Sapelli: il ritorno alla produzione? Non è merito del Recovery. Anzi, la transizione green produrrà una catastrofe

di Marco de’ Francesco ♦︎Pnrr: l'Italia dovrà rimborsare 127 miliardi di 191,5, e i termini non sono chiari. Più efficace la misura italiana del credito di imposta. Inoltre la concessione delle risorse è vincolata all’attuazione di riforme (tutt'altro che certe) su giustizia, fisco, lavoro e Pa. L’abbandono di diesel e benzina e le ricadute disastrose in termini occupazionali. Germania e Cina. Europa madre e matrigna

Europa madre e matrigna, con i soldi del Recovery Fund. Risorse prese a prestito dalla Bce sui mercati, che gli Stati percettori devono restituire per una buona metà. Per l’Italia la quota da rimborsare è di 127 miliardi su 191,5; e i termini per il refund non sono chiari: i Paesi “frugali” puntano sul 2026, quelli “cicala” sul 2058. Nel primo caso, il Belpaese non ce la farebbe mai; nel secondo, per gli italiani saranno 37 anni di sacrifici per saldare il dovuto. Lo pensa Giulio Sapelli, economista, storico e accademico torinese e anticonformista autentico.

Non è il caso di abbandonarsi ad un ottimismo sconsiderato, secondo Sapelli. Anzitutto perché il Pnrr è nato male ed è stato disegnato peggio, con troppe “missioni” che rischiano di disperdere le risorse in mille rivoli. E poi perché non risolve il guaio strutturale del Paese, la borbonica pubblica amministrazione che frena l’attività imprenditoriale locale e respinge gli investitori esteri. Inoltre, la narrazione della Ripresa è frutto dell’ignoranza di chi non conosce la statistica, sempre secondo Sapelli. La morsa del Covid-19 si allenta, e l’industria riprende il suo tran-tran ordinario. Tutto qui.







Europa solo matrigna, invece, in tema di transizione verde: Strasburgo ha costretto i carmaker ad investire in auto green che non si vendono, perché frutto di una tecnologia immatura con palesi carenze in fatto di storage. L’abbandono del diesel e della benzina produrrà una catastrofe occupazionale, per il personale dei produttori e per quello dei componentisti. Colpita sarà soprattutto la Germania, la locomotiva industriale del Vecchio Continente che dominava il mondo con le vetture a gasolio e che si troverà alle dipendenze della Cina – che da tempo ha fatto incetta di litio e cobalto, i metalli da batterie. A portare la Germania tra le braccia di Pechino è stata la Merkel, dice Sapelli, affascinata dai regimi dirigisti. La Cdu pagherà presto lo scotto alle urne. Colpita anche l’Italia, che ha una miriade di aziende supplier dei carmaker tedeschi. Tutto questo secondo Sapelli, che abbiamo intervistato.

 

D: Parliamo di Europa. Lei è sempre stato critico rispetto alla politica economica europea, che in passato sembrava diretta esclusivamente al rigore nella spesa e nel contenimento dell’inflazione. Ora l’Europa, presumibilmente, ci darà i soldi del Recovery Fund. È diventata keynesiana? Cos’è cambiato secondo lei, e perché? 

Giulio Sapelli, economista e accademico

R: Dal punto di vista istituzionale non è cambiato nulla. Ad esempio, non c’è stata nessuna modifica del Fiscal Compact (del 2012: contiene una serie di norme, chiamate “regole d’oro”, che sono vincolanti nell’UE per il principio del pareggio di bilancio; ndr). L’articolo 122 del Trattato di Lisbona (in vigore dal 2009, è uno dei tre pilastri dell’UE, insieme a quello che istituisce l’Unione e quello che ha creato la Cee; ndr), ne avrebbe consentito la sospensione in caso di catastrofe, ma non è stato attivato. La stabilità finanziaria e il controllo dell’inflazione restano la bussola della politica continentale. D’altra parte l’Ue non dispone di una vera e propria Costituzione; pertanto si affida ai regolamenti per gestire queste complesse vicende. Può sembrare strano, ma non è colpa mia. Allora, che cos’è cambiato? È mutato, con il Covid-19, l’atteggiamento della Commissione; ciò ha consentito la mutualizzazione del debito con l’acquisto, da parte della Bce, di risorse reperite sul mercato, che vengono poi concesse ai singoli stati in base ad un insieme di parametri, che riguardano, ad esempio, la disoccupazione, il Pil pro capite e il numero degli abitanti.

 

D: E non è un bene, che l’Unione europea distribuisce risorse agli Stati, anche se sono state reperite con queste modalità?

R: C’è un argomento che sembra sfuggire al dibattito pubblico. La concessione delle risorse è vincolata all’attuazione, da parte degli Stati, di importanti riforme: quelle della giustizia, del fisco, del mercato del lavoro, e della Pubblica Amministrazione. Si pensi solo a quella della giustizia: lì ci sarebbe da fare la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti; non si è riusciti a compiere un passo in avanti negli ultimi venti anni, nonostante se ne sia parlato spesso; non penso che si possano fare progressi in qualche mese. Quanto alle altre, si faranno mai? Se sì, in che misura si faranno? Che succede se non le realizziamo? E poi, sono soldi che per una buona metà vanno restituiti. Il punto politico è questo: l’area tedesca, Germania in testa, spinge per un rapido rimborso, indicando una data, il 2026, che non è immaginabile per la Francia e soprattutto per l’Italia. Non potremmo mai farcela. I Paesi percettori ma non appartenenti a quest’area puntano sul 2058, una data che renderebbe più plausibile la restituzione. Insomma, non c’è una sola partita, come raccontano i giornali; ce ne sono due: quella per l’ottenimento delle risorse e quella per il rimborso. E in entrambe si dovrà fare i conti con la divisione interna al Continente fra stati frugali e quelli cicala. In realtà, gli americani hanno già fatto meglio dell’Europa.

