Remanufacturing: la chiave di svolta per ripensare la supply chain. Il punto di Kpmg

di Laura Magna ♦︎ In italia il reshoring è impensabile e quindi è necessario pensare a produzioni nuove e alternative per il recupero dei materiali di base. L'importanza degli acquisti centrali per risolvere la carenza di gas e materie prime. La nuova frontiera del metaverso. Ne parliamo con Alessandro Manzo

La rivoluzione della supply chain? Passa dal re-manufacturing e da un rinnovato concetto di filiera. A salvare la manifattura italiana sarà non tanto il reshoring (impossibile portare in Italia l’estrazione di materie prime, che è quello che realmente farebbe la differenza), ma la creazione di produzioni nuove e alternative per il recupero dei materiali di base che sono critici a moltissime – per non dire tutte – le industrie: nichel, rame, palladio. In seconda battuta, per superare il problema atavico della piccola dimensione delle imprese (che quindi hanno esigenze di piccole quantità, ovvero scarso potere contrattuale), sarebbe di grande aiuto la creazione di network di aziende che agiscano come un tutt’uno riuscendo a fare massa critica e competendo sul mercato globale con la logica della centrale acquisti. Potendo accedere più facilmente alle scarse risorse disponibili.

E infine, bisogna guardare con curiosità le frontiere tecnologiche, che potrebbero portare nuove possibili fonti di ricavo: il riferimento è al metaverso, che anche per la manifattura può essere uno strumento utile. «Nel metaverso non si vendono prodotti reali, ma virtuali: accessori di moda, per esempio. Ma anche testing di macchine come in fiera, possono avvenire in un contesto nuovo e trasformarsi in fatturato», dice a Industria Italiana Alessandro Manzo, Partner di Kpmg. Con Manzo abbiamo provato a tracciare, in una lunga intervista, il futuro delle catene di fornitura globali. Da oltre due anni sotto pressione: prima i lockdown, poi il conflitto russo-ucraino, e i conseguenti aumenti dei costi dell’energia, mentre cresce l’attenzione per la sostenibilità che richiede nuovi investimenti e quindi al momento incide sui margini già depressi. A che punto siamo? Esistono ancora supply chain globali o la dimensione sta diventando regionale? Cosa hanno cambiato strutturalmente i molti cigni neri che si sono susseguiti nei mesi? Cosa è destinato invece a rientrare?







 

Materie prime e gas: i problemi strutturali che pandemia e guerra hanno enfatizzato

Alessandro Manzo, partner di Kpmg

«La prima cosa a dire è che va fatta chiarezza su causa ed effetti – dice Manzo – nel mondo del lusso, per esempio, l’impatto deriva dai lockdown che sono ancora in corso in Cina. Non si giustifica il crollo verticale delle vendite con la sola fine del mercato russo che vale il 2-3% del fatturato globale. Il primo passaggio da fare è capire bene quali sono le cause e quali gli effetti». E la prima causa della crisi attuale è lo shortage di energia, che, si badi bene, non deriva dalla guerra «ma dal fatto che l’Italia dipenda per il 73% da altri Paesi per l’approvvigionamento ed è il Paese con il posizionamento peggiore in Europa. La Francia che produce energia dal nucleare non ha lo stesso problema: noi siamo esposti perché non abbiamo strutturato una strategia energetica e dunque abbiamo rinunciato al nucleare e non abbiamo neppure spinto sulle rinnovabili, da cui deriviamo circa il 15% della generazione totale. Dunque se la guerra finisse tra un mese non ci renderebbe immuni da una fragilità da un punto di vista energetico. Ci sono temi strutturali che la guerra enfatizza, certamente».

Sul fronte delle materie prime, ugualmente l’Italia è in una posizione di dipendenza in quanto non le estrae. Ma mentre il problema energetico sarebbe risolvibile, «le materie prime di base non potranno mai essere costruire o spostate nel nostro suolo e servono per il funzionamento di tantissime filiere, il nichel e il rame che sono critici, il palladio che serve all’automotive, vengono tutti dalla Russia. Queste materie prime servono, sono l’incipit delle filiere produttive. Anche se facciamo un reshoring importante questa latenza la avremo in ogni caso».

