare l’opportunità della digital transformation 

Innovazione e formazione: sono le due leve di sviluppo al centro del programma di politica industriale che sarà definito e redatto a Verona il 16 febbraio, nel corso delle Assise generali di Confindustria. Un evento straordinario, motivato da circostanze particolari. Il piano sarà infatti successivamente illustrato al mondo politico in vista delle elezioni del 4 marzo, quelle per rinnovare Camera e Senato e per scegliere il nuovo governo. Secondo il presidente della Piccola Industria Carlo Robiglio, non si può più tornare indietro sulla strada delle riforme, su quella che, iniziata con il Job Act e Industria 4.0, ha portato agli attuali buoni risultati in termini di Pil e soprattutto di produzione industriale.

Per Carlo Robiglio si è aperta una fase favorevole alle piccole aziende, che hanno l’opportunità di esportare direttamente grazie all’e-commerce e ai progressi nella logistica; e comunque sia, il dado è tratto, ed eventuali rallentamenti comporterebbero nuove fasi di stagnazione e l’emarginazione del Paese dal contesto delle economie avanzate. E Confindustria intende giocare le proprie carte fino in fondo, rivendicando la propria funzione sociale. È un momento di grande impegno per tutta l’associazione degli industriali. A marzo, poi, quando il passaggio elettorale sarà terminato, Robiglio darà nuovo slancio al proprio progetto per le piccole aziende, di cui ha tracciato le direttrici nei primi due mesi di attività. Le priorità sono l’innovazione e la cultura d’impresa.







 

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Carlo Robiglio è presidente della holding di partecipazioni Ebano e vice-presidente de “Il Sole 24 Ore”
Le Assise generali non si tengono ogni anno, ma solo quando la situazione lo richiede. Quali circostanze hanno portato all’evento di Verona?

«Quelle di Bergamo, del 2011, erano motivate dalla grande crisi economica dei tempi. L’industria si dimostrò resiliente, e si sforzò di tenere il passo. Quelle prima ancora, si erano tenute a Parma nel 1992: allora l’Italia rischiava il default, tanto che il presidente del consiglio Giuliano Amato aveva varato una manovra da 90 miliardi di lire. Ora, si tratta di fare sintesi e di illustrare alla politica il nostro piano, perché la verità è che siamo giunti a un bivio. La situazione è questa: o si continua sulla strada delle riforme, del Job Act, di Industria 4.0, e si spinge in questa direzione per essere competitivi, per favorire le esportazioni e per fare della ripresa non un fatto contingente ma strutturale, o si torna indietro, verso le paludi dell’obsolescenza, dello stallo, delle opportunità perdute. In questa seconda ipotesi, saremmo schiacciati dalla potenza statunitense e dall’asse Parigi-Berlino».

 

Vincenzo Boccia, presidente Confindustria
A Verona si parlerà di prospettive strategiche per la crescita e per l’occupazione

«Ci sono, a mio avviso, due leve per lo sviluppo. Anzitutto, mai come oggi l’Industria 4.0 è importante per le imprese italiane. Grandi e piccole, sono competitive nelle nicchie di mercato. Si parla tanto dei tedeschi, come primi della classe. Ma le aziende tedesche sono diventate importanti anche grazie alla nostra componentistica. E comunque, in fatto di manifattura, siamo i secondi d’Europa. Siamo dotati di creatività: con l’innovazione e con il digitale possiamo fare grandi cose. Quanto all’altro elemento per la crescita, è di sicuro la formazione.

’Siamo giunti a un bivio: o si continua sulla strada delle riforme, del Job Act, di Industria 4.0,  o si torna indietro, verso le paludi dell’obsolescenza, dello stallo, delle opportunità perdute‚

È il booster per ottenere vantaggi competitivi sui mercati. Bisogna puntare su quella continua, sia per gli studenti che per i dipendenti. Negli ultimi anni, con la crisi, l’interesse verso questo genere di istruzione si è affievolito. Bisogna tornare in carreggiata, perché le nuove tecnologie richiedono personale qualificato e competente. Ci vuole cultura digitale, cultura tecnica, e capacità di lettura dei dati e delle informazioni (che saranno in quantità enorme) per trasformarle in valore economico».