Gli investimenti del Pnrr nella Pa

D: In che modo gli Americani hanno fatto meglio dell’Europa?

R: La Fed ha distribuito risorse sue, senza ricorrere al mercato e ai debiti. La grande spesa pubblica in risposta alla pandemia ha spinto il consumo e la crescita in alto negli Stati Uniti e l’inflazione è schizzata a livelli che non si vedevano da più di un decennio (5,4% annuale, con un rialzo a luglio dello 0,5%). Ma, in definitiva, ha fatto meglio anche il governo italiano, con il credito di imposta.

 

D: Il governo italiano ha fatto meglio con il credito di imposta?

Il premier Mario Draghi

R: Beh, oggi il governo oggi è di fatto aiutato dalla burocrazia che Draghi si è portato dietro, quella della Banca d’Italia. Uomini capaci, di fiducia degli Stati Uniti; meglio di Monti, che governava sotto l’usbergo germanico. E poi, l’esecutivo ha potuto deliberare questi soldi anche grazie all’importante avanzo di bilancio, che dipende dall’incremento considerevole delle entrate dello Stato. Non tutti, ahimè, se ne sono accorti; ma l’Italia non ha dovuto fare neppure l’asta dei titoli di Stato. Può sembrare incredibile, ma è accaduto. I giornali italiani non hanno scritto una riga in proposito; quelli stranieri sì, però. È un momento importante, reale, della macchina economica.

 

D: Come spiega la ripresa attualmente in corsoC’entra qualcosa con l’aspettativa dei soldi europei?

R: Ah, perché c’è una ripresa? Macché: la pandemia si sta gradualmente attenuando, per cui si assiste ad un lento ritorno all’attività produttiva. Certo, poteva andare peggio; ma è solo un ri-allineamento alla normalità, che peraltro non si è ancora compiuto: fra ciò che abbiamo perso e ciò che abbiamo riguadagnato c’è ancora un certo scarto.

 

D: E perché tutti parlano di ripresa, con toni trionfalistici?

R: Perché non sanno fare i conti.

La missione 2 del Pnrr: la transizione ecologica

D: L’Europa è anche quella che però sta schiantando il diesel, in nome di una green car che per ora non si vende. Non è autolesionismo?

R: È la follia delle politiche economiche fatte dall’alto, senza tenere conto dell’opinione degli operatori, delle aziende, dei mercati. È l’ordoliberismo, che io ho sempre contrastato con le mani e con i piedi. Ed è la vittoria delle lobby dell’energia, quelle che stanno imponendo al mondo tecnologie incompiute, immature. L’auto elettrica è una lavatrice con le ruote e con le porte; ma il problema principale, quello dello storage, non è mai stato risolto. Ahimè, andiamo incontro ad una catastrofe occupazionale. La green car è enormemente più semplice rispetto ad una a motore termico. Questo significa che tanti operai delle aziende produttrici e altrettanti della componentistica per mezzi a benzina o diesel devono scendere dal pianeta. Sarà un guaio enorme per noi, e lo sarà soprattutto per la Germania, che da una posizione di forza – primo carmaker globale di auto a gasolio – sarà scalzata, con gravi riflessi sull’economia continentale. Ma è tutta colpa della Merkel.

 

D: Che c’entra la Merkel?

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Il cancelliere tedesco Angela Merkel

R: Che c’entra? Sostenendo l’ideologia green, ha consegnato la Germania nelle mani della Cina, che per l’elettrico ha tutto; soprattutto, ha i metalli che servono per fare le batterie. Un suicidio. La Germania finirà in braghe di tela. Perché la Merkel lo ha fatto? Non lo so, ma penso che ci sia di mezzo l’ammirazione per lo stato-padrone da parte di chi proviene dalla Germania dell’Est. So di certo, però, che l’hanno capito anche i tedeschi che la Merkel ha fallito la sua missione storica: infatti, alle prossime elezioni tutti i delfini della leader della Cdu, e in particolare Armin Laschet, se la passeranno molto male. Le previsioni sono catastrofiche, per loro. Vinceranno i social-democratici di Olaf Scholz, vedrete. Se ne sono accorti anche i ferrovieri di Deutsche Bahn che con il verde diminuisce l’occupazione. E infatti scioperano.

 

D: Lei è sempre stato molto critico con il Pnrr. Dice che permangono le strozzature che impediscono la crescita. Quali sono le strozzature e come si superano?

R: In Italia c’è un grosso problema: la Pubblica Amministrazione, che è complicata, lenta e bizantina: paralizza le attività economiche interne e respinge gli investimenti stranieri. È il problema dei problemi, che peraltro contribuisce a creare. Si è dato vita, peraltro, ad una sorta di antropologia negativa, per cui tutti coloro che si occupano della cosa pubblica sono ladri e bugiardi. Un Paese non può funzionare così. Occorre un modello più snello, più efficiente e più rispettato. Serve, cioè, una riforma profonda, che è peraltro richiesta dall’Europa. Ma a parte le operazioni di facciata, io francamente dubito che si farà mai.














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