Le nuove supply chain: servono centrali acquisti per superare la carenza di materie prime e gas

Allora, qual è la soluzione? «Avendo l’Italia per lo più pmi quando si tratta di acquisti strategici, nessuna singolarmente possiede la massa critica necessaria e siamo sempre in coda in un mondo in cui speculazione e interruzione delle catene del valore la fanno da padroni – dice Manzo – bisogna dare dunque vita a nuove filiere integrate per creare cartelli di aziende, centrali di acquisto comune, sul modello dei contratti Ppa (Power Purchase Agreement), legati all’acquisto di energia green, che garantiscono forniture di lungo termine e consentono alle azienda anche piccole di competere sul prezzo e poter accedere alle scarse materie prime disponibili». Il caso di un’impresa del machinery, in questo senso, è esemplare: parliamo di una società quotata in Borsa e operante nella realizzazione di macchinari industriali per la lavorazione del legno, vetro e marmo, la cui supply chain è costituita da fornitori locali piccoli e italiani. L’azienda, con ruolo di capofiliera, insieme ai fornitori, ha iniziato fin da inizio 2021 a effettuare acquisti strategici di materie prime di base, che poi distribuisce ai fornitori stessi; un sistema virtuoso che ha consentito di mantenere inalterata la capacità produttiva

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Qual è il futuro delle catene di fornitura globali? Da oltre due anni sotto pressione: prima i lockdown, poi il conflitto russo-ucraino, e i conseguenti aumenti dei costi dell’energia, mentre cresce l’attenzione per la sostenibilità che richiede nuovi investimenti e quindi al momento incide sui margini già depressi. A che punto siamo? Esistono ancora supply chain globali o la dimensione sta diventando regionale? Cosa hanno cambiato strutturalmente i molti cigni neri che si sono susseguiti nei mesi? Cosa è destinato invece a rientrare?

Il caso del remanufacturing per usare materiali alternativi in produzione

«Si potrebbe in alternativa, o in aggiunta, puntare alla produzione di materie prime rigenerate, creando un mercato basato non sull’estrazione ma sulla rigenerazione spintissima degli scarti – continua Manzo – stiamo ragionando su come creare un centro di filiera per rigenerare scarti di pelle o di plastica però il progetto si scontra ancora una volta con una questione dimensionale: la sostenibilità si riesce a creare solo con volumi consistenti. Lo scarto di produzione deve essere pari all’1-2% della produzione perché la produzione sia efficiente e nessuna pmi da sola riesce a fare massa critica. Anche in questo caso la logica di filiera è vincente». La case history che cita Manzo in questo caso è quello di un’impresa operante nell’industria del legno che dal 1997 produce pannelli truciolari per la produzione di mobili, con il 100% di legno riciclato e certificato, che raccolgono, grazie ad accordi con multiutility, da vecchi mobili presso depositi e discariche, che conferiscono in azienda. Il prodotto rigenerato deve anche costare meno di quello nuovo perché l’azione sia efficace.

Una questione culturale

Le imprese sono piccole e individualiste: e questa è la prima difficoltà da superare. La contropartita sono aziende nuove e posti di lavoro nuovi. Per esempio gli addetti alla raccolta dei materiali, gli operatori delle centrali di produzione che rigenerano il materiale e lo riforniscono nel marketplace interno alle aziende del settore. «È un sistema che va regolato – suggerisce Manzo – per evitare posizioni dominanti: per esempio, ogni azienda potrebbe conferire ciò che riesce ad acquistare. Convincere le imprese a giocare una partita insieme è difficile. Lo stato è troppo lontano, bisogna guardare i territori dove c’è già un agreement e partire da lì. Le tecnologie di rigenerazione di materiali esistono ma se faccio un progetto e non si raggiungono le masse critiche i prezzi restano alti e non sostenibili».

Sul fronte delle materie prime, l’Italia è in una posizione di dipendenza in quanto non le estrae. Ma mentre il problema energetico sarebbe risolvibile, le materie prime di base non potranno mai essere costruire o spostate nel nostro suolo e servono per il funzionamento di tantissime filiere, il nichel e il rame che sono critici, il palladio che serve all’automotive, vengono tutti dalla Russia. Queste materie prime servono, sono l’incipit delle filiere produttive

Il tema correlato della sostenibilità (e la fine del lean)

La sostenibilità appunto, altro tema cruciale nelle supply chain del futuro. Secondo una survey di Kpmg con la Camera di Commercio Italo tedesca il tema della sostenibilità si colloca on the top rispetto a tutti i possibili cigni neri, imponendo diversi cambiamenti strutturali. Per il 66% delle aziende intervistate il cambiamento climatico impatta sulla supply chain, soprattutto sui tempi di consegna e sull’aumento dei costi dei fornitori, e per il 42% la sostenibilità è il principale driver nella scelta dei fornitori, che viene monitorata attraverso terze parti certificate, Kpi, questionari e visite on-site. «La sostenibilità – commenta Manzo – è ancora vissuta come adeguamento normativo, e non come strategia. E, ancora una volta, in maniera individuale. Il net zero è fissato al 2050 ed è troppo avanti nel tempo perché possa essere un incentivo a muoversi: il risultato è che la sostenibilità diventa appannaggio solo di grandi aziende. Ma è necessario aumentare la sostenibilità anche delle catene di fornitura».