 

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E’ necessario che anche a livello formativo ci si adegui agli standard internazionali
L’Italia, sul punto, non sembra al passo con altri Paesi avanzati

«Per certi versi il nostro è uno strano Paese. In Germania gli Its (Istituti tecnici superiori: percorsi di specializzazione tecnica post diploma, riferiti alle aree considerate prioritarie per lo sviluppo economico e la competitività) sfornano ogni hanno 850mila diplomati; in Italia 8mila. Eppure la popolazione tedesca supera quella italiana del 36%. C’è qualcosa che non funziona, nel nostro sistema. Certo, bisogna smetterla di combattere battaglie di retroguardia che non servono più a nessuno. Bisogna ammettere che l’economia non è più un fatto che avviene all’interno dei confini di un solo Paese; è una cosa che si svolge nella competizione globale. Dunque ad ogni livello, anche formativo, dobbiamo adeguarci alle migliori pratiche internazionali. Si deve capire che il mondo va avanti anche senza di noi, ma che possiamo giocare la nostra partita, se ci armiamo di strumenti adeguati».

Nel 2017 la produzione industriale è cresciuta del 3%, il doppio del Pil e quasi il doppio dell’anno precedente. Mai così bene dal 2010. Quali opportunità si aprono per la Piccola Industria?

«In un contesto di filiera, per anni le piccole aziende hanno lavorato portando un contributo ai campioni dell’export, che in genere sono aziende più grandi. Dietro il successo di quest’ultime, ci sono centinaia di fornitori. Tutto ciò ha un valore sicuramente positivo sia per le grandi aziende che per le piccole: le prime chiedono alle seconde innovazione, solidità e investimenti in R&D. Le seconde, ora hanno una chance in più, che a mio avviso devono saper sfruttare: l’opportunità di esportare direttamente.

‘Abbiamo sentito gli esponenti   della classe politica fare promesse mirabolanti. Alle Assise proporremo un progetto organico di politica economica . Se intendessero arretrare si troverebbero di fronte ad una associazione degli industriali determinata‚ non supina‚

E ciò grazie all’e-commerce e ai progressi della logistica e anche alla possibilità di firmare contratti di rete. È una grande opportunità per le piccole imprese anche se non dobbiamo dimenticare che il principale obiettivo è crescere. C’è una richiesta globale di competenze, di valore intrinseco. Una prova? Quando grandi imprese sono state comprate, i fornitori sono rimasti gli stessi. Si pensi a Gucci, per esempio. La casa di moda ora è una divisione della società francese Kering. Ma dietro c’è una competenza “artigianale”, quella della filiera tipicamente italiana».

 

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Il Ministro dello Sviluppo economico Calenda, autore del Piano Industria 4.0

 

Lei è stato nominato presidente della Piccola Industria il 23 novembre, con voto unanime nel corso delle elezioni del Consiglio Centrale. Come procede il piano di Robiglio per le aziende di sua competenza?

«Devo dire che le direttrici del mio progetto sono state tracciate. La rotta è già stata definita. Poi, a dirla tutta, in questi giorni ho lavorato molto sull’evento delle Assise. Da presidente della Piccola Industria, com’è noto, sono diventato di diritto vicepresidente di Confindustria. Insieme al presidente Vincenzo Boccia, mi sono mosso parecchio nel Paese: almeno 10 tappe in tutta Italia, per incontrare gli imprenditori.

’Le grandi aziende  chiedono alle piccole  innovazione, solidità e investimenti in R&D. Le seconde, ora hanno una chance in più, che a mio avviso devono saper sfruttare: l’opportunità di esportare direttamente‚

Una volta terminate le Assise, tornerò a premere l’acceleratore sul programma, che poi consiste in alcuni punti strategici: anzitutto l’innovazione, nella consapevolezza che l’economia e l’industria in particolare stanno attraversando una fase di cambiamento di portata storica. Poi il recupero della nostra identità di imprenditori, al fine di diventare un punto di riferimento per la comunità e per il territorio. Ancora, la cultura di impresa, che ha a che fare con la strategia, con la responsabilità, con l’innovazione, con la capacità di farsi carico di obiettivi diversi rispetto al profitto; e che non riguarda solo imprenditori e dirigenti, ma tutti i dipendenti».

Che accadrà dopo il 16 febbraio?

«Per capire cosa accadrà, bisogna pensare che alle Assise si verificherà una specie di rivoluzione copernicana. Abbiamo tutti sentito esponenti della classe politica, in questi giorni, fare promesse mirabolanti relative a imposte, agevolazioni e altro, senza fornire spiegazioni su dove si debbano reperire le risorse per la copertura. Noi, invece, proporremo un progetto organico di politica economica con la descrizione degli obiettivi, degli strumenti e delle risorse da attivare. Dal giorno dopo le Assise di Verona incontreremo i rappresentanti di tutti i partiti per spiegare il nostro programma. Confindustria rivendica una propria funzione sociale e “politica” in senso lato. Quindi, qualora i nostri interlocutori intendessero arretrare rispetto ad elementi che hanno contribuito all’attuale ripresa, come il piano Industria 4.0 e il Job Act, si troverebbero di fronte ad una associazione degli industriali determinata, non supina e silenziosa».














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