Come? «La questione sostenibilità si può affrontare in due modi – dice l’analista – ottimizzando i miei modelli di consumo, riducendo i consumi di energia. Ma questo non risolve i problemi strutturali: anche in questo caso si deve fare squadra, creare distretti virtuosi e centrali di acquisto per salire di ranking quando facciamo acquisti dall’estero. Perché quando c’è carenza chi paga di più ottiene di più. E paga di più chi può comprare più quantità. Il lean nelle filiere funziona in momenti di stabilità, non oggi. Ora sarà necessario un inventory management che realizzi acquisti strategici e mirati su alcune materie prime e questo lo devono fare le aziende grandi per la filiera, che devono aiutare anche finanziariamente le imprese più piccole». E in questo ambito, l’impresa connessa non è solo un vezzo ma una necessità. «Il digitale legato alla sostenibilità è fondamentale, perché devo sincronizzare i flussi, lo scarto che un’azienda ha e un’altra può usare o rigenerare. Solo se condividiamo i sistemi informativi con l’Ai l’obiettivo sarà centrato. La cosa importante è che il digitale è visto come un progetto individuale, mentre qui parliamo di operatori digital che operano un servizio di interconnessione che è complessivo – come l’ecommerce».

Secondo una survey di Kpmg con la Camera di Commercio Italo tedesca il tema della sostenibilità si colloca on the top rispetto a tutti i possibili cigni neri, imponendo diversi cambiamenti strutturali

Digitale, logistica e rigenerazione: qui nascono le aziende del futuro

Allora secondo Manzo, poiché i settori in cui nasceranno i business vincenti di domani sono di facile individuazione (digitale, logistica, rigenerazione) si può immaginare di elaborare una politica industriale a supporto, sostenuta dalla nascita di nuovi soggetti economici, «in alcuni casi devono esserci nuove società nel business dell’interconnessione, a cui le aziende dovranno rivolgersi per comprare i servizi necessari ad abilitare i propri business – dice Manzo – la logistica funziona in maniera più efficiente se diventa un servizio: lo abbiamo visto sul campo con Toscana Pharma Valley, hub e piattaforma per la distribuzione e confezionamento di prodotti in ambito farmaceutico e biomedicale, interamente automatizzata e digitalizzata. Le aziende associate non fanno investimenti in conto capitale ma pagano una fee. La stessa cosa è replicabile nel settore della moda, per esempio».

Dall’idea di Kpmg nasce Toscana Pharma Valley, hub e piattaforma per la distribuzione e confezionamento di prodotti in ambito farmaceutico e biomedicale, interamente automatizzata e digitalizzata. La competitività e sostenibilità del progetto è basata su un semplice principio: integrazione ed economia di scala

Il ruolo dell’innovazione: la frontiera del metaverso

C’è poi una questione legata alle singole aziende che si scontra con il reshoring. «Fattori produttivi e risorse umane costeranno di più rispetto a prima – dice Manzo – questo è un fatto ineludibile. Che ci porta a una conseguenza: dobbiamo puntare su reale innovazione di prodotto per aumentare i margini, non si può vivere solo di miglioramenti incrementali e minori costi in questa fase. E la vera innovazione è ancora latitante: mentre siamo campioni della microcustomizzazione per il cliente, dobbiamo spingere su fattori differenzianti di prodotto e servizio che consentano di aumentare i margini, mentre i costi inevitabilmente lievitano». Il tema dell’innovazione ci porta all’ultima frontiera, quella del metaverso: «non è un negozio online ma un ambiente che pone anche problemi etici – conclude Manzo – la moda fa sfilare avatar per vendere abiti nel metaverso, un nuovo mercato che non è Amazon (strumento digitale di supporto al prodotto reale), ma qualcosa di inedito dove i prodotti diventano virtuali e la supply chain non esiste più. Ma esiste solo ricerca e sviluppo e ampia possibilità di nuove fonti di reddito».

(Ripubblicazione articolo del 18 luglio 2022)














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